Audizione di Francesco Bilotta, docente di diritto privato presso l’università di Udine

  

CAMERA DEI DEPUTATI – XIV LEGISLATURA
Resoconto stenografico della II Commissione permanente (Giustizia)
Seduta del 5 ottobre 2005

Indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà.

Audizione di Francesco Bilotta, docente di diritto privato presso ‘università di Udine.

(Fonte: www.Parlamento.it)

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER PAOLO CENTO

La seduta comincia alle 11,15.

PRESIDENTE. ‘ordine del giorno reca, nel’ambito del’indagine conoscitiva sulle tematiche riguardanti le unioni di fatto ed il patto civile di solidarietà, ‘audizione del professor Francesco Bilotta, docente di diritto privato presso ‘Università di Udine.
Ricordo che ‘indagine conoscitiva si svolge, ai sensi del’articolo 79, comma 5, del regolamento, nel’ambito del’esame in sede referente delle proposte di legge C. 3296 Grillini ed altri, C. 795 Bellillo ed altri, C. 4442 Buemi, C. 4478 Bellillo ed altri, C. 4334 Rivolta ed altri, C. 4588 ‘iniziativa del Consiglio regionale della Toscana e C. 4585 Moroni, in materia di unioni di fatto e di patto civile di solidarietà.
Ringrazio il professor Bilotta per la sua partecipazione e gli do immediatamente la parola.

