La corsa dell’Unione al voto omosessuale

  
Franco Grillini con la bandiera del PACS

Franco Grillini con la bandiera del PACS

Venghino, siore e siori. Venghino a Torre del Lago. Ci sono le lesbiche che si baciano bevendo tequila e c’è Costantino della Gherardesca che si aggira con le unghie dipinte di nero. Ci sono i frocetti che ballano, i gay anziani che si abbracciano, i grossi e i grassi (in gergo li chiamano “orsi”) che ostentano pelo e muscolo, cercando il grande amore. Ci sono anche due drag queen che vanno all’assalto di un tizio molto compassato, ben vestito di scuro. «Una foto! Una foto!» invoca Markesa, quella alta e magra, tutta leopardata. «La mia mamma sviene di sicuro!» cinguetta Regina, quella in abito viola e parrucca blu. Il tizio sorride, le abbraccia, si mette in posa. Flash. È Antonio Di Pietro, alle prese con due potenziali elettori.

Fino a un attimo fa era sul palco del Mardi gras, la grande kermesse gay della Versilia, a gridare: «Il centrosinistra è da una vita che prende impegni con voi, e poi rimanda a domani». Applausi. «Sempre domani, domani». Ovazione. «Domani è sempre un altro giorno! È ora di finirla!». Boato. Su questo palco ieri c’era Alfonso Pecoraro Scanio, leader dei verdi, colui che da ministro, nel 2000, si spinse a dichiarare che «la bisessualità mediterranea è una gran bella cosa» («e non mi sono mai pentito di averlo detto»). Davanti a 8 mila persone ha firmato un contratto con gli elettori che prevede «approvazione dei Pacs, i patti civili di solidarietà; una legge contro la discriminazione; il dimezzamento del costo dei preservativi». Perché «i preservativi in Italia costano uno sproposito!» Applausi. «Nelle scuole bisogna distribuirli addirittura gratis!» Folla in delirio.

Benvenuti alla lotta per le primarie. Alla conquista dell’elettorato Glbtq, ossia gay lesbo bisex transgender queer, cioè tutto il vasto mondo che non si riconosce nell’ortodossia etero: almeno tre milioni di elettori, secondo varie stime, che da quando Nichi Vendola ha spuntato la presidenza della regione Puglia, e Zapatero ha fatto approvare in Spagna il matrimoni gay, improvvisamente è diventato appetibile per tutti. «Sarà la campagna elettorale a più alto tasso di omosessualità nella storia d’Italia» se la ride Franco Grillini, deputato ds e fondatore dell’Arcigay, spaparanzato sulla terrazza del Mama mia, a Torre del Lago. «Solo tra i candidati alle primarie abbiamo un bisessuale, Alfonso Pecoraro Scanio, e un omosessuale, Ivan Scalfarotto, che si sono dichiarati. Tutti i partiti parlano di Pacs. La questione gay è al centro dell’agenda politica nazionale».

E delle strategie acchiappavoti, ovviamente. Tutti i sondaggi sull’elettorato Glbtq dicono questo: che il 25 per cento delle preferenze, all’incirca, va a Forza Italia; il 20 per cento ai radicali; il 55 per cento alla sinistra. Agli altri vanno solo gli spiccioli. O meglio: andavano. Perchè il centrosinistra, tradizionale terminal del voto gaylesbico, si trova adesso ad affrontarne la rivolta, e se non corre ai ripari nel 2006 «sarà il trionfo del liberi tutti» come spera il giornalista tv Alessandro Cecchi Paone, in corsa col centro destra per «intercettare il voto omosessuale liberale e libertario» (vedi riquadro).

Com’è che l’idillio s’è rotto? «Abbiamo firmato troppe cambiali in bianco» scandisce l’autorevole voce di Aurelio Mancuso, segretario nazionale dell’Arcigay, 120 mila iscritti e un conto «aperto» con Prodi. «Il centrosinistra, quand’era al governo, non ha approvato la legge sulle unioni civili per non scontentare i cattolici, col risultato che al nostro ultimo congresso c’erano centinaia di persone arrabbiate a morte coi baciapile dell’Unione».

