ALI ALLA LIBERTA’ – DOCUMENTO CONGRESSUALE

  

11° Congresso Nazionale

Bologna, 4/6 marzo 2005

ALI ALLA LIBERT’
Proposta di documento congressuale
20 novembre 2004

1. UNA QUESTIONE PLANETARIA
2. NEL CORTILE DEL VATICANO
3. LA NOSTRA VISIONE, LA NOSTRA MISSIONE, I NOSTRI VALORI
4. GAY E LESBICHE, IN CARNE ED OSSA
5. RADICI PIÙ FORTI PER SVETTARE PIÙ IN ALTO
6. VENT’ANNI IN MOVIMENTO


1. UNA QUESTIONE PLANETARIA

La questione omosessuale è diventata una questione politica di rilevanza internazionale. Come fu nel ‘900 per la questione femminile o per quella contro le discriminazioni razziali, il tema del riconoscimento dei diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali ha travalicato i recinti di una nicchia divenendo un tema politico ineludibile.

In Europa la stagione delle Risoluzioni ha ceduto il passo ad atti più concreti, come l’inserimento nel Trattato Costituzionale Europeo del divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e del diritto a costituire una famiglia fuori dal matrimonio o la Direttiva 78/2000 sulle discriminazioni sul lavoro.

Se ha fatto notizia l’elezione di due sindaci dichiaratamente gay come il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe e quello di Berlino Klaus Wowereit, oggi nessuno batte ciglio se Peter Mendelson, uno dei quattro ministri gay del primo governo Blair, va a ricoprire un ruolo di primo piano nella Commissione Europea.

Dodici paesi europei (Olanda, Belgio, Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Francia, Germania, Islanda, Portogallo, Ungheria, Lussemburgo) riconoscono, in varie forme, i diritti delle coppie gay e lesbiche ed altri cinque (Spagna, Gran Bretagna, Svizzera, Croazia, Repubblica Ceca) si stanno apprestando a farlo.

Gli sfidanti alle elezioni presidenziali americane, Bush e Kerry, hanno dovuto precisare la loro posizione sul riconoscimento delle coppie dello stesso sesso dopo che l’opinione pubblica americana aveva seguito giorno per giorno, chi con entusiasmo chi con sgomento, la celebrazione di migliaia di matrimoni gay a San Francisco, il riconoscimento delle nozze fra gay e fra lesbiche nel Massachusetts, la celebrazione di ulteriori matrimoni a Portland, New Paltz, Ashbury Park.

Se i due candidati si sono detti contrari all’estensione del matrimonio a gay e lesbiche, entrambi hanno dovuto lasciare la porta aperta alla possibilità di un riconoscimento giuridico, e se Kerry l’ha fatto con maggior convinzione di Bush, quest’ultimo ha dovuto registrare —o forse addirittura concordare — la posizione molto più aperta del suo vice Cheney, alle prese con una figlia dichiaratamente lesbica.

La presentazione da parte del Brasile — Paese che riconosce i diritti delle coppie dello stesso sesso- di una Risoluzione sulla tutela dei diritti umani di gay e lesbiche presso la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha aperto un nuovo fronte di dibattito ai massimi livelli internazionali: se la risoluzione è stata ritirata a causa dell’opposizione di alcuni Stati islamici e del Vaticano, la questione è stata posta e con ogni probabilità ci saranno a breve nuovi capitoli.
Il nostro pianeta rimane un luogo prevalentemente a rischio per donne e uomini omosessuali: sono circa settanta i Paesi in cui essere gay o lesbica è contro la legge ed è tuttora presente lo scandalo di sette paesi islamici (Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran, Nigeria, Pakistan e Yemen) che prevedono la pena di morte per sodomia.

Tuttavia, si è creata una nuova attenzione su questa realtà grazie anche all’opera dell’ILGA e di Amnesty International e alle campagne internazionali che, periodicamente, riescono a puntare un riflettore sulle principali violazioni dei diritti, com’è accaduto in Egitto dopo l’arresto dei 52 omosessuali della Queen Boat.

Siamo dentro la Storia, ancora come una comunità in lotta per la propria libertà, ma con la nostra identità, spesso oltraggiata e perseguitata ma sempre più riconosciuta.

La nostra epoca globalizzata non può non vederci attivi dentro una dimensione internazionale di lotta del movimento glbt.

A questo ci siamo preparati negli anni scorsi, iniziando a progettare interventi antidiscriminatori insieme all’Unione Europea, tessendo relazioni con altre associazioni, partecipando a campagne internazionali di pressione, vivendo da protagonisti la dimensione dell’ILGA, soprattutto della sua branca europea di cui abbiamo espresso il co-presidente.

Oggi sono soprattutto due i fronti su cui Arcigay, che è l’organizzazione gay e lesbica numericamente più grande d’Europa, può dare un proprio contributo alla visibilità della questione omosessuale.

Il primo è quello dell’area israelo-palestinese, una zona in cui essere gay è reso più difficile dalla contemporanea presenza di una dimensione di guerra e da forti integralismi religiosi: l’evento del World Pride 2005 a Gerusalemme non potrà non vederci fra i più interessati sostenitori, a partire dai rapporti intrecciati con le associazioni gay israeliane organizzatrici dell’evento e con gay e lesbiche palestinesi.