FRANCESCO BILOTTA, Docente di diritto privato presso ‘Università di Udine. Ringrazio il presidente e la Commissione per ‘invito. Il dibattito che il progetto di legge sul patto civile di solidarietà ha innescato nel paese è già di per sé una buona notizia ed un risultato, perchè ha obbligato tutti, sia il Parlamento sia ‘opinione pubblica, a prendere in considerazione un fenomeno che riguarda migliaia di cittadini italiani che formano una famiglia senza contrarre matrimonio.
Il dibattito in sé, però, non ci consente di uscire da quello che Durkheim chiamerebbe uno stato di anomia, in cui ‘individuo è privo di riferimenti normativi, esprime dei bisogni che vengono costantemente disattesi e sono spesso causa di profonda frustrazione emotiva. Esito di questa situazione nel pensiero del sociologo francese è la disintegrazione sociale che trova spazio nella mancata autorealizzazione e nella insicurezza. Il progetto di legge in questione alza il velo su una realtà che è sotto gli occhi di tutti: migliaia di cittadini italiani che scelgono di costituire nuclei familiari senza ricorrere al’istituto matrimoniale o che, in quanto omosessuali, vengono esclusi dalla tutela che discende dal matrimonio. La prospettiva che si è voluta assumere nel determinare il contenuto del progetto di legge è quella di assicurare a ciascun individuo la possibilità di vivere serenamente e nella maniera più completa possibile il proprio rapporto ‘amore. Spesso i giuristi si dimenticano di quello che ‘è dietro il formalismo della norma e del’interesse concreto del cittadino, che in questo caso è quello di vivere fino in fondo e di realizzare se stesso in un rapporto di coppia e di amore (vedremo poi come questa indicazione si sia concretamente tradotta nel testo del progetto).
È chiaro, quindi, che – anche dalla nozione che il progetto di legge dà del PACS -, dal’orizzonte normativo considerato restano fuori le comunità di tipo familiare cui accennava, criticando sotto questo profilo il progetto, il professor Busnelli nel corso della sua audizione. Il PACS vuole essere uno strumento di tutela per quei cittadini che non vogliono o non possono contrarre matrimonio, che condividono un progetto di vita, che costituiscono una famiglia senza fondarla sul matrimonio, che realizzano se stessi in una formazione sociale (ecco la parola di cui troviamo anche menzione nella Carta costituzionale) luogo di reciproco sostegno, connotata da un rapporto affettivo e da una relazione sessuale.
Le altre forme di convivenza, che pure alcuni statuti regionali riconoscono come u’espressione vaga e per certi versi ambigua, non sono oggetto di questo progetto di legge. La ragione è presto detta: nel rapporto di coppia vi sono esigenze di carattere personale e patrimoniale diverse da quelle di una comunità di tipo familiare. Non si può mettere sullo stesso piano la convivenza, ad esempio, di un gruppo di studenti e quella di un ragazzo e di una ragazza che intendono sperimentare per un certo periodo la quotidianità della vita di coppia prima di convolare a giuste nozze. Nel caso di un gruppo di studenti, ad esempio, non avrebbe senso prevedere una norma che sancisca il diritto di astensione dal deporre in tribunale contro il proprio convivente o che conceda ai conviventi le medesime opportunità di una coppia coniugata per quanto riguarda ‘accesso al mondo del lavoro. È evidente, allora, che la diversità degli interessi sottesi al rapporto da tutelare in ciascun caso esige che si tengano distinte le differenti situazioni. Ben venga una legislazione sulle altre forme di convivenza, ma con un progetto di legge separato, come è avvenuto in Catalogna con le unioni di mutuo aiuto, che evidenzi – come si è cercato di fare con il Patto civile di solidarietà – le peculiarità di una certa situazione di fatto e proponga delle serie e concretamente realizzabili risposte alle domande di giustizia che emergono dal tessuto sociale.
Il progetto di legge C. 3296 si apre con un riferimento preciso agli articoli 2 e 3 della Costituzione, e questo non a caso. Da tale riferimento normativo si ricavano implicitamente due indicazioni. Innanzitutto, non è possibile leggere la Carta costituzionale a pezzi, enfatizzando norme come ‘articolo 29 della Costituzione e dimenticandosi dei principi cardine del nostro sistema costituzionale, definiti dalla Consulta meta-principi, valori fondanti, ossia principi e valori alla luce dei quali vanno interpretate tutte le norme della nostra Carta fondamentale, quali il rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, il principio di uguaglianza e il rispetto del principio di autodeterminazione: tali principi inchiodano ad una responsabilità politica enorme quanti scelgono la strada del silenzio normativo in questo ambito. Infatti, anche ‘assenza di una norma è una forma di discriminazione perché priva di tutela una parte di cittadini, escludendoli da quella solidarietà che è alla base del nostro stare insieme alla luce del’articolo 2 della Costituzione. Fatte queste premesse di carattere generale mi preme sottolineare alcuni aspetti del progetto di legge in esame affinché il Parlamento possa ben riflettere non solo sulla necessità di una sua approvazione, ma anche sul suo contenuto.
È noto che il progetto di legge sul PACS ha come modello di riferimento la legge francese del 1999, ma rispetto a quella norma vi sono significativi punti di differenza, anche perché in questi sei anni il dibattito sia giurisprudenziale sia dottrinale nel paese ‘oltralpe è stato serrato. Di quel dibattito si è tenuto conto nel’immaginare uno strumento normativo da porre al’attenzione del Parlamento italiano, eliminando le aporie di quel testo normativo, colmando le sue lacune e adottando dei correttivi anche alla luce della peculiarità della situazione sociale italiana.
Una volta tanto, si può ben dire, non ci siamo supinamente adeguati alle scelte di un altro paese, ma abbiamo cercato di innovarle e, nella misura del possibile, di renderle migliori. Ovviamente il nuovo spaventa sempre e chi lo propone non può sottrarsi alle critiche, che a mio avviso sono salutari, perché consentono di rendere migliore il risultato cui si vuole tendere. Tra queste critiche vi è quella della giustapposizione del progetto di legge sul PACS al matrimonio. Non so se sia questo il contesto per ribadire una evidenza: il patto civile di solidarietà è un contratto, ossia un istituto privatistico, esattamente come il matrimonio, ma a parte questa differenza non ve ne sono altre tra questi due istituti e chi sostiene il contrario o lo dice in malafede o lo dice perché ignora il diritto privato italiano.
Non è corretto giustapporre i due istituti. Del resto, anche dopo ‘eventuale introduzione del PACS, solo con il matrimonio si potrà modificare lo status personale delle parti. Solo con il matrimonio si originano i legami di parentela ed affinità, cosa che non sarà mai possibile con il patto civile di solidarietà. Inoltre è la legge a determinare i diritti e i doveri dei coniugi e le parti non possono derogare alle norme di legge, se non limitatamente ad alcuni aspetti patrimoniali, attraverso le convenzioni. Inoltre è esclusa la modificabilità degli effetti personali del matrimonio, con i doveri di assistenza, fedeltà e coabitazione. Il PACS non sarà mai il sostituto del matrimonio, ma uno strumento in più, per tutelare i cittadini che non vogliono o non possono contrarre matrimonio.
‘altra controproposta fatta in questo periodo riguarda il fatto di sottolineare la natura contrattuale del PACS, attraverso ‘introduzione di un contratto di convivenza solidale. Il PACS è un contratto ed è ben possibile nel nostro ordinamento che un istituto privatistico abbia riflessi sul piano pubblicistico, sul piano previdenziale e assistenziale.
A me pare insensato ribadire la natura privatistica del’istituto da introdurre nel nostro ordinamento per regolare le convivenze di fatto, modificandone il nome e privilegiando il termine contratto, perché delle due ‘una: o con tali contratti si intende restringere al’ambito strettamente patrimoniale ‘accordo, limitando gli effetti sia tra le parti sia nei confronti dei terzi; oppure si fa u’operazione di facciata, che rende puramente nominalistica la querelle tra i sostenitori delle opposte opzioni, ossia PACS e contratti civili di convivenza solidale.
Poiché la seconda ipotesi risulta oziosa e priva di una portata concreta sul piano applicativo, si deve pensare che il primo risultato è quello che si cerca di raggiungere quando si parla di contratti di convivenza solidale. Se così stanno le cose, occorre ribadire che nella vigenza del’attuale codice civile i contratti di convivenza solidale appaiono uno strumento giuridico di scarsissima utilità.
Infatti i privati possono regolare i loro rapporti, stipulando contratti diversi da quelli espressamente nominati nel codice civile e nelle leggi complementari già oggi, purché tali accordi abbiano contenuto patrimoniale e purché siano funzionali ad interessi meritevoli di tutela, secondo quanto stabilito dal’articolo 1322 del codice civile.
