3 modi di essere Marilyn

  

Da "La Stampa", edizione di Torino, pag. 45


Marilyn Monroe

Marilyn Monroe

TORINO – Piatto ricco. Mai come quest’anno in cui il festival gay presenta un programma di film veramente opulento, non solo nelle novità in e fuori concorso, ma nelle retrospettive, omaggi, icone. Si potranno vedere (o rivedere) immagini storiche come quella in cui Jeanne Moreau canta "Yet each man kills the thing he loves" in "Querelle" di Fassbinder (e il compianto Brad Davis, stralunato marinaio ubriaco d’amore nel medesimo film), o, ancora di Fassbinder, indimenticabili pellicole come "Il diritto del più forte" o "Veronika Voss".

Ma anche – spaziando larghi – l’ultimo Pasolini di "Salò o le 120 giornate di Sodoma", o lo scatenato "Splendori e miserie di Madame Royale" con un incontenibile Tognazzi en travesti (e Vittorio Caprioli, anche regista del film, che interpreta, ricordate?, la strepitosa bambola di Pechino). E poi l’omaggio a Gianni Buttafava, a Tondelli, lo speciale sui film africani e molto altro ancora. E l’icona dell’anno: Marilyn. A proposito di Monroe mi pare sia stata fatta una scelta di film molto intelligente e accurata: tre grandi successi che hanno cesellato il mito in momenti diversi della carriera della star: "Quando la moglie è in vacanza" di Billy Wilder, recentemente scomparso quasi dimenticato; "A qualcuno piace caldo", sommo capolavoro del medesimo regista e "Gli spostati", ultimo film di Marilyn, di John Huston. I film sono rispettivamente del ’55, ’59 e ’61. Accompagna questi tre esemplari modi di essere Marilyn una selezione di documentari sulla vita della diva. E fra questi vorrei segnalare un interessantissimo – per molti motivi – video realizzato in Belgio nel 1987: "Norma Jean dite Marilyn Monroe" di André Romus e Marcia Lerner. E’ un lungo documento (54 minuti) involontariamente comico. Non per essere irriverenti con il mito e con l’altro mito contemporaneo che lo interpreta, però. Infatti il film è una sorta d’intervista che Catherine Deneuve rilascia sull’opera e la vita di Monroe. I contenuti sono impeccabili, ma è la forma, appunto, ad essere, qua e là, involontariamente esilarante. Siamo nel 1987, i peggiori anni della nostra vita, non in senso privato, ma in quello del costume. Deneuve, splendente come non mai (ha qui quarantaquattro anni essendo del 1943, i conti son presto fatti), è ingolfata in un cardigan beige con le tipiche spalline (spallone) di quegli anni, i capelli rigonfi, con ampie ali laterali, come usava ai matrimoni di allora, i polsi e le dita carichi d’oro (e proprio quelle mani ci regalano l’inquadratura più improbabile quando lei finge di montare alla moviola un filmato su Marilyn).

Deneuve, gelida e puntuale (ricordiamo la famosa boutade di Gérard Depardieu quando dichiarò: "Catherine è l’uomo che avrei voluto essere"), ci mostra spezzoni di film, ralenti, fotostop, ripetizioni di sequenze di Monroe. Molti accompagnati fuori campo dalla commovente vocina dell’attrice che racconta se stessa, di come è stata da bambina sballottata fra undici diversi affidamenti, della madre pazza, degli inizi come soubrette. In quella voce – e Deneuve lo sottolinea – sta il massimo intenerimento che ancora proviamo per il mistero Monroe. Mistero che non sarà mai svelato, perché fatto della stessa illusoria magia del cinema: luce, taglio dell’inquadratura, e quel famoso certo non so che che hanno in pochi, e poche. A parte la mise en scène il filmato t’inchioda alla poltrona perché sullo schermo si rivedono sequenze che uno può ripassare all’infinito con lo stesso incantato stupore: l’irruzione in scena di Marilyn e Jane Russell, due stupefacente sirene, in "Gli uomini preferiscono le bionde", o la smemorata danza che l’attrice compie ne "Gli spostati" con le spalline dell’abito che le scivolano sulla schiena. Deneuve nota una cosa interessante: Monroe era (è ancora) considerata la bomba sexy del cinema mondiale, sovente al limite del lascivo, ma ogni suo gesto è improntato a un’impareggiabile grazia. E’ una delle poche attrici che, fissata in un qualunque fermoimmagine, anche il più casuale e incomposto, ci rimanda un’immagine di armonia suprema. Qualcuno ha detto che era bella anche da morta, non ne dubitiamo. La mia generazione è quella segnata da: "Dov’eravate il giorno in cui uccisero Kennedy?" e, anni dopo: "E quando Moro fu ritrovato in via Caetani?". Ma, avevo otto anni, anche dal giorno in cui morì Marilyn. Ho il ricordo vivissimo di una mia zia che entrò nella cucina di mia nonna e disse turbata "E’ morta Marilina, lo hanno appena detto alla radio". Era l’agosto del 1962. Poi cominciò il mito planetario di una donna che, nel documentario, dice: "Quello che conta nella vita sono l’amore e il lavoro. Il resto non ha nessuna importanza".


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