Il secondo riguarda la realtà di Cuba, il cui governo vieta alle persone omosessuali di associarsi e di organizzarsi in comunità, dove le relazioni attivate nei mesi scorsi possono permetterci di giocare un ruolo importante nella promozione di una cultura gay e per minare le resistenze del regime al riconoscimento di una specifica comunità glbt nell’isola.

Più in generale, crediamo necessario mantenere costante un dialogo con tutti i movimenti che s’impegnano a favore della pace, della risoluzione dei troppi conflitti presenti sul pianeta, della solidarietà concreta verso le popolazioni martoriate dalle guerre, del riscatto dalla povertà in cui sono costretti a vivere centinaia di milioni di donne e uomini.

Il nostro contributo si sviluppa anche nell’affermazione che i diritti sociali, le libertà individuali e di cittadinanza devono essere riconosciuti con la medesima forza e convinzione: non vi sono piena libertà e sostanziale democrazia, là dove vi sia il dominio di un sesso a scapito dell’altro, dove si esercita il possesso dei corpi altrui, dove l’orientamento sessuale e l’identità di genere siano causa di discriminazione.

2. NEL CORTILE DEL VATICANO

In questo scenario, l’Italia si muove con esasperante lentezza, scontando la pena di un fardello particolare: quello di un Paese in cui il cattolicesimo non è solo la rispettabile e rispettata scelta religiosa di una parte significativa della popolazione, ma anche la condizione di un limite dell’autonomia statale che rende l’Italia l’ampio e prestigioso cortile del Vaticano.

Non guasta ricordare alcuni dei più eclatanti esempi di questa innaturale subordinazione della nostra classe politica alle direttive d’oltretevere: l’assenza di una legge sulle coppie di fatto, l’orrenda e cattiva legge sulla fecondazione assistita, i lunghi tempi di divorzio, i frequenti attacchi alla legge 194 sull’aborto, la proposta di legge illiberale sulla prostituzione, i ripetuti tentativi di limitare le libertà individuali con politiche proibizioniste sulle droghe leggere e sugli orari delle discoteche.

Siamo ormai abituati a vivere e lottare in questa dimensione culturale falsata rispetto al resto d’Europa, anche se guardiamo con invidia a quanto accade nella cattolicissima Spagna, dove il governo Zapatero, di fronte alle proteste dei vescovi, non solo non ha indietreggiato nella sua decisione di riconoscere i matrimoni gay ma ha replicato con fermezza ribadendo la sovranità del parlamento contro qualunque interferenza esterna.

Tuttavia è importante che noi sappiamo cogliere i segnali di novità che pure si vanno aprendo e che possono rappresentare le vie da percorrere per trasformare l’Italia in un paese d’Europa sul tema dei diritti glbt.

A sinistra, per iniziare.

Al Congresso di Riccione non abbiamo mancato di sottolineare il nostro giudizio negativo sull’esperienza di governo dell’Ulivo, la nostra piena autonomia dai partiti e dalle coalizioni politiche e la necessità di ricercare alleanze a tutto campo sui temi della laicità dello Stato e delle libertà civili: questa scelta di autonomia va riconfermata perché è la sola che può permetterci di porre con forza i nostri temi.

E’ vero che alcune cose hanno iniziato a cambiare in quel campo che, nei fatti, è quello più attento alle nostre istanze: se quattro anni fa la maggioranza di centrosinistra non era stata in grado di portare alla discussione parlamentare una proposta di legge antidiscriminatoria, oggi sono 180 i deputati e le deputate del centrosinistra — da Rifondazione a una parte della Margherita, passando per Verdi, Comunisti Italiani, SDI e DS – che hanno sottoscritto la proposta di legge sul PACS o altre proposte simili; lo stesso Consiglio Regionale della Toscana, su sollecitazione dei nostri circoli della regione, ha presentato una proposta analoga.

Diverse Regioni (la Toscana, l’Umbria, l’Emilia Romagna) hanno inserito nei loro statuti un esplicito riconoscimento sia delle convivenze non fondate sul matrimonio sia della dignità di ogni orientamento sessuale e molte altre hanno esplicitato il riferimento alla Carta di Nizza che contiene entrambi i punti.

Anche a destra la situazione non è immobile, anche se la sfida che lanciammo da Riccione al governo sul tema delle libertà civili è caduta nel vuoto: il secondo governo Berlusconi si è dimostrato fra i più illiberali della recente storia d’Italia.

Nello specifico, l’abrogazione della Commissione “Diritti e libertà” da parte del Ministro per le Pari Opportunità Prestigiacomo e la sua sostituzione con un gruppo di studio su sessualità e discriminazioni, a cui pure avevamo guardato senza pregiudizi, si è rivelato, come temevamo, un contenitore vuoto.

Il Decreto Legislativo contro le discriminazioni di gay e lesbiche sul lavoro ha stravolto lo spirito della Direttiva Europea 78 del 2000 che avrebbe dovuto recepire ed ha introdotto nuove forme di discriminazione antigay non previste nel nostro ordinamento.

