NELLA nostra società dei numeri ormai si conta tutto, dal consumo medio di tazzine di caffè ai passeggeri che ‘imbarcano ogni giorno al’aeroporto di Calcutta, ma nessuno sa con precisione quanti siano i gay esistenti sulla faccia della terra. Non meno del 10% della popolazione, in base a una stima sovente ripetuta, che trae la sua lontana origine dal rapporto stilato da Alfred Kinsey negli anni 40. Di più: ‘11%, per gli attivisti omosessuali, secondo u’indagine pubblicata nel 1999 da Sarah Lambert sul Canadian Press, e vari altri autori. Macché, molti di meno, ribattono fonti ulteriori: intorno al’1% in Francia, Regno Unito, Norvegia, Danimarca; il 2,7% fra gli uomini, ‘1,3% fra le donne americane, secondo ricerche pubblicate alla metà degli anni 90. No, la percentuale esatta degli omosessuali in tutto il mondo occidentale rasenta il 6%, afferma uno studio diffuso in Germania nel 2001; ma un altro studio tedesco la valuta al 5%, mentre in Italia ‘Eurispes calcola che i gay raggiungano la cifra di un milione e mezzo di persone, al’incirca il 4% della popolazione. Non è affatto esigua la differenza di dieci punti percentuali fra la stima minima e la massima: poiché al’alba del terzo millennio siamo diventati 6 miliardi e 700 milioni ad abitare questo mondo, significa u’area ‘incertezza che coinvolge 670 milioni di persone. Significa perciò che ne sappiamo poco, davvero poco, di chi vive la propria sessualità in modo differente dalla maggioranza dei compagni di scuola o dei colleghi ‘ufficio. Per nostro disinteresse, certo; ma soprattutto perché la condizione omosessuale viene tut’oggi percepita come una vergogna, un disonore che è meglio custodire nel segreto. E difatti in Italia – secondo una ricerca curata da Barbagli e Colombo nel 2001 – soltanto un padre su tre (e il 43% delle madri) sa con certezza ‘avere un figlio gay.
La cronaca registra di continuo piccole e grandi discriminazioni. In Germania quasi tutte le compagnie assicurative rifiutano la polizza vita alle coppie omosessuali, o altrimenti pretendono di sottoporle al test del’Aids. Nel gennaio 2001 la Nokia ha dovuto scusarsi per aver escluso le coppie gay da una promozione natalizia. Nella primavera dello stesso anno Paola e Manuela, due lesbiche che vivono a Castelnuovo Don Bosco, sono state licenziate contemporaneamente a causa del loro legame. In luglio il senatore Bucciero, per esprimere tutto il suo dissenso circa ‘organizzazione a Bari di un Gay Pride, ha dichiarato che gli omosessuali lo fanno vomitare, ricevendone in cambio una denuncia da parte del Centro studi teologici di Milano. Ma di fatto proprio la religione (e le sue molte chiese) contribuisce non poco al’immagine del’omosessualità come una colpa o un vizio. Quella anglicana, che nel giugno 2002 ha reagito con durezza al’ipotesi di nominare Rowan Williams (favorevole al’ordinazione dei gay) nuovo arcivescovo di Canterbury. Quella cattolica, non meno avversa al sacerdozio di chi manifesti anche soltanto una tendenza omosessuale, come ha ufficialmente dichiarato (il 16 maggio 2002) il Prefetto della Congregazione per il culto divino.
Il pregiudizio, ‘intolleranza, la riprovazione non restano mai senza riflessi sul’esistenza di chi ne rimane vittima. Secondo un rapporto preparato nel 1989 per lo U.S. Department of Health and Human Services, un terzo dei giovani che ogni anno si tolgono la vita è costituito da omosessuali, e questi ultimi tentano il suicidio da 2 a 3 volte in più rispetto ai loro coetanei eterosessuali. Una percentuale che è diventata quasi il triplo dal 1965 al 1988, e che costituisce la prima causa di morte tra i giovani gay statunitensi. Le statistiche italiane sono eloquenti. In base a una ricerca Ispes del 1991, il 6% dei gay ha cercato ‘uccidersi almeno una volta, e molti di più ci hanno pensato: un terzo degli omosessuali maschi e un quarto delle lesbiche.
Tra chi ‘ha poi fatto veramente, merita un ricordo Alfredo Ormando, intellettuale siciliano, che il 13 gennaio 1998 si diede fuoco sul sagrato di San Pietro per denunciare ‘atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche verso la condizione omosessuale. Altrettanto spesso i gay cadono per mano del boia, piuttosto che per la loro stessa mano. Succede nei paesi islamici, dove ‘omosessualità viene considerata u’aberrazione, una bestemmia, un virus propagato dalla cultura occidentale. Dove il Corano li condanna a morte, e infatti in Yemen, in Iran, in Cecenia il codice criminale della Shar’a contempla la pena capitale, così come in Afghanistan durante il regime taleban (che li uccideva facendogli crollare un muro di pietre addosso), o in Arabia Saudita (lì il 16 aprile 2000 un tribunale ha condannato nove giovani a 2.600 frustrate ciascuno per «deviazione sessuale»), in Malaysia (le cui leggi prevedono 20 anni di galera), in Egitto (che nel 2001 ha messo sotto processo 52 omosessuali, e ne ha poi condannati 23). Succede nei Carabi, dove le leggi che vietano la sodomia sono u’eredità del periodo coloniale, e in tutta ‘America Latina: nella sola Bogotá gli squadroni della morte hanno ucciso 19 gay e transessuali in meno di tre mesi (nel 1999). In Africa nera, dove in Uganda il presidente Museveni (sempre nel 1999) ha ordinato ‘arrestare tutti gli omosessuali, e dove si è segnalato in ultimo Mugabe, presidente dello Zimbabwe, che nel’estate 2002 ha incaricato le sue spie di compilare una lista nera dei ministri e degli alti dirigenti omosessuali. Però non succede solo in terre esotiche e lontane.
