E vissero a Pisa gay e contenti

  
Pisa

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Un passaparola si è diffuso ai gay pride italiani: «Venite a Pisa, ci si può baciare al ristorante, tenersi mano nella mano in centro».

Ci sono cose che ormai solo una coppia gay sa apprezzare appieno, e Pisa ha lanciato sul mercato il suo prodotto da mulino bianco gay: la normalità borghese.

Anche se non è proprio come in Spagna dove gli omosessuali possono sposarsi e adottare figli, qui è pur sempre la fine della clandestinità. Questa è la prima città italiana dove, otto anni fa, molto prima di Pistoia, un consigliere comunale volle e ottenne il registro delle unioni civili.

Una delle prime a iscriversi fu una coppia di due lesbiche, e già allora ‘arcivescovo Alessandro Plotti si preoccupò, molto prima del suo collega vescovo Simone Scatizzi di Pistoia.

Il consigliere comunale che volle il registro era Sonia Bernardini. Oggi ricorda: «Facendo uscire i gay dalla clandestinità abbiamo fatto morale».

Talmente morale che otto anni dopo si è arrivati al neoconservatorismo gay.

Oggi a Pisa Mauro Vaiani, 42 anni, chiamato anche la «Checca nera» perché omosessuale e di centrodestra, annuncia: «Qui rifiutiamo di essere coinvolti in una vita solo di sesso, divertimento, glamour.

Rivendico il neobigottismo gay: una voglia di famiglia, valori, tradizioni». Guardate i due ragazzi abbracciati in piazza dei Miracoli: Luca Sgherri, 21 anni, e Oscar Lizarraga, 24. Si tengono per mano sotto la torre pendente. Dice Luca: «Sono cinque anni e mezzo che stiamo insieme, vogliamo ufficializzare il nostro amore».

Nella città che fu il rifugio degli esuli, da Giuseppe Mazzini al poeta inglese George Gordon Byron, su una popolazione di 89 mila abitanti i gay sono il 12 per cento: due punti in più rispetto alla media nazionale.

Nel rapporto italiano sulle 3T (talento, tecnologia, tolleranza), stilato dal Creativity group Europe, Pisa è al secondo posto, dopo Bologna, tra le città più tolleranti ‘Italia verso gay e lesbiche. Come può un posto così piccolo essere più tollerante di Milano?

La prima risposta è la rete di pubbliche relazioni di un lobbista di 35 anni: Alessio De Giorgi, un uomo alto e bello, che arrivò qui da Torino, è figlio di un sindacalista, è presidente del’Arcigay Toscana e imprenditore nel mercato omosessuale.

Con Christian Panicucci, il suo compagno francese, ha firmato al consolato di Francia un pacs, patto civile di solidarietà, cioè un contratto di mutua assistenza tra due persone. Ha fondato il sito gay.it, il primo sito gay e lesbico italiano, con 500 mila visitatori il mese, posseduto al 45 per cento da gay.com, una società di San Francisco. Ha fondato anche Out Travel, rete di 15 agenzie specializzate in viaggi per clienti omosessuali.

Christian ha aperto il Mama mia, locale gay sul lungomare di Torre del Lago, che pretende di non essere un posto di sessualità clandestina, ma di gaia normalità. E Alessio ha creato Friendly Versilia, consorzio di 40 imprese (locali notturni, bed and breakfast, ristoranti, alberghi, anche un campeggio) che ha appena ottenuto 49 mila euro dalla Regione per promuovere il turismo gay.

Sui volantini di Friendly Versilia ‘è scritto: «’è un posto in Italia dove non sei giudicato per i tuoi peccati, ma per la tua abbronzatura». In marzo anche ‘Apt (‘Azienda provinciale del turismo) ha pubblicato il primo dépliant in cui si pubblicizza il turismo gay. La seconda risposta si chiama Claudio Martini, occhi chiari ed eloquio curiale, presidente di centrosinistra della Regione Toscana.

Nello statuto regionale, Martini ha stabilito il riconoscimento di tutte le convivenze, comprese quelle gay, e il divieto di discriminazione per orientamento sessuale.