La cancellazione della campagna di prevenzione dell’AIDS rivolta ai target specifici, compreso quello gay, da parte del Ministro per la Salute ha rappresentato una pagina nera nella storia della lotta all’HIV nel nostro paese e lo stesso Sirchia ha omesso di vigilare sull’applicazione del decreto Veronesi sulla donazione di sangue — unico lascito positivo del governo dell’Ulivo sui nostri temi — oggi disatteso in gran parte dei centri trasfusionali.

Se il governo si è schierato, su questo come su altri temi, su posizioni liberticide, nella maggioranza parlamentare si è aperto nel frattempo uno spiraglio e la proposta di legge sul Patto Civile di Solidarietà presentata alla Camera da Dario Rivolta ha raccolto 40 firme fra i parlamentari del centrodestra.

Questo fatto mostra che è possibile che si realizzi quel modello di trasversalità parlamentare che, come avvenne nel 1970 per la legge sul divorzio, consideriamo necessario per l’approvazione di una legge sulle coppie gay e lesbiche.

Che il nostro lavoro ormai ventennale stia producendo delle modificazioni culturali lo mostrano anche alcuni segnali provenienti da importanti settori delle gerarchie cattoliche: il cardinal Piovanelli, Arcivescovo di Firenze, ha dichiarato che i cristiani devono essere in prima linea nella “lotta ad ogni discriminazione in base all’orientamento sessuale”; la Conferenza Episcopale Toscana si è dichiarata favorevole all’inserimento nello Statuto regionale del “riconoscimento di alcuni diritti-doveri, inerenti le persone impegnate stabilmente in altre forme di convivenza”; il vescovo di Trapani, mons. Miccichè ha invitato a mutare atteggiamento nei confronti dei fedeli omosessuali.

Questi esempi di cambiamenti positivi si accompagnano, va da sè, a tantissimi altri di segno opposto, ma sarebbe comunque un errore ignorarli o sottovalutare il ruolo che le nostre azioni, oltre che la forza delle nostre idee, hanno giocato nel determinarli.

Oggi, a vent’anni dalla nascita dell’associazione, rilanciamo in modo forte una consapevolezza: i destini di libertà della nostra comunità sono nelle sue stesse mani, in un potenziale di numeri, di idee, di partecipazione che si è espresso ancora in modo parziale.

Sta a noi riuscire a scatenare un’energia ancora sopita perché narcotizzata da secoli di repressione sociale e psicologica che hanno lasciato un segno — pur se sempre più fievole – anche nelle nuove generazioni.

Per raggiungere questo obiettivo, rilanciamo come elemento strategicamente centrale l’autonomia della comunità glbt dalle forze politiche, di sinistra o di destra.

Le nostre lotte si radicano nel pensiero democratico e liberale e si esprimono in una cultura radicale nei contenuti e riformista nei metodi di azione ma, soprattutto, autonoma dai tentativi di subordinare la libertà degli individui e i diritti umani e civili ad altre priorità.

Le categorie di fondo delle grandi culture politiche democratiche del Novecento, da quella liberale a quella socialista fino al cattolicesimo popolare, contengono in potenza i germi di una effettiva liberazione degli individui ma nessuna di esse ha saputo, in quel secolo, affrontare fino in fondo i temi della libertà sessuale e affettiva, della critica al familismo maschilista, della lotta culturale e sociale all’omofobia diffusa.

I partiti politici che fanno riferimento a quelle pur nobili tradizioni non hanno nel loro dna il tema dell’uguaglianza giuridica e sociale delle persone omosessuali e faticano ancora oggi a considerare questi diritti come indisponibili.

Il tema di una radicale liberazione degli individui dal maschilismo e dall’eterosessismo non può essere subordinato a questa o quell’altra priorità politica: ogni pensiero politico-culturale che non voglia essere sommerso dal flusso della storia deve fare i conti fino in fondo con i temi che noi rappresentiamo, con i nostri corpi e le nostre vite prima ancora che con le nostre azioni politiche e le nostre forme organizzative.

Sulla base di queste premesse, ribadiamo che Arcigay risponde alla propria missione sociale, ai propri iscritti, ai bisogni insopprimibili di libertà e di riconoscimento della dignità della popolazione gay, lesbica, bisessuale e transgender del Paese.

Il principio dell’autonomia della nostra azione e dei diritti che rappresentiamo continuerà a guidarci nella nostra azione sociale, nelle alleanze politiche, nei comportamenti elettorali: mai ci schiereremo con chi non si schiera con noi, mai consegneremo cambiali in bianco ai partiti politici, mai chiameremo la nostra comunità ad esprimere il suo voto a favore di chi non si sia impegnato in modo chiaro e deciso nella promozione dei nostri diritti e delle nostre libertà.

3.LA NOSTRA VISIONE, LA NOSTRA MISSIONE, I NOSTRI VALORI

La nostra autonomia si fonda sulla consapevolezza della nostra identità, della nostra visione del mondo, della nostra missione e dei nostri valori.

Noi ci adoperiamo per una società laica e democratica in cui le libertà individuali e i diritti civili e umani siano garantiti e promossi senza discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e ogni altra condizione personale e sociale, e in cui la personalità di ogni individuo possa realizzarsi in un contesto di pace e di sereno rapporto con l’ambiente sociale e naturale.