Stiamo parlando dei cosiddetti contratti atipici. Esempi tra i più noti sono il leasing, il factoring e i contratti di parcheggio. Si tratta di figure contrattuali che non sono disciplinate dal codice civile ma che comunque sono stipulati. Lo stesso discorso vale per certi aspetti patrimoniali delle convivenze eterosessuali ed omosessuali, che da molti anni vengono regolarmente stipulati sotto forma di contratti in Italia. Il contratto di convivenza solidale si può già stipulare oggi, senza approvare una legge ad hoc. Quel tipo di contratto ovviamente non avrà alcun effetto nei confronti dei terzi, in virtù del’articolo 1372 del codice civile, che limita alle parti contraenti gli effetti di un determinato accordo. Le parti del contratto in questione non potranno beneficiare automaticamente di alcuni diritti quali la successione nel contratto di locazione, la pensione di reversibilità, nè potranno essere equiparate alle coppie unite in matrimonio.
La novità del PACS sta proprio nel fatto che un contratto potrà eccezionalmente dispiegare effetti nei confronti dei terzi; inoltre potrà avere non soltanto un contenuto patrimoniale ma anche non patrimoniale, prevedendo obblighi di aiuto e di assistenza reciproca tra le parti, oltre a stabilire disposizioni sulle successioni, rispetto alle quali ‘altro contraente sarà legittimato a pronunciarsi in caso di perdita della capacità di intendere e di volere. Sono queste le cose di cui i cittadini italiani hanno bisogno.
Fatta questa premessa, passerò ad indicare alcuni aspetti del’articolato della proposta di legge, sui quali a mio avviso ‘è bisogno di riflettere attentamente. Innanzitutto, ‘articolo 1 del progetto di legge. A mio avviso non coglie nel segno la critica di genericità nel’espressione utilizzata da questo articolo quando si riferisce al termine «inclinazioni», critica avanzata dal professor Busnelli. Devo dire che tutte le espressioni contenute nel’attuale testo sono frutto di lunga meditazione e di confronti, ma ‘uso di quel termine, che nasce dal pudore, è per me insensato. Se leggiamo ‘articolo 1 sostituendo al termine «inclinazioni» ‘espressione di «orientamento sessuale» leggiamo: «La presente legge garantisce ‘attuazione del diritto inviolabile del’uomo e della donna alla piena realizzazione personale, nel’ambito della coppia, nel rispetto del proprio orientamento sessuale e della propria vita sociale, in attuazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione».
Con questa modificazione del’articolo si guadagna in chiarezza e al tempo stesso si fa un passo avanti sulla strada del riconoscimento del rispetto verso i cittadini omosessuali italiani, senza considerare che tale espressione, contenuta nella costituzione europea in diversi articoli e già contenuta nella carta di Nizza è già entrata in qualche modo nel diritto positivo italiano, con il decreto legislativo n. 216 del 2003 ed è destinata a diventare familiare anche ai giuristi di casa nostra.
Per quel che riguarda ‘articolo 5, esso distingue la sottoscrizione dal’iscrizione del patto civile di solidarietà, con ciò distinguendo le diverse attività cui potrebbe esser chiamato ‘ufficiale dello stato civile dalle parti. La prima attiene alla costituzione del vincolo, la seconda alla sua pubblicità. Se un certo contratto deve avere effetto nei confronti dei terzi esso deve essere conosciuto, con ‘esigenza di una sua registrazione.
Da più parti si è discusso criticamente su questa scelta normativa, ma se infastidisce una annotazione del patto su qualunque registro anagrafico, si potrà immaginare un registro ad hoc, anche se ciò sembra confliggere con il principio della semplificazione amministrativa, inaugurata con le leggi Bassanini. Ricordo che ‘atto di matrimonio, in base al regolamento sul’ordinamento dello stato civile, contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre del 2000, n. 396, viene registrato nel’archivio informatico del comune e annotato a margine del’atto di nascita.
Altra proposta è stata quella di escludere la sua sottoscrivibilità dinanzi al’ufficiale dello stato civile e relegare la stipulazione del’atto nel chiuso di uno studio notarile. Da una parte quindi si è deciso di non annotare il patto nei registri civili, per non mettere sullo stesso piano il matrimonio e il PACS, dal’altro si è proposto di stipulare tale patto di fronte ad un notaio, facendo saltare completamente la logica del’articolo 5 del progetto di legge.
È pur vero che nel’articolo 4 del progetto di legge è previsto che il patto possa essere stipulato dinanzi ad un notaio, ma ciò era stato immaginato solo per salvaguardare le esigenze di riservatezza delle parti e lasciare a loro la libertà di non rendere opponibile ‘accordo nei confronti di terzi. Quindi, da un lato, esigenze di riservatezza possono indurre le parti a stipulare il contratto davanti ad un notaio (ma possono anche scegliere un ufficiale dello stato civile), dal’altro, possono renderlo opponibile ai terzi oppure far limitare gli effetti di questo accordo soltanto tra le parti e, quindi, non solo non andranno davanti al’ufficiale dello stato civile ma non registreranno neanche questo accordo: in questo momento la legge permette ai privati di scegliere ‘una o ‘altra strada. Invece, con la proposta di riforma che è stata avanzata ci sarebbe una strada a senso unico, cioè quella di contrarre e stipulare ‘accordo nel chiuso di uno studio notarile e renderlo difficilmente opponibile ai terzi. Infatti, il contratto non registrato non potrebbe essere conosciuto dai terzi e ciò solleverebbe tutta una serie di controversie che aggraverebbero la situazione anche sul piano giudiziario. È evidente che le due posizioni sono affatto diverse: nel progetto di legge la sottoscrizione dinanzi al notaio è u’opportunità in più offerta alle parti per venire incontro alle loro esigenze di riservatezza e genera una maggiore flessibilità del’istituto; invece, nella proposta di modifica è chiaro il tentativo di evitare qualsiasi forma di rilevanza esterna del’accordo sul piano giuridico e sociale.
Per quanto riguarda ‘articolo 7, secondo il professor Rodotà si dovrebbe vietare al’ufficiale dello stato civile di rifiutare la ricezione di un patto civile di solidarietà. Nella sua rubrica ‘articolo 7 prevede appunto il rifiuto della ricezione o del’iscrizione del patto civile di solidarietà ed è strutturato sul modello del’articolo 98 del codice civile, ricalcandolo in termini di rimedi a disposizione delle parti contro il rifiuto da parte del’ufficiale dello stato civile. Invece, secondo il professor Rodotà ‘opzione dovrebbe essere più radicale, cioè si dovrebbe vietare al’ufficiale dello stato civile di rifiutare la ricezione di un patto civile di solidarietà, posto che tale richiesta è espressione del’esercizio di un diritto fondamentale della persona ai sensi del’articolo 2 della Costituzione, esercizio che la pubblica amministrazione non ha il potere di impedire o rendere più difficoltoso. In effetti, in presenza dei presupposti di cui al’articolo 3 del progetto di legge, che evidenzia i requisiti delle parti per poter sottoscrivere un patto civile di solidarietà, non si vede perché ‘ufficiale dello stato civile dovrebbe rifiutarsi di ricevere o di iscrivere ‘atto, se non per una ragione di idiosincrasia nei confronti dei conviventi e soprattutto di quelli omosessuali. Questa potrebbe essere ‘unica ragione perché ‘ufficiale dello stato civile non ha il potere di sindacare il merito del’accordo ma si ferma ad un controllo meramente formale. Per tali motivi ‘articolo 7 meriterebbe una modifica radicale e la rubrica potrebbe essere riscritta prevedendo un dovere di ricezione o di iscrizione del patto civile di solidarietà. Il primo comma potrebbe essere riscritto nel senso che ‘ufficiale dello stato civile non può rifiutare la ricezione o ‘iscrizione di un patto civile di solidarietà in presenza dei presupposti di cui al’articolo 3 della presente legge. Inoltre, si potrebbe immaginare che il rifiuto della ricezione o del’iscrizione di un patto civile di solidarietà, in presenza dei presupposti di cui al’articolo 3 della presente legge, configuri il reato di omissione di atti ‘ufficio ai sensi e per gli effetti del’articolo 328 del codice penale. In ogni caso, contro il rifiuto è ammesso ricorso al tribunale che provvede entro un mese dal deposito del ricorso in camera di consiglio. Il tribunale, ove accerti la sussistenza dei presupposti di cui al’articolo 3, con sentenza ordina al’ufficiale dello stato civile di ricevere il patto civile di solidarietà o di iscriverlo nei registri.
Nel’articolo 4 si era anche prevista la possibilità di una condanna del’amministrazione comunale alle spese del giudizio e al risarcimento dei danni, distinguendoli in patrimoniali, morali ed esistenziali. Sulla base del’evoluzione giurisprudenziale della Cassazione e della Corte Costituzionale del 2003 – che ha riletto completamente ‘articolo 2059 del codice civile e, quindi, la nozione di danno non patrimoniale -, sembra più corretta la seguente dizione: «la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali» – senza distinguere in morali ed esistenziali – «cagionati dal comportamento del’amministrazione».
