«Mi sono arruolato quando il nostro amore era appena finito. Non andavamo più d’accordo e ciascuno ha preso la sua strada: io sono entrato nell’Arma. Lui si è sposato. Lo avevo conosciuto quando avevo 14 anni e lui quasi 21. Mi piaceva tanto e sono stato sfacciato. L’ho avvicinato io. Ma da noi in paese – un paesino della Sicilia di settemila anime – ci si conosce un po’ tutti. All’inizio era molto imbarazzato, anche perché io ero minorenne. Poi ha superato e siamo stati insieme sei anni. È stato, fino adesso, il mio unico amore. Dopo di lui ho avuto solo avventure». «Io mi do corpo e anima, non sono un uomo da incontri al buio e con sconosciuti e oggi, che ho 26 anni e che sono stato trasferito al Nord, l’amore mi manca come potrebbe mancarmi l’aria. Come mi manca il mare».
Carabinieri a Milano
Militare e omosessuale. Vincenzo è un carabiniere, vive in caserma insieme a ufficiali e parigrado. Per lui, il suo orientamento sessuale è una conquista naturale. Per alcuni una sorpresa. «I colleghi sanno di me, al massimo fanno
le battutine, mai velenose però. Un anno fa in caserma è stato terribile. Uno di noi era rimasto ferito gravemente in uno scontro a fuoco. La sua camera era di fronte alla mia, con lui non avevo mai bevuto una birra, non ero mai uscito, ma avevamo partecipato insieme ad alcune operazioni. Non era un amico, ma neanche solo un conoscente. In caserma, nei giorni che seguirono subito dopo, c’era un clima diverso, era come se non fossimo “carabinieri”. Io ero abbattuto. Il comandante mi prese in disparte e iniziò a parlarmi cominciando dalla Costituzione (gli ufficiali spesso citano la Costituzione): “Noi siamo tutti uguali, qualunque sia la razza, la religione, l’identità sessuale. Ho sentito dire alcune cose di te e faccio finta di non sapere niente. Oggi ti parlo come a un fratello: non ti fare mettere i piedi in testa da nessuno”. Mi aveva teso una mano. Il giorno dopo fu come se non ci fossimo detti mai nulla. Ma si era preoccupato per me. Le sue parole sono state importanti. “Ti sono amico, tu sei diverso ed educato. Fatti rispettare”».
«La disciplina è ferrea, soprattutto i primi tempi. Lo stress del rapporto con i superiori può essere terribile. Prima di uscire in libera uscita c’è la “rivista”, se hai le scarpe sporche o la cravatta annodata male resti dentro. Vogliono che tu, se chiamato, risponda sempre “comandi”. E anche questo influisce sulla valutazione. Ogni anno, come a scuola, c’è la pagella, puoi essere giudicato inferiore alla media, nella media, superiore alla media, eccellente. Se rispondi “comandi” è quasi sicuro che sei superiore alla media e puoi concorrere per far parte dei reparti speciali. Insomma hai le carte in regola per fare carriera. Io da buon siciliano non ho leccato i piedi a nessuno, e solo da un anno mi hanno valutato “superiore alla media”. Ho scelto di fare il carabiniere per i soldi, come moltissimi ragazzi del Sud.
E poi perché ‘Arma è prestigiosa. Torni in paese e tutti dicono di te: “Vincenzo è carabiniere”. Ti formano alla luce di princìpi morali: devi servire lo Stato, devi servire il cittadino, devi essere onesto, non giocare d’azzardo, non bere. È tutto scritto nel “Manuale di attitudine militare”. Queste regole non sono sbagliate, dopo tutto. Io ci credo, per me chi fa parte dell’Arma è impeccabile. Poi, però, bisogna fare i conti con la personalità di ciascuno. Rispetto ai poliziotti ti senti una specie di superuomo, perché nell’opinione comune il carabiniere vale di più, è più gentile ed umano. Della famiglia non parlano, la vita privata viene lasciata in disparte. Vieni valutato per come ti comporti con i superiori e per la tua personalità. E d’altra parte nessuno è mai stato radiato per omosessualità.
Se sei valutato tre volte “inferiore alla media” allora ti cacciano via. Non c’è nulla di esplicito».
«La cosa importante è osservare la “forma militare”: essere una specie di uomo perfetto, intervenire sempre, ma con discrezione. Ti devi sentire sempre un militare. E, infatti, agli inizi ti costringono agli orari, alla sveglia, all’alzabandiera. Devi stare sull’attenti e fare il saluto militare. I primi tempi, durante il corso di allievo, è stato terribile, vivevo come un automa e dentro, nei sentimenti, ero paralizzato. Sapevo che non avrei parlato facilmente di omosessualità, anche se ci sono alcuni che trovano subito un partner. Mi ero appena lasciato con il mio compagno e, in più, i miei lo avevano scoperto. Prima di entrare nell’Arma avevo vissuto due mesi di convivenza con lui, che si era trasferito al Nord».