Siamo impegnati a promuovere la piena realizzazione e la piena visibilità di ogni persona gay, lesbica, bisessuale e transgender e a combattere pregiudizio e discriminazioni sociali e normative attraverso la nostra rete di strutture territoriali che forniscono supporto socio-psicologico, progetti culturali, socializzazione, linee di telefono amico, produzione e programmazione culturale.

Vogliamo agire, a livello nazionale e livello locale, come forza di pressione verso istituzioni e forze politiche, sensibilizzano l’opinione pubblica, anche attraverso i mass media, costruendo alleanze con altre forze sociali che condividono la nostra visione della società.

La nostra azione si fonda su valori solidi: la promozione dei diritti umani e civili; la laicità e la democraticità delle istituzioni; l’inclusione sociale e il rifiuto di ogni discriminazione; il sereno rapporto fra ogni individuo e l’ambiente sociale e naturale; la solidarietà, la pace, il rifiuto di ogni totalitarismo; la democrazia interna, l’efficacia delle nostre azioni, la partecipazione, la trasparenza dei processi decisionali.

Questa è Arcigay e questo patrimonio di valori e di passioni vogliamo mettere al servizio della comunità glbt e della società tutta.

4. GAY E LESBICHE, IN CARNE ED OSSA

Il nostro impegno, oggi più necessario che mai, per l’ottenimento delle nostre storiche richieste di riforme legislative non deve mai farci perdere di vista la realtà concreta di donne e uomini omosessuali che guardano ad Arcigay come uno strumento sociale e culturale importante per dare risposte quotidiane a bisogni differenziati e in trasformazione.

Le numerose ricerche sociologiche e i sondaggi condotti negli ultimi anni, riferiscono che ad un importante cambiamento dell’opinione degli italiani nei confronti delle tematiche omosessuali (dalla lotta alle discriminazioni, ai diritti delle coppie) si accompagna una maggiore consapevolezza di sè da parte dei gay e delle lesbiche italiane. La soggettività omosessuale non si esprime più solamente nei luoghi deputati (locali ricreativi, rassegne culturali, manifestazioni), ma si sviluppa in una fitta rete di relazioni personali e associative che ampliano gli interessi e pongono domande nuove.

Se l’ultimo decennio ha segnato un vero e proprio salto in avanti nella qualità della vita di gay e lesbiche questo non è avvenuto in modo uniforme in tutto il Paese e non ha prodotto sempre una maggiore sicurezza e agibilità della propria condizione.

Questo è anche il risultato delle enormi contraddizioni che storicamente attanagliano l’Italia: arretratezza della classe politica e della cultura; condizioni economiche e sociali assai differenti tra il nord e il sud del Paese; tendenza ad occuparsi delle emersioni sociali quasi esclusivamente in chiave emergenziale.

Inoltre, i diritti acquisiti dai cittadini gay e lesbiche di quasi tutta Europa a differenza di quelli italiani, rendono sempre più evidente un senso profondo di insoddisfazione che può ingenerare, se non saremo vigili e attivi su questo versante, un sentimento diffuso di sfiducia anche nei confronti dell’associazionismo glbt.

La questione del benessere e della salute delle persone omosessuali rimane centrale.

Questo significa innanzitutto riuscire a potenziare la nostra incisività sulla questione della prevenzione dell’AIDS e delle altre malattie a trasmissione sessuale: su questo versante dobbiamo registrare un oggettivo rallentamento della nostra iniziativa a causa dell’ingiustificabile atteggiamento del Ministero per la Salute che ha smesso di supportare la nostra azione di prevenzione rivolta al target gay ignorando totalmente la realtà di un elevatissimo numero di nuovi contagi e di un aumento percentuale dei casi di infezione per via omosessuale.

A questa situazione dovremo fare fronte sia rilanciando la nostra iniziativa autonoma e sforzandoci di individuare risorse diverse da quelle ministeriali sia rilanciando la nostra opera di pressione pubblica contro la criminale politica sanitaria del Ministro Sirchia.

Il tema del benessere di gay e lesbiche, va da sè, non riguarda solo la questione AIDS, ma pone la necessità di un nostro intervento più generale sul tema della salute e della prevenzione del disagio sociale.

La profonda e ampia provincia italiana si sta accorgendo dei cittadini gay e lesbiche ma resistenze e pericolosi passi indietro sono sempre in agguato.

Nelle grandi aree urbane, verso cui non si è interrotto un flusso migratorio glbt, sono presenti alcuni problemi che vanno affrontati: aumento esponenziale di immigrati omosessuali che, spesso non riconoscendosi tali (e non solo quelli provenienti da realtà islamiche), hanno un rapporto problematico e conflittuale con i nostri servizi ricreativi; insufficienza, da parte della comunità glbt, degli strumenti di sostegno e aiuto verso alcune categorie, in particolare verso i giovanissimi, gli anziani, i diversamente abili.

Se nella provincia è assolutamente prioritario il tema dell’isolamento e, quindi, di una risposta sociale che riesca a creare reti e relazioni, nelle grandi città si aprono nuove questioni come la sicurezza, il dialogo interculturale, la sperimentazione di servizi stabili che sappiano rispondere alla domanda crescente di sicurezza sociale, terreno su cui si misurerà la nostra capacità di suscitare nuove disponibilità all’impegno.