‘articolo 10 – altra norma che ha fatto tanto discutere e la cui attuale rubrica reca rapporti personali -, a mio avviso, è un esempio di quanto sia proficuo il dibattito tra i teorici del diritto nel’elaborazione di un progetto di legge. Tutti hanno criticato il riferimento alla buona fede nel’ambito del’articolo 10 del progetto di legge ed anc’io mi sono convinto che è necessaria una modifica, immaginando due ipotesi. Nel primo caso viene modificata la rubrica del’articolo e il testo rimane così co’è: la nuova rubrica potrebbe essere «esecuzione del contratto». In questo momento ‘articolo recita che ciascun contraente del patto civile di solidarietà è tenuto a comportarsi secondo buona fede e correttezza, collaborando alla vita di coppia, in ragione delle proprie capacità e possibilità. È forte la logica di carattere contrattuale che connota questo articolo e, quindi, si potrebbe rendere più coerente la rubrica con il testo del’articolo cambiandola in «esecuzione del contratto». Questo sarebbe importante perché ribadendo la natura strettamente contrattuale del patto e facendo riferimento alla buona fede ed alla correttezza, si concede al giudice, in caso di controversia, di utilizzare la buona fede oggettiva come uno strumento di integrazione del contratto a favore della parte debole del rapporto. Quindi, non è detto che ‘articolo, pur rimanendo nella formulazione attuale, non abbia una qualche utilità di carattere pratico.
Nel secondo caso, si potrebbe mantenere ‘attuale rubrica (rapporti personali) e cambiare il contenuto del’articolo: ciò andrebbe nella direzione delle critiche finora avanzate da illustri maestri del diritto civile (Busnelli, Rodotà, Cendon). Il nuovo testo recherebbe: «Ciascun contraente del patto civile di solidarietà è tenuto al’assistenza morale e materiale del’altro, collaborando alla vita di coppia, in ragione delle proprie capacità e possibilità». Se fosse approvata la prima proposta, il giudice avrebbe la possibilità di aiutare la parte debole del rapporto, ma la disposizione potrebbe risultare pleonastica perché la buona fede sarebbe invocabile già in base al’articolo precedente, che dichiara applicabili al patto civile di solidarietà, in quanto compatibili, le norme del codice civile in materia di contratti: di conseguenza, se si richiamasse così genericamente tutta la parte generale sul contratto, si invocherebbe anche ‘articolo 1375. Invece, con la seconda opzione si darebbe maggiore evidenza alla dimensione familiare del nuovo istituto.
Per quanto riguarda ‘articolo 11 e il regime patrimoniale discendente dal’accordo, ‘unica perplessità che è stata espressa da alcuni è ‘assenza di un qualche temperamento per le spese voluttuarie e per quelle eccessive. Il tema è stato trattato sia dalla Corte costituzionale francese sia dalla giurisprudenza ‘oltralpe, anche se nel testo francese la responsabilità solidale è limitata alle esigenze della vita quotidiana e per le spese relative al’alloggio in comune, mentre nel nostro testo è estesa a qualsiasi tipo di esigenze economiche della coppia e di spese che siano fatte per soddisfare le esigenze di vita della stessa.
La Corte Costituzionale francese, nei casi di responsabilità solidale, ha stabilito che il partner può essere soggetto ad azione di responsabilità civile da parte del’altro partner per le spese ritenute eccessive o voluttuarie e la dottrina francese ha ritenuto estensibile in via interpretativa la norma prevista dal codice civile francese in materia matrimoniale, con la quale si esclude che non rientrino tra le spese sostenute per la vita di coppia quelle eccessive o voluttuarie. In ogni caso, segnalo che nel sistema francese il problema esiste ed è stato affrontato, mentre nel testo del progetto di legge attuale questo problema non è contemplato.
Per quel che riguarda gli articoli 14 e 25, quelli dedicati alle modificazioni al codice civile, suggerirei ulteriori modifiche, legate al’entrata in vigore della riforma sulle misure a tutela delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, la cosiddetta amministrazione di sostegno. ‘articolo 14 dovrà integrare quelle norme del codice civile che non tengono conto del PACS ma che tengono conto della convivenza, mentre ‘articolo 25, che si trova nel titolo del progetto di legge dedicato alle disposizioni comuni al patto civile di solidarietà e al’unione di fatto, dovrà essere completamente riscritto, in considerazione della novella al codice civile.
Vi sono alcune norme che non tengono conto, già nella novella in vigore, né del PACS né della convivenza. Pertanto, ho individuato una serie di articoli che a mio avviso andrebbero modificati. ‘articolo 14 dovrà modificare gli articoli 407, primo comma, 408, primo comma, 410, terzo comma, 411, terzo comma, 417, primo comma, 426 del codice civile, prevedendo una integrazione con riferimento alle persone legate da patto civile di solidarietà. ‘articolo 25 dovrà modificare semplicemente gli articoli 419, secondo comma, e ‘articolo 429, primo comma.
Passando al’articolo 15 del progetto, relativo ai diritti successori, esso è stato oggetto di critica da parte del professor Busnelli, poiché si tratterebbe di una novità della proposta italiana rispetto alla legge francese. Ciò però a mio avviso non costituisce un indice di inopportunità. Il professor Busnelli ha citato nella sua audizione una sentenza della Corte costituzionale, relatore Luigi Mengoni, sul tema. Non ne cita il numero, ma secondo me fa riferimento alla sentenza n. 310 del 1989. Il caso era stato sollevato dal tribunale di Roma e riguardava proprio la fattispecie prevista dal progetto di legge. Si trattava di una convivenza che si era protratta per molti anni: la superficialità del de cuius, che non aveva lasciato alcuna disposizione testamentaria, la voracità degli eredi legittimi che si erano avventati sul patrimonio del defunto, esercitando i loro diritti di eredi legittimi e avevano portato il convivente, che fino ad allora aveva condiviso gioie e dolori con lo scomparso, ad essere «cacciato» di casa. Le considerazioni che portano a ribadire con forza ‘introduzione del’articolo 15 sono più di una. Innanzitutto, nel merito sembra iniquo che il diritto sostenga le ragioni di chi agisce in spregio alla solidarietà, dimostrata dal convivente, in anni di condivisione e di affetto con il de cuius, per mero interesse. In secondo luogo, in punto di diritto, la norma è stata scritta incidendo minimamente sul diritto successorio, lasciando inalterato il regime di successione necessaria e prevedendo soltanto un correttivo alle norme vigenti per salvaguardare il convivente superstite, che per ignoranza del defunto non è stato nominato erede.
Si è tenuto conto, infine, dei rilievi della Consulta. Infatti i limitati diritti successori che vengono riconosciuti al contraente di un PACS registrato fanno determinare una situazione completamente diversa rispetto alla convivenza more uxorio. Nel nostro caso non mancherebbero quei caratteri di stabilità e di certezza del rapporto, né mancherebbe la reciprocità e la corrispettività dei diritti e dei doveri, che la Corte costituzionale considera aspetti fondamentali per estendere ai conviventi i diritti spettanti al coniuge in materia successoria. Il PACS innova il sistema sotto questo profilo, connotando la convivenza di caratteristiche che prima non aveva.
La sentenza citata affronta poi altre due questioni: la rilevanza giuridica della convivenza di fatto, che dovrebbe porre fine ai rilievi di incostituzionalità, ai sensi del’articolo 29 della Costituzione. La Corte costituzionale sostiene che tale articolo non nega dignità a forme naturali del rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio e aggiunge che ‘unione matrimoniale ha una dignità superiore, per il carattere di stabilità e certezza di cui si diceva prima.
Con ‘introduzione del PACS potremmo dire che il nostro sistema conoscerà una maggiore articolazione, sul piano della tutela giuridica riconosciuta dallo stato alle unioni familiari, per ora limitata al dualismo matrimonio-convivenza: il matrimonio equivale ad una tutela globale e costante da parte del’ordinamento, la convivenza riguarda una tutela occasionale delle parti del rapporto. Non dimentichiamoci che quasi tutti i diritti che il presente progetto di legge riconosce ai conviventi sono già da decenni riconosciuti dalla giurisprudenza. Il vantaggio del riconoscerli per legge consisterà nel non sottostare più alla discrezionalità del giudice nel concedere o meno certi benefici. Il PACS introdurrà un sistema pluralistico, che vede al livello più basso la convivenza stabile e continuativa, ad un livello intermedio il PACS e al livello più alto il matrimonio, assicurando in tal modo che la garanzia del’istituto matrimoniale, di cui al’articolo 29 della Costituzione, sia pienamente rispettata. Ciò dovrebbe favorire una maggiore armonia tra la scelta del proprio progetto di vita e le tutele offerte dalla legge.
