La rivoluzione libertaria che serve all’Italia

  
Europa

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Cosa distingue l’Italia dalla Spagna di José Luis Rodriguez Zapatero? Non le radici culturali neolatine, né la forte tradizione cattolica. Non la buia esperienza di una dittatura fascista ormai superata né la forte vocazione europeista attuale. Cos’è, allora, che rende impensabile nell’Italia di oggi quella grande rivoluzione libertaria che ha fatto della Spagna un modello da seguire per chi abbia a cuore le libertà civili? Il governo Zapatero – composto al 50% di donne – ha approvato in pochi mesi la più avanzata legge al mondo sull’uguaglianza giuridica di gay e lesbiche, una innovativa legge contro le violenze domestiche degli uomini sulle donne, il divorzio breve, la parificazione degli stipendi fra uomini e donne a parità di condizioni, la non obbligatorietà dell’ora di religione.
Una serie di misure fortemente laiche e innovative nel segno della libertà. Quella stessa idea di libertà che ha portato le truppe spagnole fuori dall’Iraq.

Il governo di Berlusconi appartiene ad un pianeta diverso, infarcito com’è di esponenti di una destra arrogante, maschilista e xenofoba. Ma cosa accadrebbe con un governo di centrosinistra? Non certo quello che è successo in Spagna. Zapatero ha accolto la pressante richiesta di uguaglianza proveniente dal movimento gay, lesbico, bisessuale e transessuale spagnolo. Lo ha fatto in modo chiaro e limpido, realizzando in modo rapido quello che aveva promesso prima delle elezioni. Lo ha fatto in modo radicale, perchè quando sono i gioco i principi di uguaglianza e i diritti fondamentali delle persone non sono possibili compromessi al ribasso.

Questo atteggiamento coraggioso ha modificato l’immagine della sinistra spagnola guardata a modello da molti e con diffidenza da altri, a partire da molti sedicenti riformisti italiani che si affannano a prenderne le distanze. Ma il fatto ancor più interessante è che ha costretto la destra, dal Partito Popolare di Aznar alla Conferenza Episcopale Spagnola, a spostarsi sul suo terreno proponendo soluzioni di mediazione — come le unioni civili per gay e lesbiche — che in Italia faticano a diventare proposta condivisa del centrosinistra.
Quando la sinistra è bigotta — ci diceva Pedro Zerolo, leader del movimento gay spagnolo – la destra sembra liberale. Ma quando la sinistra espone con chiarezza le proprie idee, allora la destra appare come sempre è stata, aggressiva e lesiva dei diritti, della libertà e del’uguaglianza dei cittadini.

Purtroppo l’Italia è un’altra cosa. Nel paese del Vaticano, la laicità dello Stato è considerata un principio estremista. L’idea che le gerarchie cattoliche siano la fonte suprema dei valori morali è ancora fortemente dominante, tanto che chi voglia portare avanti temi “eticamente sensibili” in maniera difforme dal catechismo di Benedetto XVI spesso è spinto ad argomentare la compatibilità di quei principi con la dottrina cristiana piuttosto che rivendicare a testa alta l’autonomia dei valori della libertà individuale e della libertà di pensiero. Giordano Bruno, purtroppo, non abita più qui e la sua lezione di dignità sembra dimenticata.

Certo, in questa forte carenza di laicità della maggior parte dei politici nostrani gioca molto l’aggressiva politica di invasione di campo della Cei di Camillo Ruini, leader ombra della politica italiana. Il ruolo giocato dalle parrocchie per il fallimento del referendum contro la legge 40 sulla fecondazione assistita ha mostrato in modo chiaro come le gerarchie ecclesiastiche intendano la separazione fra Stato e Chiesa. D’altra parte era stato lo stesso Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a teorizzare la subordinazione dei politici cattolici alle direttive di oltre Tevere.

Sarebbe però sbagliato ridurre ai soli calcoli elettoralistici la marginalità del principio di laicità nel dibattito politico nostrano. Non è meno influente, infatti, una diffusa carenza culturale su questo terreno. In Italia è sempre mancata, dopo la breve esperienza post-unitaria, una destra liberale degna di questo nome: le forze conservatrici del paese si sono adagiate prima sotto l’ala protettiva del totalitarismo fascista poi sotto quelle del confessionalismo vaticano. Dal canto suo, la sinistra italiana ha sempre guardato con sospetto — perlomeno fino alla rivoluzione femminista – all’idea che la sfera individuale delle persone potesse essere fonte di diritti civili. Si pensi alla cacciata di Pier Paolo Pasolini dal Pci o alle iniziali resistenze di quel partito a schierarsi nelle grandi battaglie degli anni ’70 sul divorzio e sull’aborto.