Rimane sullo sfondo, come questione strategica, la necessità che i luoghi e le occasioni di incontro e aggregazione siano pensati per l’intera giornata di gay e lesbiche.

Nelle nuove generazioni, ma anche in altre fasce d’età e d’interesse, è palpabile la richiesta d’attività che siano aperte quando il sole è alto in cielo: oggi la presenza di gay & lesbian center multifunzionali, ma anche di attività commerciali e culturali più di settore, è assolutamente sottodimensionata rispetto alla domanda e su questo l’imprenditoria gay e l’associazionismo dovranno ragionare in modo approfondito.

Dobbiamo essere in grado di affrontare con idee e strumenti nuovi la questione meridionale che, come ci dicono diversi sondaggi, è per noi ancora totalmente aperta: la ricerca Eurispes del ’93 ha confermato la tendenza di molti gay italiani (il 38,7%) a trasferirsi nelle città del nord, più del doppio rispetto al dato generale dell’emigrazione sud/nord; la classifica delle città italiane in base alla vivibilità realizzato da Goletta Gay pone solo una città del sud fra le prime trenta.

E’ un problema di cui l’associazione tutta deve farsi carico: occorre avviare una riflessione concreta su come intervenire per modificare questa situazione e, soprattutto, occorre agire. Primi atti concreti in questa direzione potranno essere un coordinamento dei circoli del sud che riesca a mettere a fuoco i bisogni prioritari, il rilancio di una relazione forte con le amministrazioni locali anche col supporto dell’organizzazione nazionale, la ricerca, anche tramite fondazioni italiane e straniere, di risorse adeguate per consolidare la nostra presenza nelle regioni meridionali.

Un altro fenomeno ci richiede risposte nuove: la crescente presenza femminile all’interno dell’associazione.

Dopo la separazione del ’96 con Arcilesbica, Arcigay era diventata, di fatto, un’associazione quasi esclusivamente maschile, tranne che in alcune situazioni locali; la giusta e legittima esigenza delle lesbiche dell’associazione di trovare uno spazio associativo autonomo che mettesse le ali alla prima organizzazione nazionale lesbica italiana, però, aveva prodotto una situazione un po’ innaturale per i nostri circoli, di fatto costretti ad una separazione per sesso di cui i gay non sentivano l’esigenza.

Oggi tante lesbiche considerano Arcigay la loro casa, e la componente maschile dell’associazione ne è ben felice: è una nuova pagina che si apre e che ci vedrà pronti sia a valorizzare il ruolo delle donne nell’associazione sia a mantenere sempre più vivo e stretto il dialogo con Arcilesbica che consideriamo, per evidenti ragioni storiche ed affettive, il nostro referente più vicino all’interno del movimento.

5. RADICI PIÙ FORTI PER SVETTARE PIÙ IN ALTO

Arcigay può contare su una rete diffusa sul territorio nazionale e in piena espansione, il suo nome è noto all’opinione pubblica, la sua attività è conosciuta e la sua importanza riconosciuta; i mass media danno conto quasi giornalmente di nostre iniziative e prese di posizione sia in sede locale sia in ambito nazionale.

Dal Congresso del 2002 ad oggi sono stati tanti gli impegni dell’associazione sul piano nazionale, spesso supportati in modo attivo e diretto dai circoli locali: il rilancio della storica battaglia per le unioni civili con la campagna UnPACSAvanti e la bella manifestazione del Kiss2PACS; la vicenda del recepimento della Direttiva europea contro le discriminazioni sul lavoro; la contestazione di alcune scelte dissennate di questo governo come l’opuscolo Sirchia-Moratti sull’AIDS; la partecipazione a nuovi progetti europei come Triangle e Quba; la campagna contro il Lexicon del Pontificio Consiglio per la Famiglia; il progetto di ricerca con l’Istituto Superiore di Sanità che ha prodotto l’opuscolo “Pazienti imprevisti”; le due campagne di prevenzione Aids svolte dall’associazione senza alcun finanziamento ministeriale; un nostro contributo sempre più attivo alle attività di ILGA-Europe; la partecipazione al Pride di Gerusalemme all’interno della campagna QueerForPeace; la visita di una nostra delegazione e l’incontro con il Ministro della Cultura a Cuba; l’impegno per l’approvazione di statuti regionali non discriminatori; la realizzazione, da parte di nostri circoli locali, dei Pride a Milano, Padova, Bari e in Toscana; le manifestazioni annuali in ricordo di Alfredo Ormando, per la giornata della memoria, per il 25 aprile e il 1° dicembre; la bocciatura del progetto di legge sull’orario di chiusura delle discoteche che avrebbe seriamente danneggiato anche i nostri circoli ricreativi; l’iscrizione all’ordine del giorno dei lavori della Camera, il 1 luglio scorso, della proposta di legge sul PACS.

La strada intrapresa a Riccione verso il consolidamento della nostra organizzazione ha prodotto risultati significativi: un consolidamento dello staff operativo dell’associazione, una maggiore efficacia e un’assoluta trasparenza dei bilanci, un consolidamento della logica degli incarichi di segreteria sulla base di un programma verificabile periodicamente, la collegialità delle decisioni in Consiglio nazionale, la sperimentazione dei coordinamenti regionali, la trasformazione del programma di tesseramento con il nuovo sistema on line in via di definizione, la crescita della nostra base associativa, la nostra presenza in un numero crescente di province italiane.