«Ritornato a casa, cominciai a ricevere le sue lettere. Erano tante, mia madre si insospettì. Un giorno ne aprì una e la lesse a voce alta dinanzi a mio padre. Fu terribile. Mio padre carezzava il braccio di mia madre e mi diceva: “Vedi come è bello? La pelle è liscia, come fa a piacerti un braccio con i peli”. E io, che sono un toro di segno zodiacale e di fatto, rispondevo: “Mi piace il braccio con i peli, sono frocio”. Da quando mi sono arruolato credono che sia rinsavito, ma di ragazze non parlano mai. Se non avessi avuto l’atteggiamento di chi non si lascia smontare sarebbe stato molto più difficile per me al Sud. Invece, anche se a scuola mi prendevano in giro, anche se ho provato ad avere una fidanzata di copertura, in realtà non mi sono mai bloccato. Ho sempre vissuto
l’omosessualità in modo positivo. I primi mesi della scuola, che sono stati i più duri, non cercavo nulla e poi al Sud non avevo occasione di frequentare locali o altri luoghi di ritrovo. Avevo un senso di pudore ed ero anche spaventato: non volevo essere condannato dagli altri. Gli ufficiali mi inquadravano nella disciplina e io lasciavo fare. Per la sessualità aspettavo, non cercavo un compagno di letto e basta. Con i colleghi mi adattavo. Ho un carattere solare, incline alla battuta, socievole. Oggi parlo di pallone e Formula uno in caserma, mentre con gli amici gay discuto di trucchi (ma no!
scherzo) e di uomini. Ma, anche se sono adattabile, fin da subito si sono accorti di me, per la mia sensibilità, perché in fondo gli altri lo sentono e perché non passo inosservato. Sono cominciate le battute: ti fanno il verso, come se parlassi in modo effeminato, sventolano la mano in aria credendo di imitarti. Ma tutto qui.
Non sono mai stato isolato, tranne che dal gruppo dei machi, quelli che rappresentano il supermaschio. Però non si tratta di nonnismo, tra i carabinieri non c’è».
«Quando sono stato trasferito al Nord, dopo i mesi al battaglione, le cose sono cambiate. Ero contento di andare in un posto dove non mi conosceva nessuno. E subito ho preso contatti con i locali e le associazioni, cioè con quelle che per me erano le novità. Prima temevo che in caserma mi controllassero, ma a poco a poco mi sono sciolto. Adesso se c’è un corteo partecipo, stando attento a non trovarmi mai in prima fila».
«L’omosessualità tra noi non è rara.
Quando ero al Sud vivevo con un compagno di stanza ed eravamo amici. Trasferitomi al Nord, un giorno lui ha deciso di venirmi a trovare, ma proprio quel giorno avevo organizzato con altri una visita in un locale gay di Milano. Ero angosciato all’idea di dover restare con lui e mettermi la maschera da etero. Allora gli ho parlato: “Senti, siamo nel 2000, io e i miei amici andiamo in un locale gay vuoi venire?”. “Sono venuto per trovare te, facciamo quello che dici tu”, questa la risposta. Gli ho raccontato tutta la mia storia. In discoteca è stato sempre vicino a me. Ci siamo rivisti dopo un anno, mi ha detto che da allora aveva riflettuto molto, che uno psicologo gli aveva consigliato di provare con una terapia d’urto. “Vuoi essere la mia terapia d’urto?”, mi ha chiesto. Sono sbiancato e ho rifiutato. Mi sentivo responsabile di averlo fatto venire con me il discoteca, ho preferito facesse la sua strada. Mi ha chiesto dei consigli, gli ho detto di stare attento. Ma non è il primo a cui sono piaciuto. Un altro collega mi ha corteggiato, spingendosi a qualche proposta, mentre è stata enorme la mia meraviglia nell’incontrare un ufficiale in un locale gay. Sono rimasto esterrefatto: gli ufficiali sono una categoria a parte, hanno la loro stanzetta, a mensa mangiano separati, e sono i primi in caserma a farti rispettare il rigore e la disciplina, a comandare. Ma anche a darti, quando occorre, una forma di protezione».
«Tre anni fa ero esasperato e mi volevo congedare. Con i colleghi non andavo d’accordo ed ero disposto a far tutto pur di andare via. Ne ho parlato con un maresciallo, la sua reazione è stata quella di un padre. Mi ha parlato con il cuore in mano, ha mostrato tutto il suo dispiacere. Sembrava che, se fossi mancato io, lui e gli altri superiori avrebbero perso un figlio. Io in certi valori ci credo, credo nel far qualcosa per i cittadini. Quando esco con un collega che non ha voglia di far niente, che mi dice “non interveniamo” io mi sento male. Il nostro compito è quello di soccorrere».
«Ormai sono carabiniere da sei anni. Mi sento di appartenere a un corpo che è considerato un gradino più su, che è più importante degli altri corpi militari. Anche se forse non farò il carabiniere per tutta la vita. La cosa che mi manca di più oggi è l’amore. I miei amici mi dicono che devo disinibirmi, che devo essere più disponibile agli incontri. Ho incontrato di nuovo il mio ex, dopo che si è sposato. Anche a lui, che voleva ancora un’esperienza sessuale, ho detto di no. Anche se è con lui che ho avuto il mio primo rapporto completo. Il fatto è che non mi sono più innamorato. L’amore mi manca come il mare. Quando ritorno al Sud sto ore sulla spiaggia a guardare le onde e resto a bocca aperta. Mi sembra di vederle per la prima volta. Io sono così, un tipo passionale».