La seconda questione affrontata dalla sentenza è relativa ai diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, attribuiti al coniuge dal’articolo 540, secondo comma, del codice civile. Il giudice remittente si chiedeva se tale diritto non fosse estensibile al convivente, ma la Corte ha negato tale estensibilità, in ragione del fatto che tale beneficio è riconosciuto al coniuge in qualità di erede legittimario. La ragione tecnica per cui si nega tale vantaggio al convivente è che costui non è destinatario di nessuna quota di riserva e non è quindi un legittimario. Come si è già detto, con il PACS il convivente diventa un erede legittimato. Solo in mancanza di un testamento il contraente un patto civile di solidarietà sarà equiparato al coniuge nella sua tutela patrimoniale.
Non si è modificata in alcun modo la normativa sulla quota di riserva a favore dei legittimari, per cui in questa sede si suggerisce di estendere al convivente che abbia sottoscritto un patto civile di solidarietà i benefici riconosciuti al coniuge in base al’articolo 540, secondo comma, del codice civile. Infatti, in mancanza di una disposizione espressa, non essendo il partner di un PACS un legittimario ma un erede legittimo, non potrebbe applicarsi analogicamente a suo beneficio ‘articolo 540 sopra citato. A suggerire questa soluzione ‘è un passaggio della sentenza della Consulta, in cui si afferma la vera ratio della disposizione: a giustificare ‘attribuzione al coniuge superstite, dice la Corte, sono interessi di natura non patrimoniale, quali la conservazione della memoria del coniuge, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbol goduti durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità del’articolo 1022 del codice civile, che regola ‘ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno del’abitatore. È evidente che questi interessi, sottesi al rapporto coniugale, siano gli stessi interessi di carattere non patrimoniale sottesi ad un rapporto di convivenza. ‘è comunque bisogno di una disposizione espressa del legislatore per poter applicare analogicamente tale norma.
Spetta al legislatore – ricorda la Consulta – valutare il grado di meritevolezza di tutela del’interesse al’abitazione nel’ipotesi in esame e, quindi, decidere tra le due forme di tutela possibili: quella, gravemente limitatrice del diritto di proprietà degli eredi, del diritto reale di abitazione ovvero, in assenza di una disposizione testamentaria più favorevole del de cuius, quella più moderata di un diritto personale di godimento temporalmente limitato. In definitiva, non solo tengo a ribadire la bontà della scelta di una tutela seppur minima sotto il profilo patrimoniale del partner di un PACS in materia successoria, ma ritengo che si debba riconoscergli un diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, ovviamente in assenza di una disposizione testamentaria più favorevole da parte del de cuius.
Per quanto concerne ‘articolo 17, che riguarda la disciplina fiscale e previdenziale, tra gli effetti più rilevanti della sottoscrizione di un patto registrato vi sarà senza dubbio quello di far sorgere in capo alle parti un diritto alla pensione di reversibilità. Mi pare un aspetto estremamente qualificante della proposta di legge perché stare insieme significa anche sostenersi economicamente. La morte del proprio compagno rappresenta ad un tempo la fine di un sostegno morale ed economico. Certo ‘è un costo aggiuntivo per lo Stato, ma è molto minore rispetto al caso in cui del PACS si dia ‘interpretazione suggerita dal professor Busnelli di un contratto per la costituzione e la regolarizzazione di una comunità di tipo familiare perché ovviamente i soggetti destinatari del diritto alla pensione di reversibilità sarebbero più numerosi. Comunque, la bontà di questa norma è di sostenere i cittadini in un momento difficile della loro vita, quando con gli affetti rischiano di perdere anche una risorsa economica che tante volte gli consente una vita appena decente. Dire no a questa forma di tutela significa dire no ad una certa concezione dello Stato sociale, attento ai bisogni dei cittadini e al sostegno del loro benessere.
Per quanto riguarda ‘articolo 20, relativo agli effetti patrimoniali dello scioglimento, è stata criticata la mancata previsione di una soluzione giudiziale del’eventuale controversia successiva allo scioglimento del PACS. Invero la previsione mi sembra del tutto pleonastica ma, se si ritenesse necessaria, si potrebbe prevedere un ulteriore comma al’articolo 20 del seguente tenore:« In mancanza di tale accordo, le parti ove non raggiungano una soluzione transattiva, possono rivolgersi al tribunale, salva in ogni caso ‘azione per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali».
Nella sezione IV del capo II, dedicata al contraente straniero, vi è una grossa lacuna che andrà assolutamente colmata e che attiene al’assenza di norme di diritto internazionale privato. Nessuno può nascondersi che il diritto alla libertà di circolazione al’interno del’Unione europea porrà senza dubbio il caso di stranieri che vogliono beneficiare della legge italiana o desiderano che nel nostro paese generino effetti istituti simili al PACS ma stipulati al’estero (ricordo che con ‘eccezione del nostro paese, del’Austria, del’Irlanda e della Grecia, tutti gli altri paesi del’Unione si sono dotati di norme che in diverso modo regolano le convivenze di fatto; ricordo altresì che sul punto ‘Italia dovrà presto recepire due direttive comunitarie). Una tale previsione avrebbe altresì ‘effetto positivo di eliminare qualsiasi dubbio circa la conformità al’ordine pubblico italiano delle unioni dello stesso sesso.
‘articolo 26, relativo alle decisioni di fine vita, difetta del riferimento alle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia – cioè al’amministrazione di sostegno perché quando il progetto di legge è stato depositato quel’istituto non era ancora presente nel nostro ordinamento -, ma oltre a ciò è stato criticato per la scelta unilaterale di attribuire al convivente o al contraente un patto civile di solidarietà il diritto di adottare le decisioni di fine vita, mettendo così da parte i figli nati dalla coppia o da precedenti unioni. La scelta nel senso indicato dal progetto di legge nasce da una considerazione pratica: queste scelte devono essere comunque imputate ad una persona e, attualmente, è il coniuge o un parente prossimo nel caso di un cittadino che non abbia contratto matrimonio. Infatti, si presume che quella persona – proprio in ragione dello stretto legame affettivo che lo lega al malato – sia più in grado di altri di immaginare quale sarebbe stata la volontà del soggetto in questione se avesse potuto esprimerla personalmente. Quindi, giustapporre la situazione in cui si trova attualmente il coniuge a quella del contraente un patto civile di solidarietà o convivente è sembrata la soluzione più logica, di buon senso e di pratica attuazione. Forse presenta u’eccessiva rigidità, ma potrebbe essere attenuata con una previsione che tenga conto delle opinioni espresse dagli ascendenti e dai discendenti; si potrebbe aggiungere una proposizione che attribuisce il diritto di prendere queste decisioni al convivente o al partner di un PACS, sentiti gli ascendenti e i discendenti del soggetto interessato. In questo modo potremmo tener conto della volontà degli altri membri della famiglia, ma allo stesso tempo avremmo una persona che, quando si tratterà di dover prendere una certa decisione, sarà individuabile facilmente.
Nel progetto di legge andrebbero segnalate altre lacune ma, a mio avviso, sarà molto importante riflettere sulle modifiche al codice penale. Infatti, si è tenuto conto di alcune fattispecie che erano già state prese in considerazione dalla giurisprudenza, ma i riferimenti contenuti nel’articolo 29 sono limitati e andrebbero estesi non solo al diritto penale sostanziale ma anche al diritto penale processuale. Si potrebbe ancora discutere, per esempio, sul regime fiscale delle donazioni, delle successioni e delle vendite tra coniugi da estendere anche ai conviventi o ai soggetti che hanno sottoscritto un PACS. Un altro problema è la necessità di un onere pubblicitario in grado di rilevare se il soggetto che addiviene ad un bene sia legato da un PACS: penso alla scelta della comunione legale e al’alienazione di un bene immobile intestato solo ad uno ma ricadente nella comunione. Bisognerebbe riflettere su questa fattispecie perché non è stata presa in considerazione dal progetto di legge. Inoltre, estendiamo ‘articolo 2122 del codice civile sul TFR ai contraenti di un PACS o anche ai conviventi? Infine, ‘articolo 2941 sulla sospensione della prescrizione sarebbe da estendere ai soggetti che contraggono un PACS o anche ai conviventi?
Penso di aver messo in rilievo alcuni aspetti positivi della norma in esame ma anche profili che dovrebbero essere migliorati: sono certo che la saggezza del Parlamento italiano sarà in grado di sopperire alle attuali lacune del progetto di legge.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il professor Bilotta per il suo intervento, do la parola ai colleghi che intendano intervenire.