E’ necessario operare un’accelerazione del nostro progetto di costruzione di una concreta comunità gay, attrezzata di servizi e di strumenti, dotata di un’organizzazione sempre più democratica, partecipata, radicata nel territorio.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario avviare una profonda ristrutturazione dell’organizzazione Arcigay aggredendo alcune sofferenze strutturali che le impediscono di essere appieno uno strumento moderno, di servizio, avvertito come utile.

Dentro la nostra associazione convivono di fatto due strutture, quella politico-culturale e quella ricreativa, il cui rapporto rappresenta un nodo che non si è mai sciolto del tutto.

Arcigay è la più grande organizzazione politica gay e lesbica italiana e allo stesso tempo il più grande imprenditore gay, un caso unico al mondo che in questi vent’anni ha dato vita a una delle esperienze più originali e importanti del panorama glbt europeo alla cui peculiarità non intendiamo rinunciare: Arcigay è politica, è cultura, è servizio, è aggregazione, è divertimento.

Il circuito ricreativo non ha solamente permesso di avere a disposizione risorse finanziare essenziali per la vita dell’associazione ma, negli ultimi anni, ha contribuito sempre più alla veicolazione delle nostre campagne nazionali, come sull’AIDS o sul PACS, è diventato sollecitatore e organizzatore di iniziative culturali e sociali.

Oggi è nostro dovere dotare questo circuito di alcuni strumenti che gli consentano di valorizzare le sue diverse potenzialità: una vera promozione dei nostri circoli ricreativi e l’attivazione di strumenti di consulenza legale e fiscale renderanno sempre più forte una struttura che può aspirare nel prossimo periodo ad ampliarsi e qualificarsi.

In questo senso dal 2002 abbiamo cercato di rendere più stringenti e condivisi le regole e i rapporti associativi, lavoro che ha portato i suoi frutti: oggi molti circoli ricreativi si sentono partecipi delle battaglie che condotte da Arcigay e sono disponibili a contribuire ad una riforma generale dell’organizzazione.

L’estensione della rete dei circoli politici pone la necessità di riflettere sull’incidenza che queste realtà hanno nell’ambito del proprio territorio.

Molti nostri circoli hanno rapporti con gli enti locali, presentano progetti e strutturano servizi: nondimeno, la mutazione in atto del complesso delle istituzioni italiane ci impone una revisione del nostro agire locale.

I comuni, le province e soprattutto le regioni costituiscono i vari livelli del decentramento amministrativo e politico con cui, con più continuità e capacità relazionale, dobbiamo fare i conti.

Il nostro impegno per reperire sedi e risorse economiche e per attivare sportelli di servizio, attività di formazione o nuovi strumenti sociali d’intervento come, ad esempio, alloggi per giovani gay cacciati da casa o case-famiglia per anziani soli va potenziato in un rapporto stretto con le varie competenze territoriali.

Solo questa consapevolezza può, accompagnata da un aiuto più costante delle competenze presenti a livello nazionale, rendere stabili e forti circoli oggi ancora troppo condizionati da una incertezza strutturale nel reperimento delle risorse necessarie alla propria attività.

È possibile ipotizzare fin d’ora la costruzione di un’organizzazione più solida e ramificata sul territorio, dotata di strutture regionali e provinciali in tutto il Paese.

Si tratta di un percorso politico ed organizzativo complesso che chiama in causa non solo la forma statutaria dell’associazione, ma anche le pratiche concrete di azione politica, il rapporto fra i circoli e nuove strutture territoriali, le relazioni fra il circuito politico culturale e i circoli ricreativi.
È una strada che vale la pena di percorrere, a partire dall’appuntamento congressuale, per progettare uno sviluppo dinamico dell’organizzazione, per ragionare insieme delle forme organizzative più adatte per un’associazione che cresce e che cambia.

Alcuni cambiamenti avranno bisogno di modifiche statutarie sostanziali su cui avviare una riflessione approfondita, altri possono essere avviati già da adesso come sperimentazione di una nuova forma associativa fondata su un rapporto più strutturato fra centro e territorio: la creazione dei coordinamenti regionali, una maggiore convergenza fra la nostra azione e i nostri progetti in ambito locale e in ambito nazionale, una relazione più forte fra i circoli politico-culturali e le strutture ricreative presenti sul territorio.

Questo percorso va accompagnato da una ridefinizione del ruolo degli organismi dirigenti attraverso alcune misure innovative anche statutarie: un ragionevole ampliamento numerico del Consiglio nazionale che tenga conto della crescita dell’associazione negli ultimi anni, una più netta definizione del ruolo del Segretario nazionale come coordinatore della struttura associativa, l’istituzione di un organismo statutario di garanzia.

In questo quadro si renderà necessario organizzare gli obiettivi prioritari dell’associazione in un piano strategico di medio e lungo termine, articolato nelle attività specifiche per realizzarlo.

Su queste attività, riviste annualmente, dovranno essere stabilite le direttive di bilancio e di programma dei membri della segreteria, in un’ottica di consolidamento della logica di programma che renda sempre più verificabile e condivisa l’azione dell’esecutivo.

