ROMA. «Diversi come due gocce d´acqua», il verso di una poesia di Wislawa Szymborska (Taccuino d´amore, Scheiwiller) è stato scelto come titolo per un saggio molto curioso sui rapporti tra donne eterosessuali e uomini gay. Appare nel volume su Il sesso ed è firmato da Vittorio Lingiardi, quarantatré anni, psichiatra e psicoanalista di formazione junghiana, professore di Psicopatologia generale alla "Sapienza" di Roma, autore di diversi libri tra cui Compagni d´amore (sottotitolo "da Ganimede a Batman", Cortina).
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Nelle prime tre righe si trovano due osservazioni di Freud: «la psicoanalisi non è chiamata a risolvere il problema dell´omosessualità» e «la psicoanalisi non è in grado di sciogliere l´enigma della femminilità». Due citazioni celebri, ma in questo caso un punto di partenza obbligato. Se infatti i gay costituiscono un problema e le donne rappresentano un enigma in comune avranno "qualcosa" che non solo rimanda a una dimensione misteriosa, ma che può senz´altro indurli a una qualche complicità.
Il tema, a prima vista solo bizzarro, fors´anche superfluo, è invece molto interessante per le sue molte implicazioni – non solo "di costume" ma anche di natura squisitamente teorica. Tanto più che si tratta di un tema frequentato a tratti dalla sociologia, ma quasi totalmente disertato dalla letteratura psicoanalitica, e che quindi si presta a una riflessione originale e non alla solita riproposizione di tesi più o meno brillantemente rimasticate.
Lo sguardo di Lingiardi sul rapporto donne-gay ha il merito di essere appassionato, pieno di curiosità ma anche molto libero, del tutto privo di eccessi celebrativi, seppure lontanissimo da un´inclinazione patologizzante. Nel suo saggio intanto ricorrono alcune coppie eccentriche di un passato più o meno recente (Dora Carrington e Lytton Strachey, Marguerite Duras e Yann Andréa, Robert Mapplethorpe e Patty Smith, i legami della Callas con Pasolini e Visconti) e anche le storie inventate da quella fabbrica di sogni che è il cinema, da Riflessi in un occhio d´oro (Huston, 1967) a Una giornata particolare (Scola, 1977), da Il matrimonio del mio migliore amico (Hogan, 1997) a Le fate ignoranti (Ozpetek, 2001).
Dice Lingiardi: «Oggi la donna e l´omosessuale si incontrano sul terreno della crisi del modello maschile. Quello che una volta era un sodalizio privato, impalpabile, quasi una sfida isolata, di natura "intellettuale", alla Bloomsbury, oggi è un fenomeno dotato di una larga visibilità sociale. La dinamica è relativamente semplice quando in gioco c´è solo l´amicizia, ma si fa più complicata quando la coppia si trova a maneggiare le "forze altamente esplosive" di un´imprevista attrazione sessuale o anche dell´innamoramento. Allora sì che i partner diventano dei veri outsider, esploratori di un terreno relazionale che non è stato ancora mappato».
Professor Lingiardi, lei scrive che, al di là delle sue facili parodie, il legame tra donne eterosessuali e uomini gay rappresenta una condizione queer, cioè strana, sghemba, in cui l´identità dell´oggetto del desiderio è calata nel contesto della differenza di genere. Può dirlo in modo più chiaro?
«Intanto direi che oggi i modi di amare e di declinare il genere, i modi di costruire relazioni non sono più tipizzabili in strutture rigide evolutivamente e psicosessualmente, ma sono il risultato di un interazionismo che è intrapsichico, interpersonale, sociale, culturale, ambientale e anche casuale. È comunque sullo sfondo della crisi del patriarcato e dei ruoli di genere tradizionali che le donne e i gay esplorano nuove possibilità di relazione, percorsi non convenzionali dell´affettività e dell´erotismo. Con più o meno consapevolezza sfidano gli ideali consolidati di mascolinità e femminilità anche se, paradossalmente, possono anche confermarli e riprodurli, bloccando l´espressione di altri desideri o favorendo l´inclinazione a misoginie e omofobie internalizzate».