GIAN FRANCO ANEDDA. Mi associo ai ringraziamenti al professore e, partendo da due sue affermazioni, desidero avere un chiarimento concettuale sul problema generale.
In base alla prima, il progetto di legge e i patti di solidarietà intendono privilegiare la convivenza anche occasionale.
La seconda sua osservazione, correttissima, è che la proposta intende occuparsi di coloro che non possono o non vogliono celebrare il matrimonio. Mi soffermo soprattutto su coloro che non vogliono contrarre matrimonio. Vorrei sapere qual è in termini soggettivi la differenza tra un patto civile di solidarietà, che deve essere presentato, registrato dal’ufficiale dello stato civile e annotato nei registri dello stato civile rispetto al matrimonio civile. Dal punto di vista oggettivo le differenze riguardano soltanto gli effetti, mi pare una contraddizione che si voglia istituire un contratto, equiparandolo al matrimonio. Vorrei chiudere con un paradosso: non sarebbe più semplice abolire la parola «matrimonio» e scrivere direttamente nel codice civile «patto di solidarietà»?

FRANCO GRILLINI. Come tutti sanno, il dibattito sul PACS in questi giorni è molto acceso. Succedono anche cose simpatiche: u’agenzia, la Adnkronos, nel riportare la frase «pax et bonum» pronunciata dal presidente della regione del’Emilia Romagna a proposito di San Francesco ha scritto PACS invece di pax. Era solo una battuta.
‘attuale dibattito politico non mette più in discussione il riconoscimento di alcuni diritti e che questi diritti ci siano mi sembra un dato acquisito. Persino ‘onorevole Fini sostiene questa tesi, così come il presidente della CEI, sul cui intervento nutro molte perplessità. Il problema non è il se ma il come. Al di là del fatto che molti non accettano il termine PACS, anche se a me piace molto, la nostra battaglia comunque non è sul nome ma sui contenuti. La questione nodale è ‘accertamento della convivenza e la sua registrazione.
Vorrei ricordare a tutti coloro che hanno dubbi su questa materia che esiste già una definizione di famiglia anagrafica – si tratta di una sorta di accertamento – contenuta nella legge 24 dicembre del 1954, n. 1228, relativa al’ordinamento del’anagrafe della popolazione residente. ‘articolo 4 del regolamento di attuazione del 1958, definisce in questo modo la famiglia anagrafica: «Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincolo di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abitualmente nello stesso comune». Già una norma del 1958 parlava di vincoli affettivi: che esistesse un nucleo familiare diverso da quello tradizionale la legge italiana lo stabiliva già moltissimi anni fa e dal’accertamento di un vincolo affettivo, sia pure accertato sotto un profilo anagrafico, sono discesi una serie di elementi giurisprudenziali, in base ai quali sono stati riconosciuti ai conviventi alcuni limitatissimi diritti.
‘accertamento della convivenza sembra sia diventato la questione nodale; sembra che nessuno ponga degli ostacoli ai diritti elencati magistralmente dal professor Bilotta, in ordine al’assistenza o alla pensione di reversibilità. Sono state avanzate perplessità sotto un profilo economico, ma nei pochi casi in cui la pensione di reversibilità è stata attribuita ai conviventi non ci sono state conseguenze disastrose per i conti pubblici dello Stato. Il mio ragionamento sarebbe complesso ma mi limito ad elencare i diritti sui quali sembrano non esserci più contestazioni.
Ogni rilievo sembra riguardare ‘accertamento e la registrazione di questo patto. A me pare – e qui concludo – che senza un accertamento non esiste nemmeno una possibilità per la legge di avere un senso. Se non ‘è una registrazione pubblica della convivenza, non ‘è nemmeno la possibilità di opporre ai terzi queste convivenze. Pertanto la mia domanda è questa: potrebbe esistere una forma di registrazione che consenta ‘opponibilità ai terzi e che sia nei modi e nelle forme proposte da chi ha criticato la registrazione pubblica del PACS? La mia opinione è negativa ma vorrei conoscere ‘opinione del professor Bilotta.

