Lei con lei: sesso e divieti nell’Italia fascista

  

La Signora, una vecchia maîtresse in disarmo, si era ritirata dalla vita pubblica e dalle frequentazioni maschili, cercando «consolazione nella complicità tenera e tiepida del proprio sesso». Prima, sarà Gesuina: u'acerba servetta tredicenne condannata a invecchiare con lei e a diventare il suo «occhio indiscreto» gettato sul mondo. Poi, toccherà a Liliana: giovane sposa insoddisfatta che fuggirà da quel'universo claustrofobico e vizioso come «da un tetto coniugale» (a qualcuno «basterà ricordarsi la tentazione a cui la Signora 'aveva sottoposta anni prima» per associarvi «'intimità nella quale vivevano Liliana» e quel «Lucifero in persona»).

Per trovare conferme alle teorie esposte in Fuori della norma, la raccolta di saggi curata da Nerina Milletti e da Luisa Passerini, basterebbe forse soltanto leggere (o tornare a rileggere) alcune pagine di quel classico del neorealismo letterario che è Cronache di poveri amanti: scritto da Vasco Pratolini nel 1947, il romanzo è ambientato nella Firenze degli Anni Venti, proprio gli stessi anni presi in esame da Milletti, Passerini e dalle altre autrici (Alessandra Cenni, Gabriella Romano, Elena Biagini, Laura Schettini, Nicoletta Poidimani) con 'intenzione di raccontare «storie lesbiche nel'Italia della prima metà del Novecento».

Lo stesso Pratolini, che sembra non trovare «problema alcuno» nel raccontare rapporti extramatrimoniali oppure adulterini, mostra oltretutto «un malcelato disagio» se non «un istintivo ribrezzo » verso 'omosessualità femminile da lui intesa come «forzatura della natura». Già la fotografia riprodotta sulla copertina (tratta da «La difesa della razza », il numero XVI del 1940, e celata dietro 'ambiguo titolo di Serenità dopo il lavoro) testimonia quanto il «fantasma lesbico» fosse latente durante il regime fascista (al pari della scena di tango tra 'Anna di Dominique Sanda e la Giulia di Stefania Sandrelli nel Conformista di Bernardo Bertolucci). 'amore tra donne in Italia non fu soltanto negato o non visto, ma quando sarà ammesso, verrà comunque considerato «irrilevante» come realtà umana. «Il divieto delle relazioni amorose tra donne-spiegano le autrici-era innanzitutto diniego, il rapporto lesbico era costretto ad essere indicibile».

Quello fra uomini rimaneva «'amore che non osa pronunciare il suo nome», quello tra donne veniva scientemente mortificato come «'amore che è stato privato delle stesse parole per dirlo». E mentre «le ansie di natalità e le paure di svirilizzazione della razza italica» accentuavano la visibilità degli uomini gay (che proprio per questo finiranno più facilmente nel mirino), le lesbiche non erano invece «quasi mai abbastanza riconoscibili». Di loro, in qualche modo, verrà sempre negata la stessa esistenza. «La coercizione verso 'eterosessualità obbligatoria» viene dunque trasformata, secondo le autrici, in un pilastro «di quel'ordine patriarcale» di cui il fascismo rappresenta «una declinazione particolare». A testimoniarlo ci sono le protagoniste di queste storie: come Cordula (Lina) Poletti, studentessa femminista di Ravenna che si legherà prima a Sibilla Aleramo poi a Eleonora Duse.

O come quella Nietta Aprà che, in una sorta di outing «fuori tempo massimo», verrà sepolta con i pantaloni «da uomo». Grazie al libro («il primo sul tema in Italia») sappiamo finalmente come venisse sezionato il privato delle prostitute ritenute colpevoli di «lesbismo»: minuziose descrizioni poliziesche, foto segnaletiche, impronte digitali, testimonianze al limite della delazione. Al di là del loro tragico squallore, da quelle procedure «di regime» scaturisce 'immagine di u'Italia al tempo del Duce (quando «le occasioni migliori di incontro erano il cinema pomeridiano, 'oratorio o lo sport») dove bastava solo amare la boxe o non truccarsi per finire al'indice. Per molte delle protagoniste di queste storie «fuori della norma» la scelta di «non aderire ai canoni comuni» vorrà così dire soprattutto «una scelta di libertà» (e non solo sessuale).

Anche per questo Fernanda B. (una signora della media borghesia perugina che intratteneva «da anni una sospetta relazione con la moglie di un notissimo medico ») sarà condannata nel 1928 al confino. A lei, oltretutto, verrà imputata u'altra, gravissima colpa: quella di non aderire ai classici stereotipi che volevano le «lesbiche» trasformate in brutte copie del'«uomo», mostrandosi invece come «genuina espressione della femminilità». Come una donna normale, insomma.


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