Per Fuad

  

E’ una bella storia, perché quando due persone si amano è sempre una bella storia. ‘ una storia ancora più bella perché queste due persone sono di Israele e Palestina, quasi che il mistero del’amore abbia la forza di prendere a spallate i muri umani. Ma diventa anche una brutta storia quella che andiamo a raccontarvi perché in realtà i muri umani resistono, non crollano, perché i due protagonisti sono di due popoli nemici, ancor di più perché sono due uomini. Gay. Due «peccati mortali», nel senso letterale del termine: Fuad, il palestinese, 27 anni, rischia la pena capitale. ‘ agli arresti domiciliari a Gerusalemme, a casa di Esdra, 50 anni, ‘ebreo suo compagno da tre anni. Da un giorno al’altro i giudici decideranno il suo futuro: Fuad è un clandestino, già altre volte volevano rispedirlo in patria, ma Esdra ha sempre trovato la maniera di nasconderlo, coprirlo: lo caricava nel bagagliaio della sua auto e lo riportava a casa, la loro casa, un monolocale di Gerusalemme dove vivono, si amano e lavorano, nel’azienda idraulica di Esdra.

Ma stavolta no, siamo alla resa dei conti: o di qua o di là. Ma se finisce di là, di là dal muro, in Palestina (che poi è la sua terra) Fuad muore.

Torture mostruose

Non lo metteranno al rogo i giudici, ma gli stessi familiari. ‘ già successo a tanti altri ragazzi palestinesi e sono stati omicidi finiti sotto silenzio, con la polizia abituata a girarsi dal’altra parte. Ragazzi lapidati. Mutilati. Per chi si macchia di omosessualità, la sharia islamica non ha pietà: ti strappa anche gli occhi. E prima del colpo di grazia ti fa patire le pene del’inferno: la testa in un sacco di escrementi per delle ore e una bottiglia per infliggere la peggiore delle sevizie: fisica e metaforica. Intendiamoci subito: qui non stiamo parlando di morale o di chissà quali principi generali. Non vuole essere, questo, un trattato su omo o eterosessualità. No, proviamo a essere più concreti: qui si parla di vita. Qui si prova a urlare forte un grido di salvezza per un ragazzo di 27 anni, che ha un nome, Fuad, un cognome, Moussa, e anche un volto, che vi mostriamo nella foto qui a fianco. Se resta a Gerusalemme con la persona che ama, Fuad si salva. Se lo rispediscono in patria, no: sarà ucciso. Anche se in Palestina ‘omosessualità non è un reato a rigore di legge, ma lo è per ‘Islam. Cosa fare? Ci sono due soluzioni. La prima è la più semplice ed è quella che già diverse persone stanno ammirevolmente cercando di percorrere. Visto che in Israele essere gay non è peccato, si sta creando una sorta di catena di San’Antonio, fatta di lettere e di email da inviare al governo israeliano: anche venti parlamentari italiani si sono mossi. Si chiede di graziare il clandestino Fuad, evitargli di tornare nella sua terra dove sarebbe torturato e ammazzato. Fatelo restare in santa pace a Gerusalemme, assieme a Esdra. Per ora il governo di Sharon non ci sente e un p’ va anche capito: teme di creare un precedente, teme che dare «asilo» a degli omosessuali cacciati o minacciati di morte dalla Palestina diventi u’arma in più per i terroristi che non aspettano altro che farsi saltare in aria, per creare nuovi morti e lutti. Mi spaccio per gay, entro a Gerusalemme e faccio ‘uomo-bomba: ecco la preoccupazione di Israele.

Ma ‘è anche u’altra strada che si può provare a percorrere. ‘ terribilmente più complicata, certo; però si può intraprendere anche per evitare quelle speculazioni politiche che purtroppo di questi tempi vincono sempre, quasi che salvare Fuad diventi una battaglia contro ‘insensibile Israele…

Ma no, ricordiamoci che è in Palestina che vogliono ammazzare il ragazzo e comunque sia, qui ‘è di mezzo Fuad, lasciamo da parte Sharon, Arafat o chissà chi, per favore.

Scriviamo ai parenti

I parenti. Ecco la seconda strada. Un volto, un cuore, u’anima ‘hanno per forza anche i genitori di Fuad. Il padre, la madre, i cugini; sì, tutti quelli che vogliono ammazzarlo. Che provano vergogna e rabbia. E allora: proviamo a dire, a scrivere a una madre che un figlio è un dono e non una proprietà privata. Lo fai, lo ami, non lo uccidi. Scrivete pure a al governo isrealiano, che faccia vivere Fuad a Gerusalemme:

Indirizzo internet: [email protected]
Testo: Chiedo il permesso di residenza a Fuad, carta ‘identità 861611707.
Ma scrivete anche (per ora inviate il tutto alla nostra email) alla madre e al padre di Fuad: in nome del’amore, non uccidetelo se torna. Abbracciatelo, vi vuole bene.


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