Sul treno della memoria

  

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per la via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.

Primo Levi

Questo viaggio nella memoria comincia martedì 25 gennaio con la partenza dei due Treni della memoria (giallo e blu). Assieme all’amico Francesco Renda (di Azione Gay e Lesbica Firenze) vengo aggregato alla delegazione di amministratori locali, deputati regionali, funzionari della Regione e parlamentari degli studenti.

Il viaggio, sia all’andata che al ritorno, sarà molto lungo. Quasi venti ore alternate a soste ai confini di Austria, Repubblica Ceca e Polonia per problemi tecnici e controlli dei documenti.

Auschwitz ci accoglie la mattina del 26 con una forte nevicata e un gelo pungente. Oswiecim (il nome polacco di Auschwitz) è in vista e il campo n. 1 (con il quartier generale delle SS e la palazzina del comandante del campo Rudolf Hoss) si apre con l’immagine cinica e agghiacciante del cancello in ferro sovrastato dalla scritta “Arbei macht frei”, il lavoro rende libero, la proporzione del sadismo nazista. Davanti al “Muro della morte”, dove venivano fucilati ribelli, prigionieri militari e chiunque sgarrasse le regole militare, parla il Presidente Claudio Martini. A fianco c’è il blocco 11, tristemente famoso per i suoi sotterranei dove venivano compiute inenarrabili torture. Ci sono quasi 1400 persone, in gran parte studenti.

Molti ragazzi ci chiedono curiosi il significato del grande triangolo rosa che portiamo, spillato al cappotto. Con emozione parliamo delle deportazioni degli omosessuali. Viene ribadito l’orrore davanti alla barbarie nazista e il desiderio di non limitare la ricerca storica e la conoscenza, pur dolorosa, di quel periodo. Perché quel che è accaduto non si ripeta più. Al termine della commemorazione io e Francesco doniamo un triangolo rosa a Martini, per ringraziarlo e invitarlo a non desistere dai suoi propositi.

Auschwitz è il simbolo di tutte le persecuzioni nazifasciste quindi anche di quella degli omosessuali anche se qui furono deportate solo poche centinaia di triangoli rosa (i campi più “specializzati” furono Sachsenhausen e Flossenburg). Al ritorno a testa bassa, con il silenzio (il gruppo è in lontananza) si avverte l’enormità dell’accaduto e in mezzo ad un refolo di vento gelido sembra di sentire il lamento del milione di persone uccise qui (assieme a Birkenau). Guardiamo i capelli, le scarpe, i vestiti di uomini, donne, bambini che sono stati uccisi. Le foto dei ragazzini avviati al lavoro adulto pur di avere la speranza di sopravvivere. Molti non ce l’hanno fatta. In pochi hanno avuto la vita indelebilmente segnata. Ci spiegano il meccanismo mortale usato dai nazisti. Gas prussico. Un modo doloroso per morire.

Il 27 viene dedicato all’incontro con i reduci italiani e polacchi sopravvissuti ai campi di sterminio al Palazzetto dello sport di Cracovia. Toccante la testimonianza di due sorelle (Andra e Tatiana Bucci) di Fiume deportate ad Auschwitz a 4 e 6 anni assieme a tutta la loro famiglia e miracolosamente scampate alla camera a gas. Poi ascoltiamo la testimonianza di un polacco impiegato come operaio nei forni crematori e nelle camere a gas. Nella sua voce rotta dalla commozione vediamo l’angoscia e la disperazione di una persona costretta a barattare la propria speranza di vita con l’uccisione di centinaia di migliaia di persone. Francesco parla a nome della comunità GLBT sulla nostra persecuzione dal palco. Poche parole emozionate e ascoltate da un silenzio impressionante.

La sera dopo cena andiamo a verificare la condizione delle persone GLBT locali della città di Cracovia dove siamo alloggiati (poiché nelle prossimità dei campi non ci sono alberghi). La situazione è sconfortante non nel numero ma nella cognizione della vita gay nella città. I ritrovi sono tutti club privati (bar con darkroom e saune). Di associazioni neanche l’ombra. Sembra forse di trovare nell’Italia di trenta anni fa. Ci raccontano che l’atteggiamento delle autorità nei loro confronti rasenta la vessazione. Passano gli anni ma i gay e le lesbiche continuano ad essere perseguitati.

Il 28 mattina visitiamo il campo di sterminio più grande della storia: Birkenau (Auschwitz II). La maggior parte delle baracche e dei forni crematori sono inagibili perché fatti saltare in aria dai nazisti in ritirata. Birkenau è dal unto di vista emotivo meno coinvolgente, almeno in apparenza. Tuttavia rende l’idea della perfezione del meccanismo di sterminio (il collegamento tra rete ferroviaria, baracche di deportati e camere a gas) e della dimensione sterminata di esso. Ci stacchiamo dal gruppo e tentiamo una lettura a parte del campo. Sfidando la neve ci avviciniamo al blocco dove il dottor Mengele realizzava i suoi infami esperimenti. Un piano di pietra… forse il tavolo operatorio? Non sappiamo e ci avviamo mesti verso l’uscita.
La sera assistiamo stanchi e tristi allo spettacolo, offerto dalla Regione, di canti ebraici sia tristi che buffi dedicati alla shoah.

I giorni successivi (29 e 30) sono dedicati alla visita delle bellezze storiche di Cracovia e alle procedure di rientro. Immancabili i riferimenti ai luoghi dell’episcopato di Karol Wojtyla (l’attuale pontefice Giovanni Paolo II) e alla tradizione cattolicissima della Polonia, responsabile anche di una diffusa cultura omofoba. Chi è andato in questi posti della memoria non può che tornarne muto. Chi si appresta a visitarli si ricordi dell’appello di Primo Levi. Tra qualche anno non avremo più la preziosa presenza di chi ha vissuto direttamente questi orrori. E’ qui che si innesta l’importanza della Memoria e della ricerca storica. Perché è importante dire “Mai più” ma bisogna creare le condizioni perché realmente queste aberrazioni dell’uomo non possano più accadere. Anche dopo Auschwitz l’uomo è ricaduto in episodi molto simili. Dalla Birmania alla ex Yugoslavia. La vera conoscenza del passato e condizioni di giustizia in tutti i popoli sono le condizioni essenziali per raggiungere questo obbiettivo primario della storia.

Andrea Panerini


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