È possibile riassumere la tipologia "donna e gay"?
«Un po´ schematicamente, faccio ricorso ad alcuni principi ordinatori. Ci sono le coppie tradizionali, spesso sposate, che cercano d´ignorare, nascondere o modificare l´orientamento omosessuale dell´uomo; le coppie di amici, non legate da una relazione sessuale ma neppure prive di una qualche forma di amorevolezza; le coppie queer dove la relazione ha un carattere apertamente romantico e può o meno includere la sessualità, il matrimonio, l´essere genitori? Più complessa sarebbe la ricostruzione di un punto di vista femminile».
Ma la domanda è d´obbligo: per quali ragioni una donna è attratta da un gay?
«Segnalerei alcune dinamiche basilari: l´adozione intesa come accudimento, maternage; la fragilità, cioè la paura di una relazione troppo coinvolgente sul piano fisico e mentale e dunque una difficoltà a riconoscere la propria identità e i propri desideri; l´intellettualità, la ricerca di una relazione centrata appunto sulla relazione intellettuale, sul gioco, sull´ironia; il privilegio, nel senso dell´esclusività, dell´essere "l´unica donna"; il rifugio, come bisogno di protezione e riparo da angosce di violazione e penetrazione; la salvazione, il desiderio di "convertire" l´omosessuale; infine lo sconfinamento, e cioè la sovversione dell´ordine binario maschio-femmina, il piacere di sperimentare relazioni che mettono in discussione i tradizionali ruoli sessuali, tenendo conto che i soggetti di questa "coppia improbabile" vivono il loro essere "etero e "gay" al di fuori del loro contesto di appartenenza senz´altro più rassicurante. Sono questi gli aspetti che a me interessano di più».
Perché?
«Perché è interessante studiare, attraverso le diverse gradazioni affettive ed erotiche del dialogo tra donne e gay – amicizia, companionship, innamoramento, amore, coppia – il contributo creativo di questa "figura letteraria" alla contaminazione dei ruoli di genere e dei percorsi obbligati delle relazioni. Stiamo parlando di due soggetti di "minorità" con un elemento che però li tiene in comune: il non essere identificati con quello che sempre ha espresso il potere patriarcale. Si tratta di persone che sono "rifiuti" ma nello stesso tempo, soprattutto quando stabiliscono una relazione consapevole, rappresentano un "rifiuto"».
L´ultimo numero dell´International Journal of Psychoanalysis, contiene un lavoro firmato da lei e da Paola Capozzi, una psichiatra di orientamento freudiano, ordinaria della Società psicoanalitica italiana. E´ una collaborazione interessante, tanto più che il titolo dell´articolo è "L´atteggiamento degli psicoanalisti nei confronti dell´omosessualità in Italia: una ricerca empirica"? Senza entrare nei dettagli, ci sono ancora analisti che patologizzano i "diversi"?
«Rappresentano una minoranza, ma non così inconsistente. In linea generale, l´omosessualità non è più considerata una fissazione nello sviluppo, un´immaturità evolutiva, ma una delle possibili identità sessuali. E difficilmente, in stanza d´analisi, scatta ancora quel meccanismo per cui "ah, sei omosessuale, allora vuol dire che?", come invece accade per molte patologie. La domanda più importante non è più "perché questo è omosessuale?", così come del resto non ci si chiede "perché questo è eterosessuale?"? Cristopher Bollas ha detto una cosa importante: la categorizzazione dell´omosessualità assomiglia a un genocidio culturale. E così la pensava anche Foucault quando accusava la psicoanalisi di aver inventato la tipologia psicologica dell´omosessuale: con quella storia, quelle relazioni, quelle problematiche. Una visione che oggi tende ad essere superata, seppure tra molte contraddizioni».