Oggi è fondamentale che anche in Italia si trovi spazio per una rivoluzione libertaria, gentile nelle forme ma radicale nei contenuti, di quella radicalità sui diritti che non è un corollario estremista ma un elemento sostanziale del concetto stesso di democrazia.

Gay, lesbiche, bisessuali, e transgender (Glbt) hanno steso, in occasione delle primarie dell’Unione, una loro piattaforma programmatica unitaria in cui indicano alcune riforme praticabili subito, a partire da una legge sul Patto Civile di Solidarietà (Pacs) che, sul modello francese di un istituto distinto dal matrimonio, elimini lo scandalo di un’Italia che è rimasta da sola, insieme a Grecia ed Austria, ad ignorare la realtà delle coppie gay e lesbiche. Accanto a questo, ci sarebbero da dare altre risposte importanti alle esigenze della popolazione Glbt: azioni positive contro il pregiudizio e l’esclusione nella società, nella scuola e sul lavoro; una legge contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere che dia reale applicazione ai principi contenuti nella Carta di Nizza; interventi per la salute e il benessere delle persone omosessuali e transgender; la possibilità di modifica dei dati anagrafici della popolazione transgender a prescindere dagli interventi chirurgici demolitivi e ricostruttivi; l’assunzione di un ruolo attivo del nostro governo per ‘abolizione della pena di morte, per la depenalizzazione del reato di omosessualità e transessualità nel mondo e per il riconoscimento del diritto d’asilo per i perseguitati a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere.

Sullo sfondo di queste richieste, responsabilmente proposte alle forze politiche italiane come soluzione gradualista realizzabile qui ed ora, sta la richiesta che il Parlamento Europeo fece agli Stati membri l’8 febbraio 1994: la piena parità di diritti per le persone omosessuali, anche ponendo fine “agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni”.

Quello che l’Europa ci chiede da dieci anni, in Italia non trova ancora diritto di cittadinanza. Non è in gioco solo la legittima istanza di riconoscimento dei propri diritti civili da parte delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender. È in discussione una modalità dello stare assieme basata sul rispetto della libertà degli individui e sulla possibilità di costruire il proprio progetto di vita in modo libero e creativo, senza dover sottostare ad una concezione etica fondata sui valori di una parte assunti come modello morale imposto per legge.
È la medesima idea di una subordinazione dell’autodeterminazione della donna ai principi cattolici che è alla base della legge 40. La stessa concezione dei rapporti fra libertà dei singoli e Stato etico che sta dietro quelle politiche proibizioniste sulle droghe per le quali il 30% della popolazione carceraria è composto da persone tossicodipendenti: una percentuale destinata a crescere se andrà in porto lo scellerato progetto della legge ex Cirielli destinata a prescrivere i corrotti e a mandare in carcere una schiera di recidivi per reati minori, colpendo soprattutto i tossicodipendenti costretti in un circuito criminoso da una legislazione cieca.
Sugli stessi presupposti il Parlamento ha cercato di modificare la legge sulla prostituzione nel senso di un divieto di esercizio in luogo pubblico che inevitabilmente inserirebbe in una dimensione di illegalità tante donne, soprattutto extracomunitarie, impossibilitate a gestire altrimenti la loro attività. Con la stessa logica si ledono i diritti fondamentali — alla salute, alla formazione, al lavoro — della popolazione carceraria e, soprattutto, dei reclusi senza titolo nei Centri di permanenza temporanea.

Uno Stato autenticamente democratico andrebbe inteso come uno strumento laico di armonizzazione delle complessità sociali fondato sul rispetto delle convinzioni filosofiche, culturali, religiose dei singoli. L’Italia, al contrario, più che verso il riconoscimento della pluralità culturale e sociale sembra muoversi verso una sempre maggiore confessionalizzazione delle istituzioni repubblicane.
Questo non è un tema secondario per chi voglia attuare una riforma democratica del Pese, anche se molti sembrano continuare a sottovalutarlo. In un pianeta dilaniato da profondi conflitti, o l’Occidente saprà costruire un linguaggio autenticamente fondato sui diritti delle donne e degli uomini, intesi in una logica laica e pluralista, o rischia di presentarsi al mondo con la sola faccia del predominio economico ammantato da scontro fra religioni. In questo scenario l’Italia giocherà un ruolo importante, in un senso o nell’altro. Speriamo che la Spagna porti consiglio.

Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay


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