MARCELLA LUCIDI. Vorrei qualche chiarimento. Non si meravigli il professor Bilotta se a cotanto dibattito, presente sugli organi di stampa, non corrisponde una presenza così appassionata e interessata in Commissione giustizia della Camera. Trovo che questa sia una stortura e non mi piace assolutamente, perché credo che la politica abbia il compito di essere presente negli ambienti dove si discute di una riforma legislativa. Quindi do maggiore rilevanza a questo ambito rispetto a quello mediatico.
In un precedente dibattito in cui ci confrontammo, lei citò il cosiddetto «diritto al’armonia». La prima perplessità che le consegno riguarda lo status. Credo, che così come si sta conformando attraverso la proposta di legge sul PACS e attraverso gli interventi legislativi che comunque si sono verificati, sia difficile negare che questo patto finisce per comportare una modifica dello status delle persone.
Non entro sulla questione del’affinità e della parentela, ma trovo abnorme che, invece, non venga ancora affrontata per quanto riguarda i figli. Infatti, abbiamo una norma del codice civile che stabilisce un unico legame tra il figlio naturale e il genitore ed esclude altri legami di parentela: quindi, non ‘è un nonno, non ‘è uno zio. Credo che, prima o poi, dovremmo affrontare tale punto e tuttavia è più chiaro per quanto riguarda il rapporto della coppia.
La seconda domanda è relativa al rapporto tra volontarietà ed attribuzione ope legis di diritti. Su tutto ciò già da tempo ho delle perplessità perché ‘è una volontarietà del rapporto di convivenza de facto more uxorio. Lei diceva che esistono delle situazioni in cui la volontarietà non è possibile e questo regime diventa obbligatorio. Giorni fa un signore mi poneva questa fattispecie: un uomo, coinvolto in un lungo giudizio di divorzio, è convivente da anni con una donna ed hanno un figlio; il procedimento di divorzio va a sentenza e ‘uomo muore prima che arrivi la decisione per cui la donna che ha investito sul rapporto di convivenza si trova priva di qualsivoglia tutela. Quindi, esiste tale questione ed u’altra evidente che riguarda persone dello stesso sesso, alle quali non è data alternativa rispetto alla quale si possa dire che questa è una scelta di volontarietà. Invece, nel caso di una scelta di volontà il tema me lo pongo perché, quanto più interveniamo – penso al caso della successione – a far derivare delle conseguenze giuridiche del rapporto, tanto più lo stiamo disciplinando: quindi, non stiamo soltanto dando più rilevanza giuridica ma una definizione in qualche modo istitutiva.
Su tutto ciò ho una perplessità perché, ad esempio, prevedere la figura del convivente nella categoria dei successibili significa intervenire. Non ho problemi per quanto riguarda il bisogno di dare certezza e credo che questo sia in linea con le scelte fatte finora dal legislatore (per esempio, nella disciplina delle adozioni si può procedere con la domanda di adozione qualora ci sia un matrimonio e precedentemente una convivenza di tre anni). Oggi il tema è risolto con ‘autocertificazione; se in linea con quella preoccupazione del legislatore volessimo un elemento di certezza, tale autocertificazione aiuterebbe maggiormente e sarebbe più coerente. La questione «davanti a chi» è il problema perché, se fosse ‘ufficiale dello stato civile, verrebbe data una rilevanza sociale, che può essere di interesse per alcuni e per altri no, tan’è che non scelgono la via del matrimonio proprio perché non vogliono tutto ciò. Quindi, come dice Alfio Finocchiaro, poi avremmo un terzo genere, quello delle coppie non unite con il PACS né in matrimonio, ma delle coppie di fatto che, comunque, rimarrebbero assolutamente prive di qualsiasi tutela. Credo che sussistano dei nodi interessanti per capire in quale modo non creare un «matrimonio di serie B».