Contemporaneamente va rilanciato il ruolo di supporto dell’organizzazione alle sue ramificazioni territoriali, attraverso la formazione dei quadri dirigenti locali e degli operatori volontari dei circoli, la logica della progettazione su obiettivi comuni, la pianificazione di una più solida attività di fund raising, la costruzione di un più forte senso di appartenenza delle strutture locali all’associazione.

6. VENT’ANNI IN MOVIMENTO

Il 2005 rappresenta il ventennale di Arcigay: questa non può non essere per noi l’occasione per un bilancio di lungo periodo.

Il 5 aprile del ’72 il primo gruppo del FUORI era uscito allo scoperto per denunciare la psichiatrizzazione dell’omosessualità, dando l’avvio alla presenza di un movimento gay nel paese: alcuni temi tabù come la libertà sessuale, l’amore fra gay e fra lesbiche, il cambio di sesso furono posti per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica italiana.

L’utopia rivoluzionaria di quel decennio travolse anche gay, lesbiche e trans, facendo fiorire tanti collettivi omosessuali e ponendo le basi per un nuovo salto di qualità nei primi anni Ottanta: nel giro di quattro anni nascevano l’ARCI Gay di Palermo, il Cassero di Bologna, il Mario Mieli di Roma e il CIG di Milano; il Consiglio ‘Europa votava — nell’81 – la raccomandazione 924 "Sulla discriminazione contro gli omosessuali"; il Parlamento italiano — nell’82 – approvava la legge 164 sul cambio di sesso.

Nell’ 1985 la costituzione dell’ARCI Gay a livello nazionale apriva una fase nuova: la costituzione di un soggetto politico unitario formato da quasi tutti i gruppi gay italiani dava unità e visibilità al movimento gay, creando servizi socio-sanitari, culturali e aggregativi, imponendo la questione omosessuale sui media e avviando la pratica di un responsabile riformismo politico basato su relazioni istituzionali e su concrete richieste legislative.

Il ’94 è un altro anno di svolta, che si apre col massimo dell’unitarietà e del rilancio: Arcigay riconosce la presenza delle donne e diventa Arcigay-Arcilesbica mentre i buoni rapporti nel movimento consentono l’organizzazione unitaria del 1° Gay Pride nazionale nella capitale.

Ma il movimento è cresciuto e sono emerse nuove soggettività (le lesbiche, le trans, il pensiero queer e transgender); Arcigay stessa è diventata il contenitore di una complessità ormai troppo variegata; Berlusconi ha portato al governo i post-fascisti dell’MSI rendendo più incerta la strategia di un rapporto col parlamento e col governo e favorendo l’emergere di una pratica gay antagonista.

L’autonomizzazione di Arcilesbica, nel ’96, come la fuoriuscita da Arcigay di un’area antagonista, sono segnali positivi di una nuova articolazione ma compare anche un alto tasso di conflittualità interna: come spesso accade ai movimenti a cui è precluso un chiaro sbocco politico il movimento glbt, come intanto inizia a chiamarsi, inizia a divorare se stesso.

Questo non impedirà di ottenere risultati importanti su vari fronti: dalle 90.000 firme raccolte da Arcigay sulle Unioni civili, alla partecipazione ai primi progetti europei, dall’avvio della stagione dei corsi di formazione per insegnanti patrocinati dal Ministero dell’Istruzione fino allo storico evento del World Pride del 2000.

Intanto il movimento è cresciuto: Arcigay ha superato i centoventimila iscritti, ampliando non solo la rete dei circoli ricreativi — segnale di una comunità che esce allo scoperto — ma anche la rete dei circoli politici: Cosenza, Grosseto, Pistoia, Piombino, Ferrara, Genova, Torino, Ivrea, Sondrio, Cremona, Bassano, Piacenza, Ravenna, Salerno hanno visto nascere o rinascere un nostro circolo negli ultimi tre anni.

I mezzi di comunicazione sono aumentati fortemente: da Pride! a Gay.tv, da Gay.it a Gaynews fino alle tante riviste nazionali e locali e ai tanti portali gay, la comunicazione all’interno della comunità si è ampliata enormemente.

Anche la visibilità esterna delle nostre istanze è fortemente cresciuta, come hanno mostrato le recenti elezioni europee ed amministrative: numerosi candidati e candidate glbt, alcuni eletti a pieni voti; decine e decine di candidati al parlamento europeo – di cui una ventina eletti/e – che hanno firmato un impegno scritto riconoscendoci come un’importante parte dell’elettorato.

Oggi l’Italia ha una legge — per quanto insufficiente — contro le discriminazioni antigay sul lavoro; diverse Regioni hanno inserito nei loro Statuti l’orientamento sessuale e una nuova visione della famiglia; la maggioranza degli italiani è favorevole al matrimonio civile fra gay e fra lesbiche: questi mutamenti non sono avvenuti da soli, ma grazie al movimento glbt italiano.

Questo movimento è una realtà in crescita come diffusione sul territorio, competenze politiche, azione concreta e ha prodotto una rivoluzione culturale nel Paese; contiamo nostri rappresentanti in Parlamento e nelle amministrazioni locali; ogni forza politica ha, nel bene o nel male, una sua posizione sui nostri temi, ogni quotidiano esprime su di noi una propria linea editoriale.