Ha anche voluto una legge antidiscriminazione, impugnata dal governo, che prevede il diritto di prendere decisioni sulla salute del compagno e fino a 3 mila euro di multa per gli esercenti che rifiutano clienti transessuali. «La Toscana vuole affermare» dice Martini a Panorama «una società aperta alla differenza e non si rassegna a vedere intralciate le precedenze costituzionali. Favorire ‘integrazione produce normalità. Il nostro è un progetto pilota, come quello del premier spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero».

Gay.it ha pubblicato un questionario online.

Hanno risposto 10 mila persone. Alla domanda: «Ritieni che nella tua città vivere una relazione di coppia omosessuale sia più possibile e più facile che altrove?» a Pisa il 63 per cento ha risposto sì.

Giulio Maria Corbelli, caporedattore del sito, è arrivato da Lecce perché qui può anche portare in giro il fidanzato. «Qui» dice «ho finito per fare il frocio di professione.

‘è gente che ha scelto di venire a studiare in ques’università in virtù della gaytudine della città». Nella Pisa del focolare gay, il punto ‘incontro è ‘Absolut, «’unico circolo arcigay ‘Italia dove» dicono qui «non si scopa, ma si parla».

Paolo Spinelli, 55 anni, e Michele Boggia, 35, stanno insieme da 17 anni. Michele è infermiere al’ospedale Santa Chiara.

Il reparto chirurgico dove lavora è soprannominato «Gay surgery» per il numero di omosessuali che lo bazzicano. Paolo è in pensione. Prima, per fare studiare Michele da infermiere, faceva il commesso in un negozio di elettronica. Sarà che 17 anni di fidanzamento sono tanti, i due si punzecchiano come Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.

Però: «Tra noi è stato amore a prima vista». Diversamente dai Vianello, «a noi manca il matrimonio».

Sandro ha 40 anni e lavora a Pisa nelle forze armate. Non vuole dire quali forze armate, anche a Pisa il vero tabù resta rivelare la propria omosessualità sul posto di lavoro. Una delle domande del sondaggio di gay.it era: «Qualcuno sul luogo di lavoro è al corrente del tuo orientamento sessuale?». A Pisa, ’80 per cento ha risposto no.

Sandro era sposato, ha due figli. Dopo 13 anni di matrimonio, si è accorto che il rapporto con sua moglie non funzionava più. Si sono separati. Ora balla con uno dei suoi figli alla festa del’Unità, mentre sul palco si esibiscono le drag queen Regina Miami e Markesa.

Sventola la bandiera della pace dietro i ragazzi «travestiti» che si agitano e cantano una canzone dedicata alla Spagna di Zapatero.

Regina Miami, che ha appena festeggiato i suoi 11 anni da drag queen, in realtà si chiama Nunzio e faceva il vetrinista a Torino, dice: «Pisa è un posto molto segreto, dove nulla è evidente. Ma ci sono molti più gay qui che a Torino e noi» aggiunge indicando la pista sotto il palco «abbiamo creato dei mostri: tutti questi ragazzi, gay e lesbiche, che ballano al ritmo di Raffaella Carrà».

Sostiene il sindaco diessino Paolo Fontanelli che la sua città vuole mostrare «apertura e tolleranza totale».

Ma sostiene ‘arcivescovo Plotti che «la legittimazione delle unioni di fatto, che potrebbero diventare unioni di diritto, ha aperto una strada pericolosa».

Sul lungomare di Torre del Lago, il transessuale Regina con il suo bar Priscilla, preferito dalle ragazze lesbiche, apre la strada al paese dei balocchi del consorzio turistico Friendly Versilia: spiaggia, discoteche, ristoranti, bar gay. ‘ultimo locale, un lounge bar, è ancora in costruzione, si chiamerà La Plaza, il suo proprietario arriva dal Belgio.

Dice Regina: «Tra ’89 e il’92 mi sono costruita la mia identità di oggi: elettrocoagulazione, cure ormonali, seno nuovo. Era ‘epoca in cui noi trans non avevamo voglia di uscire la mattina e vivevamo solo la notte. Ora vado alle riunioni degli imprenditori». Ora anche Regina è diventata una ragazza borghese.

Il 17 agosto in Versilia arriveranno i Village People, il vecchio gruppo gay americano, per il Mardi gras, un festival degli omosessuali italiani. Canteranno la loro canzone più famosa: Ymca. Dice: «Young man, there is a place you can go» (Ragazzo, ‘è un posto dove puoi andare…).

Oggi sembra lo spot di Pisa, la città del focolare gay.


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