Vince l’Italia del pallone, può vincere l’Italia delle libertà?

  
Italia Campione del Mondo

E’ indubbio, che la vittoria azzurra al mondiale di calcio contiene alcuni spunti di riflessione che si possono estendere all’attuale fase politica e sociale del nostro paese.

Quei giocatori, di cui le squadre di club sono invischiate in uno scandalo che appare a molti solo la punta di iceberg ben più vasto, hanno saputo reagire allo sconfittismo serpeggiante con un orgoglio di squadra, che, grazie anche alla fortuna, li ha portati al successo.

Tutto ciò non cancella gli scandali, e le sentenze che verranno, ma sottolinea il fatto che la forza di volontà espressa ha saputo trascinare tutti, ad iniziare da un iniziale scetticismo dei mass media e dell’opinione pubblica.

Come sempre, questa Italia, divisa in aree politiche e sociali a volte artificiose, che sembrerebbe attraversata da un millenario distacco per il sentimento patrio, si scopre popolo, abbandona il solito lamentio tipico del Belpaese, e tira fuori del cappello la tenacia del gruppo, la commozione per il tricolore, la sentimentalità per l’inno nazionale. Questo coacervo di pulsioni popolari era ben palpabile per le strade dei grandi e piccoli centri italiani, senza bisogno di calcare la mano sulla retorica e la demagogia di maniera.

Insomma, il risultato era all’inizio impensabile, a metà del percorso nei nostri sogni, alla fine una realtà. Questo ottimismo, anche un po’ furbesco e machiavellico del popolo italico del calcio, è risultato decisivo anche negli umori dei protagonisti in campo, che hanno condito i loro dubbi, le paure personali per il futuro, il dovere di reagire, insieme, facendosi forza e puntando tutto non sulle proprie capacità individuali, ma sull’effetto dirompente dell’aggregazione.

Ebbene quale migliore lezione per il movimento lgbt? Soprattutto fra i tanti e le tante, che magari in modo snobistico ed elitario si saranno sentiti non partecipi di questa avventura, si sarà coltivato il solito atteggiamento di indifferenza per le sorti di una squadra di miliardari, che solo il popolino, strumentalizzato dalle tv e dai potentati economici può ingenuamente sostenere.

Personalmente ritengo che la vittoria dell’Italia, vada ben oltre il significato calcistico, che in qualche modo sia un involontario (e fortunoso) sigillo ad una stagione di consultazioni elettorali e scandali, in cui il tentativo preciso era quello di rendere questo Paese più diviso, più lasciato a se stesso, più socialmente ingiusto, per lasciare libere mani ai pochi potenti, cui si volevano regalare patenti di immunità e legislazioni compiacenti.

E’ una Italia che oggettivamente esce diversa, che festeggerà ancora per qualche giorno e, poi forse dimenticherà questo mondiale, se non alle ricorrenze, ma che ha riscoperto un valore (che in alcuni pochi casi della nostra storia ci ha regalato un popolo orgoglioso di sé): la possibilità di potercela fare, anche a dispetto della mala sorte e delle oggettive fragilità.

Credo che il movimento lgbt, almeno quello che sempre più prova fastidio per le liti da cortile, per le posizioni massimaliste ed inconcludenti, per l’enorme spreco di energie ed intelligenze che si consumano per contrastare all’interno oggettive egemonie, possa trarre più coraggio per perseguire quella vocazione popolare, che ancora non è emersa in modo decisivo. Essere in sintonia con il Paese dove si vive, (e quindi con i milioni di cittadini lgbt anche non impegnati nel movimento) significa saper cogliere tutti i lati negativi, le contraddizioni, le fatiche, ma anche e soprattutto le potenzialità e le positive occasioni.

Invece che perdere tempo nel tentare di convocare inadeguati e traballanti Stati Generali del movimento lgbt, in contrapposizione alla grande rete territoriale e politica gay e lesbica, sarebbe più produttivo comprendere perché ci manca quel passo decisivo per la vittoria. Tutte le ricerche dimostrano che le nostre idee sono accolte positivamente dalla gran parte del’opinione pubblica, ma siamo vissuti e vissute, ancora estranei dal corpo sociale del Paese, in altre parole, ci manca quella popolarità (intesa come vicinanza di sentimento), che sgretolerebbe il muro odioso della politica e delle gerarchie cattoliche.

Se siamo consapevoli di questo, possiamo vincere! Possiamo coordinarci fra noi e spingere sul versante culturale e sociale con decisione e solidarietà. A chi ritiene di dover invece organizzare le truppe per andare ad uno scontro interno, assicuriamogli la nostra assenza, così che possa trovarsi nel campo di battaglia da solo a contare le proprie legioni. Noi saremo da un’altra parte, a sventolare, quando finalmente verrà l’ora, insieme ai tricolori le bandiere arcobaleno.


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