Dentro questo movimento Arcigay mantiene un ruolo fondamentale e a tutt’oggi insostituibile e ne rappresenta il più forte elemento unitario: trentacinque circoli politici in altrettante città sono un elemento di unità che non trova confronto in Europa e che ci consegna una grande responsabilità.

Esistono altre associazioni che svolgono funzioni analoghe, come Arcilesbica che ha scelto la stessa strada di dare forza ai gruppi territoriali attraverso l’unità; sono sorte altre reti nazionali, come il Coordinamento degli omosessuali credenti, l’Agedo, Gayus Alètheia ma anche organizzazioni di parte come il Coordinamento Omosessuali DS o GayLib, l’associazione di centrodestra di cui, nonostante qualche episodica incomprensione, riconosciamo il ruolo non facile.

Noi non mancheremo di spenderci per costruire relazioni forti e obiettivi comuni con ogni realtà che in questo movimento si riconosce a partire dalla piena autonomia di ognuno ma a condizione di una piena reciprocità di rispetto e riconoscimento.

Sono accaduti fatti nuovi su questo piano: la grande convergenza di quasi tutto il movimento sulla centralità strategica della richiesta di una legge sul PACS mostra che questa è un’esigenza sentita.

Questo non è per nessuno l’unico tema: su altri obiettivi, dalle norme antidiscriminatorie alla legge sulla fecondazione assistita alla piccola soluzione per il cambio di sesso, c’è già una consonanza di fondo che è bene vada rafforzata.

Ad ogni modo, la nostra piattaforma politica resta saldamente ancorata a quanto chiesto dalla Risoluzione di Strasburgo del febbraio 1994: la fine di ogni forma di discriminazione giuridica fondata sul’orientamento sessuale, cioè la piena parità di diritti per gay e lesbiche e la piena equiparazione giuridica delle coppie dello stesso sesso a quelle eterosessuali.

Il tema di una forma di riconoscimento delle coppie gay e lesbiche come primo passo verso la piena equiparazione rappresenta oggi la massima priorità, perché ci lega a tutti i movimenti glbt europei che di questo punto hanno fatto la questione centrale.

Arcigay ha proposto una ipotesi a cui le sigle italiane hanno aderito come mai prima: quella di una legge alla francese, diversa e distinta dal matrimonio e perciò più facile da ottenere nella difficilissima situazione italiana: questo è l’obiettivo su cui si è creata la maggiore consonanza all’interno del movimento glbt, questo dovrà essere il terreno su cui si gioca la partita decisiva con la politica italiana.

Se è vero che Arcigay ha condotto il movimento omosessuale italiano verso una responsabile pratica di relazioni politiche e istituzionali in vista del raggiungimento di obiettivi concreti, ne consegue necessariamente una valutazione politica.

Dopo vent’anni di semina è venuto il tempo necessario della raccolta: a chi in questi anni ci ha aiutato a preparare il terreno e a diffondere nella società italiana tematiche che sembravano impresentabili oggi chiediamo di essere al nostro fianco nella produzione di un risultato legislativo concreto.

Questo risultato per noi non può essere niente di meno dell’approvazione di una legge che garantisca diritti concreti – fiscali, pensionistici, previdenziali – e riconoscimento di status giuridico alle coppie gay e lesbiche.

Chi non vorrà essere parte della soluzione di questo nodo storico sarà inevitabilmente parte del problema e così lo considereremo, a partire dalle prossime elezioni politiche.

Una decisa unità dell’intero movimento su questo punto sarà fondamentale per avvicinarci a questo traguardo storico: l’organizzazione unitaria di un grande Pride nazionale a Milano nel 2005 — proposta che abbiamo lanciato, insieme ad Arcilesbica, all’intero movimento glbt italiano – potrà essere la prova di forza decisiva della nostra comunità verso la classe politica e il nostro messaggio di amore e di civiltà all’intero Paese.

Il lavoro che ci aspetta è grande e faticoso, ma lo porteremo avanti con la determinazione, l’impegno e la gioia di chi sa che sta dando un contributo non solo alla propria liberazione e a quella dei propri fratelli e delle proprie sorelle, ma alla più generale costruzione di una società più libera e più giusta.

A partire da questa consapevolezza, non mancheremo di fare sentire la nostra voce e di continuare a costruire nuove ali alla libertà.

20 novembre 2004,

Sergio Lo Giudice
Aurelio Mancuso
Franco Grillini
Alberto Baliello
Michele Bellomo
Paolo Ferigo
Riccardo Gottardi
Renato Sabbadini
Luigi Valeri
Alessandro Zan
Santo Balastro
Cinzia Barbieri
Andrea Benedino
Davide Blanc
Giampietro Bucciarelli
Davide Buzzetti
Bert D’Arragon
Roberto Dartenuc
Riccardo Distort
Giorgio Dell’Amico
Ingrid Facchinelli
Enrico Fusco
Salvo La Rosa
Fabrizio Marrazzo
Zeno Menegazzi
Duccio Paci
Andrea Panerini
Walter Pergolis
Piero Pisano
Giuseppe Sartori
Flavio Romani
Michele Roner
Lorenza Tizzi
Alessandro Tosarelli
Antonio Trinchieri
Adriano Virone


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