PRESIDENTE. Do ora la parola al professor Bilotta per la sua replica.

FRANCESCO BILOTTA, Docente di diritto privato presso ‘Università di Udine. Vorrei rispondere inizialmente al’onorevole Anedda. Sicuramente mi sono espresso male perché nel’articolo 2, che dà le definizioni che sono alla base del progetto di legge in esame, si parla di unioni di fatto come la convivenza stabile e continuativa tra due persone di sesso diverso o dello stesso sesso che conducono una vita di coppia. Nella lettera a) di questo articolo non si usano gli stessi aggettivi, cioè stabilità e continuatività, che invece si usano nelle unioni di fatto con riferimento al patto civile di solidarietà. Probabilmente, questo potrebbe averla indotta a dire che il progetto di legge privilegia anche convivenze di carattere occasionale. Comunque, per escludere che questa occasionalità trovi spazio al’interno della tutela prevista da questo progetto di legge, occorre dire che in tutti e due i casi si parla di un progetto di vita comune ed è evidente che, se due persone decidono di portare avanti un progetto di vita comune, non immaginano il loro rapporto come semplicemente occasionale. Ci sarebbe anche in termini economici una sproporzione tra il fine da raggiungere e lo strumento utilizzato per raggiungerlo. Se voglio vivere una convivenza occasionale, probabilmente, non avrò alcun interesse a mettere in moto una macchina anche di carattere burocratico che giunga fino al’ufficializzazione di un patto civile di solidarietà. Se poi per occasionalità si intende la possibilità che questo rapporto – che si immagina duraturo nel tempo, stabile e continuativo – nei fatti non si riveli essere tale, ciò può accadere anche nel matrimonio. Non conosco con precisione le statistiche delle durate medie dei matrimoni in Italia ma mi sembra di aver letto che sempre più la durata dei rapporti matrimoniali è ben lungi da quel’ideale di durevolezza e indissolubilità che tutti noi immaginiamo. Quindi, un conto è ciò che accade nella pratica e un altro è cosa dovrebbe succedere nelle intenzioni delle parti e nella volontà del legislatore. Sicuramente il pensiero che sta dietro al’istituto del PACS non è quello di favorire una convivenza occasionale e credo che neanche i privati avranno interesse a fare un PACS se si immaginano una convivenza soltanto di carattere occasionale.
Per quanto riguarda la seconda questione, relativa ai termini soggettivi, quali presupposti del PACS, debbo dire che ‘articolo 3, secondo comma, del progetto di legge, che contiene i presupposti per contrarre il patto civile di solidarietà, è stato strutturato alla luce del’articolo 87 del codice civile, che prevede i presupposti per il matrimonio. ‘è una grande sintonia tra queste due norme, pur non essendo esse identiche. Ciò che, nonostante la quasi identità dei presupposti soggettivi dei due istituti, mi porta comunque a distinguere la fattispecie del PACS da quella del matrimonio sono gli effetti, questione che non è semplicemente formalistica.
Si tratta di guardare il rapporto di coppia in maniera diversa. Nel caso del PACS le parti hanno la possibilità di stabilire delle regole di condotta diverse da quelle previste in materia matrimoniale. Sappiamo benissimo che con il matrimonio gli effetti personali non sono modificabili, così come gli effetti patrimoniali sono modificabili in misura molto limitata. La scelta di voler ricorrere ad un PACS non è secondo me sindacabile in alcun modo dal’esterno, pena la lesione del diritto al’autodeterminazione, che ‘articolo 3 della Costituzione riconosce agli individui, così come ‘articolo 14 della Convenzione europea dei diritti del’uomo. Introdurre questo nuovo istituto fa sì che ci sia una maggiore flessibilità nelle opzioni normative che le parti possono avere a disposizione nel momento in cui si decide di vivere un rapporto di coppia. Rimettiamo ai privati una scelta che finora è stata soltanto del legislatore. Si può essere più o meno ‘accordo, ma mi sembra che questo modo di guardare al rapporto di coppia sia più in sintonia con la sensibilità sociale attuale.
Per quanto riguarda le questioni sollevate dal’onorevole Grillini, relative ad una giustapposizione tra ‘accertamento e la registrazione, vorrei sottolineare una differenza. Si accerta una situazione di fatto, si registra un atto. Sembrano verbosità giuridiche, ma nel caso del’accertamento che sta alla base della fattispecie della famiglia anagrafica, rimaniamo fuori da qualsiasi tipo di riduzione del rapporto di fatto ad un vincolo di rilevanza giuridica.
Ci sono delle conseguenze che il diritto riconnette a delle situazioni di fatto e mancando un atto che documenti quel rapporto ho bisogno di accertare ‘esistenza di un rapporto di fatto. Nel momento in cui invece esiste la sottoscrizione di un patto civile di solidarietà, è evidente che rendere formale, attraverso un documento, il rapporto escluda la necessità di qualunque tipo di accertamento, perché sono le parti che dichiarano di voler instaurare un rapporto tra di loro, regolandolo in un certo modo. Per cui manterrei la differenza tra situazione di fatto, che equivale alla convivenza, e atto, che riguarda il patto civile di solidarietà, anche in considerazione delle ulteriori questioni che sollevava ‘onorevole Lucidi.
Con il progetto di legge sul PACS non si elimina la convivenza, ma si affianca al matrimonio il PACS. Non ‘è un travaso della convivenza nel patto civile di solidarietà e ciò si evince nel Capo III del progetto, in cui si prevede ‘esistenza di norme minime riguardanti le convivenze e i PACS, in considerazione del fatto che gli interessi privati sottesi ai due istituti sono comunque identici. In queste norme non si fa altro che confermare posizioni sulle quali la giurisprudenza italiana è ormai pacifica. È ormai pacifico che il convivente possa ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale nel caso di uccisione del convivente da parte un terzo. Il diritto non deve aver paura di affrontare le novità e i cambiamenti che la società vive. Certe volte il non regolare una determinata situazione non è certo un modo per favorire la libertà delle persone, perché ‘incertezza della relazione giuridica che ‘assenza della norma crea ha delle ripercussioni e delle conseguenze giuridiche gravi e priva le parti della serenità necessaria per vivere con armonia i rapporti.
È vero che dobbiamo distinguere i rapporti eterosessuali da quelli tra persone dello stesso sesso, ma prevedere una legge ad hoc per questi ultimi secondo me è ghettizzante e fonte di discriminazione.
Ritengo inoltre che una giuridicazione minima del fenomeno della convivenza, che non è innovativa, ma che si ispira alla giurisprudenza consolidata, sia funzionale ad una maggiore certezza del diritto e serva a realizzare pienamente il diritto alla florealità – onorevole Lucidi, è questa ‘espressione che lei mi ha sentito citare -, ossia il diritto alla realizzazione di ogni persona nella sua più intima essenza, il diritto di essere se stessa nelle relazioni affettive.
‘onorevole Lucidi poi sollevava la questione degli status. Nel nostro ordinamento non esiste una norma, come avviene nel diritto francese, che sancisca il diritto di visita dei nonni nei casi di separazione dei coniugi, pur avendo una legge che ha istituito la festa dei nonni.

MARCELLA LUCIDI. Diritto di visita che nelle coppie di fatto sarebbe a maggior ragione negabile.

FRANCESCO BILOTTA, Docente di diritto privato presso ‘Università di Udine. Questo forse non è un esempio di come il diritto, pur entrando al’interno di una relazione affettiva e apparentemente comprimendo la libertà delle parti, divenga strumento per tutelare quelle relazioni affettive e rendere i rapporti tra le parti più sereni?

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Bilotta.
Dichiaro chiusa ‘audizione.

La seduta termina alle 12,35.


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