La caccia ai gay è infatti uno sport diffuso in tutto il mondo, anche occidentale. Solo che alle nostre latitudini ‘è un carnefice privato, in luogo del boia pubblico. E la cronaca è assai più lunga ‘un lenzuolo. A Londra il 1º maggio 1999 è stato festeggiato da una bomba in un bar gay di Old Compton Street. A Berlino nel luglio 2002 sono state stampate 3000 copie di un cd musicale che invita a uccidere tutti gli omosessuali. In Italia i gay ammazzati sono stati 111 dal 1990 al 2001 (solo a Roma se ne contano 28). A Torino, il 25 giugno 2002, cinque giovani gay sono stati picchiati col pugno di ferro nel’indifferenza dei passanti.
Non che in Occidente manchi un apparato di norme a difesa dei gay, dei loro diritti, e contro ogni forma di discriminazione: si possono citare per esempio le risoluzioni approvate dal Parlamento europeo ‘8 febbraio 1994 e il 17 settembre 1998; sempre in Europa, la direttiva quadro varata dalla Commissione nel novembre 2001; o in Italia la prima legge regionale, quella toscana del’agosto 2002. Ciò tuttavia non è vero sempre, e non dovunque. Benché la sodomia sia stata cancellata dal’elenco dei reati già al tempo della Costituente rivoluzionaria francese (nel 1791), negli Stati Uniti essa rimane fuori legge in Texas, nel Kansas, in Oklahoma, anche se consumata nel chiuso delle pareti domestiche. Né più né meno che in Gran Bretagna, dove al’alba del terzo millennio restava ancora in vita la norma che commina ‘arresto per due uomini che si bacino in pubblico o che facciano sesso in una camera ‘albergo, e solo nel giugno 2002 il ministro del’Interno (fra le proteste della destra) ha dichiarato che sarebbe ora ‘abrogarla.
In Italia viceversa non esistono norme palesemente discriminatorie nei confronti degli omosessuali; ma non esistono neppure norme in grado di reprimere la disparità di trattamento di cui essi siano vittima, di castigare ‘odio nei loro riguardi. ‘8 marzo 1999 ‘Arcigay prende carta e matita per denunziare al ministro la presenza del’omosessualità nel’elenco delle malattie mentali. La Cassazione (con una sentenza del 26 aprile 2000) giudica ‘omosessualità una forma di «incapacità psichica» a contrarre matrimonio. A Padova (nel luglio 2002) i carabinieri multano un transessuale per «travestimento in luogo pubblico», rispolverando una vecchia norma mai abrogata del testo unico di pubblica sicurezza del 1931. Infine gli si nega il più elementare dei diritti, quello di formarsi una famiglia. In Italia i gay non possono sposarsi, a differenza della Danimarca (il primo paese a riconoscere le unioni omosessuali, fin dal 1989), della Norvegia (il cui ministro delle Finanze, Per-Kristian Foss, nel gennaio 2002 ha sposato il suo compagno), della Germania, del’Olanda. Non possono dunque divorziare, co’è successo a una coppia gay davanti a un tribunale della Bassa Sassonia, nel giugno 2002. Né adottare un figlio, benché tale desiderio sia comune al 59% dei gay e al 47% delle lesbiche. Non possono neanche stipulare un contratto dal quale scaturiscano diritti e obblighi reciproci per le coppie omosessuali, sulla falsariga del Pacs (Patto civile di solidarietà), deliberato in Francia dal’Assemblea nazionale il 13 ottobre 1999, e poi imitato in Finlandia, Svezia, Portogallo, Australia e altri paesi. Significa che ‘omosessuale convivente non ha diritto alla pensione di reversibilità; non può ereditare se non per testamento; non ha diritto al mantenimento quando la sua unione va in frantumi; non può assistere il partner ricoverato in ospedale senza il permesso dei parenti.
Come sanare la ferita? Forse la medicina può venire dal mercato. Negli Usa uno studio del Simmons Market Research Bureau ha rivelato che il 21% dei gay dispone ‘un reddito superiore ai 100.000 dollari ‘anno, mentre il 28% raggiunge i 50.000; che il 60% occupa posti di livello medio-alto; che il 48% è laureato; che il 61% fa almeno un viaggio al’estero per anno; e che insomma i gay consumano meglio e di più rispetto agli eterosessuali, non fos’altro perché non hanno figli da allevare. Da qui è scattata la corsa a offrirgli pubblicità, prodotti, siti online costruiti su misura, col risultato – per esempio – che al Gay Pride di Atlanta del 2001 marchi come la catena di video Blockbuster, la birra Budweiser, la Coca-Cola, la compagnia aerea American Airlines e ‘American Express hanno fatto a gomitate per dare la sponsorizzazione. Ma dopotutto non ‘è niente di nuovo sotto il sole: davanti ai tribunali la libertà si compra pagando una cauzione, e tanto peggio per chi ha il portafoglio vuoto.