Baciapile? Baciapile, sì. Il 28 luglio, a Roma, alla conferenza Glbt organizzata da Rifondazione per sostenere la candidatura di Fausto Bertinotti alle primarie, baciapile è stata il concetto più gettonato. Perché «io mi sono stufata a morte di sentirmi dire abbi pazienza, c’è Mastella, c’è la Margherita, c’è il Vaticano! Ma dobbiamo tornare ai Savoia per avere uno stato laico?» si è sfogata Marcella Di Folco, presidente del Mit (Movimento identità transessuale), colossale presenza in veste maculata, riprendendo le parole della drag queen Vladimir Luxuria, prima firmataria dell’appello pro-Bertinotti: «Nel nostro paese non esistono solo Mastella e Rutelli. Ci siamo anche noi, e abbiamo tanta voglia di sinistra».

È una situazione, dicono, ai limiti dell’assurdo. «Ci ritroviamo, per mancanza di alternative, a sostenere politicamente partiti e soggetti che non vogliono e non sanno rappresentarci» sostiene Porpora Marcasciano, storica attivista del movimento trans, altra fan di Bertinotti. E conferma Gigliola Toniollo, responsabile dell’ufficio Nuovi Diritti della Cgil: «Il risentimento nei confronti di Prodi è diffusissimo. Mi sanguina il cuore a dirlo, ma non credo che molti omosessuali voteranno per lui alle primarie».

Forse lo voterà Andrea Benedino, portavoce nazionale di Gayleft, la lobby omosessuale ds che, però, ha invitato il partito a raccogliere le firme per il candidato gay Scalfarotto. Benedino prova a difenderlo, Prodi: «La mancata approvazione dei Pacs non è stata solo colpa sua. Rifondazione non è esente da responsabilità. L’allora presidente della commissione giustizia, Giuliano Pisapia, non ha mai messo i Pacs in agenda, e quanto a Bertinotti non s’è mai speso per i Pacs come ha fatto per le 35 ore. Non l’ho sentito farlo nemmeno ora».

Può anche essere. Ma intanto Fausto Bertinotti, grande frequentatore di congressi dell’Arcilesbica e unico politico italiano ad aver osato salire sul palco del World Pride (lì ha tuonato contro «il bigottismo della sinistra»), può contare su buona parte del mondo trans e sulle lesbiche più radicali. E, dunque, è in pole position nelle primarie gay insieme ad Alfonso Pecoraro Scanio, l’ «omosessuale è naturale» (slogan storico dei verdi) che si è schierato pubblicamente per l’asilo politico ai gay perseguitati ed è a favore perfino dell’«adozione ai single».

Antonio Di Pietro intervistato da Gay TV

Antonio Di Pietro intervistato da Gay TV

Qualche voto andrà certamente ad Antonio Di Pietro, che dice di sè, ridendo: «sono un eterosessuale che non ha mai avuto tentazioni gay, forse anche perchè nessuno mi ha mai avvicinato in quel senso»; è l’unico segretario di partito ad aver risposto al questionario preelettorale di Informagay di Torino, è a favore del matrimonio gay: è rispettoso e dunque rispettato.

E poi c’è Ivan Scalfarotto, l’outsider per eccellenza (vedi articolo a pag). Manager di Citygroup a Londra. Quarantenne. Dichiaratamente gay, e fidanzato da dieci anni con un Erminio che vuole sposare. «Quando dico sposare, intendo proprio che voglio un matrimonio, non un Pacs» ha spiegato dal palco del Mardi Gras, tra grandi applausi. «Io pago le tasse come tutti i cittadini, dunque voglio sposarmi come tutti gli altri cittadini. Non esistono diritti di serie A e di serie B».

Per riassumere: «Stavolta non ci facciamo fregare. Dai candidati vogliamo un impegno molto chiaro e molto netto. Possibilmente nero su bianco» avverte Sergio Lo Giudice, presidente dell’Arcigay. In ballo c’è molto, moltissimo, dall’approvazione di una legge contro la discriminazione sui luoghi di lavoro, all’istituzione dei Pacs. C’è il riesame della legge sulla procreazione assistita. I preservativi a prezzi accessibili. La ripresa delle campagne anti-Aids a target omosessuale. «E poi bisogna cominciare ad affrontare la questione più tabù di tutte: quella transessuale» riflette Titti De Simone, deputata di Rc, ispiratrice della strategia Glbt di Bertinotti.

Il quale Bertinotti, ovviamente, andrà in Versilia anche lui. Il 20 settembre, sempre a Torre del Lago. Con lui, i candidati alle primarie sfilati al Mardi Gras saliranno a quattro. E Prodi? ha chiesto il pubblico all’organizzatore, Alessio De Giorgi. «A Prodi abbiamo mandato un invito via fax, ma non abbiamo avuto nessuna risposta» ha spiegato lui. E arieccoci, è subito partita un voce dal fondo. «Ce lo ricorderemo».


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