In giacca e cravatta o in paillettes, il nostro personale resta politico

  

Il tema del riconoscimento sociale delle omosessualità e delle identità di genere, può ingenerare alcuni malintesi ed alimentare polemiche e discussioni già presenti alcuni decenni fa.

Soprattutto tra i gay, quindi dei maschi, si è sempre sviluppata una sorta di artificiale divisione tra i cosidetti libertini e i normalizzatori. Una discussione tutta teorica, lontana dai vissuti concreti delle masse omosessuali di sesso maschile. Ambito distinto e distante è l’universo lesbico, fortemente abituato dal femminismo in poi a confrontarsi, a proporre teorie e vissuti, che le hanno permesso di distinguere con più chiarezza il significato dell’autodeterminazione del corpo, delle sensazioni intime, delle sessualità plurime, dei sentimenti congiunti o separati dall’atto sessuale. Per i maschi le difficoltà sono molteplici, il senso relativamente ampio della frugalità sessuale, del richiamo del buio clandestino, dell’ammucchiarsi di corpi, organi genitali, bocche, pratiche diversificate, li spinge in molti casi a confondere tempi, luoghi, desideri, sentimenti con passione. Da qui prima i luoghi all’aperto d’incontro sessuale (ancora presenti e in molti casi pericolosi al punto d’essere generatori d’omicidi e rapine), poi i bagni pubblici dall’800 in poi, per arrivare ai cinematografi, alle prime spiaggie libere, ai leggendari viaggi al Sud Italia richiamati dalla selvaggia sessualità ancestrale del maschio eterosessuale che si "scopava" il "pederasta".

Allora la distinzione era netta, gli omosessuali erano quelli che si facevano sodomizzare, gli altri si consideravano ed erano considerati maschi virili, quindi eterosessuali. E’ la rivoluzione sessuale dei movimenti femministi e delle libertà sessuali promossi dai gay e dalle lesbiche che sconvolgono questi ruoli, fino ad arrivare all’oggi, dove la sessualità e la sentimentalità gay s’incontrano soprattutto tra "pari", ovvero tra persone che si riconoscono a vicenda differenze e culture altre rispetto al maschio eterosessuale. Anche in questo caso, bisognerebbe sempre declinare al plurale, come non esiste un’unica omosessualità, allo stesso modo non esiste un’unica eterosessualità.

I tanto criticati locali gay, che diciamolo con chiarezza in questo paese hanno svolto due funzioni essenziali, ovvero far emergere dalla clandestinità le omosessualità contribuendo in maniera decisiva all’esplosione dal ’90 in poi del movimento lgbt italiano e fornire i soldi necessari affinché si potesse fare politica, rappresentano un nodo del percorso culturale non concluso delle omosessualità italiane.

Criticare tout court le associazioni lgbt che grazie al circuito ricreativo, per quanto riguarda Arcigay, o alle serate come Muccassassina per il Mieli e tante altre ancora, organizzano gli scopatoi e poi si battono per il riconoscimento del matrimonio non rappresenta una novità.

Inoltre, individuare una contraddizione tra il fatto che si favorisca il libero esercizio delle sessualità e la battaglia politica e sociale per il riconoscimento giuridico delle coppie gay, delle leggi contro le discriminazioni, ecc., ha il sapore antico del moralismo delle diversificate chiese religiose ed ideologiche italiane. Possibile che il femminismo non ci abbia proprio insegnato nulla? Che siamo ancora qui oggi a discutere sul senso dell’osceno, della libera espressione sessuale, del corpo come privato che non ha bisogno di riconoscimenti pubblici?

La confusione regna ancora sovrana se non si riesce a distinguere che un conto sono le teorie, e un altro le tutele concrete? A nessun eterossessuale verrebbe in mente di battersi per il diritto alla sua riconoscibilità partendo dalle sue private monogamie o sessualità comunitarie. Intanto non ha bisogno, potendosi godere un mondo eterosessista e maschilista, d’alcuna affermazione pubblica e sociale; questo è il suo mondo e ne difende ogni possibile spazio. Da qui la necessità non solo degli e delle omosessuali e delle e dei trans, di affermare la propria visibilità, la propria esistenza confrontandosi ad armi impari con la società delle omologazioni discriminatorie.

Questo porta a ricalcare modelli eterosessuali tipo lo scimiottamento della monogamia? Mi sia consentito di dire che sono sciocchezze. E’ sufficiente conoscere la vita quotidiana di pochi gay e lesbiche per comprendere che l’intreccio rapporto di coppia – fedeltà sessuale è assolutamente complicato, diverso da coppia a coppia, come molteplici gli squilibri e gli equilibri che ne provengono.

Come comunità che ancora non si riconosce un valore politico e sociale forte, siamo nella fase delle sperimentazioni, dei liberi tentativi di vivere da sol*, in coppia, in comunità, dove tutto emerge meno che il perbenismo.

Su questo punto vorrei anche fare una chiosa rispetto a ciò che si percepisce nella frequentazione comunitaria nelle grandi e/o importanti città italiane e ciò che invece accade nella ben più numerosa e diffusa grande provincia. Ebbene si rischia una visione parziale, elitaria, collegata più alle proprie convinzioni ideali che alla reltà dei vissuti; da qui il rischio di ritenersi favolosamente le prime della classe, mentre altrove si sperimentano nuove culture e riflessioni. Da Aosta a Siracusa si bypassano i nodi classici delle avanguardie omosessuali e si costruiscono proprie vivibilità dentro la provincia, in micro e macro cosmi fecondi di produzione culturale e di vita sociale.

Difendo le dark room come spazi e luoghi che hanno salvato migliaia di gay dalle violenze della strada, difendo i locali per il ruolo che hanno svolto e possono ancora svolgere, difendo le battaglie di riconoscimento giuridico delle coppie lgbt, perché da sole hanno già cambiato la cultura della società italiana e, perché rappresentano l’unico modo per ottenere dignità. Aggiungo inoltre che il matrimonio gay, la parità vera di diritti e di doveri, scardina con più efficacia la struttura patriarcale della famiglia tradizionale, più di tante rispettabili e condivisibili teorizzazioni sulla storia violenta della struttura familista.

Ma il nodo vero forse non è che per i maschi gay è ancora difficile parlare di sé solo in funzione di riconoscibilità sessuale? Sentimenti, amori, conflitti intimi sono tenuti distanti dal confronto teorico, forse perché si dovrebbe ammettere, che il machismo gay è duro da morire, che la misoginia, intesa anche come il rifiuto della propria femminilità è tuttora presente. La tenerezza pubblica tra due uomini muscolosi, pelosi, non da fastidio anche a molti gay militanti? Così come le effusioni tra froci giovani non suscitano il retropensiero che siano più vicini alle lesbiche? Quindi, lontani dal proprio orgoglioso maschile, magari pure declinato nello slang gay al femminile, ma sempre distinto dall’approccio dell’altro sesso?

Convengo che il movimento da tempo non approfondisce il confronto culturale e questo ci ha fatti precipitare in una deriva normalizzante in cui troppi gay si sono rifugiati, riconosco che è sul terreno della cultura, del metodo d’analisi anche spietata di noi stesse e di noi stessi che si costruisce realmente una nuova fase del movimento, che oggi appare molto litigioso.

Dopo la stagione dei Pride possiamo affermare che una nuova generazione di ragazzi e ragazze ha preso possesso delle piazze e delle strade italiane. Cosa ci dice questo? Che non è vero che tutto è perduto, che le omologazioni sono sovrastanti, che i vari arcipelaghi che compongono il movimento lgbt non hanno la possibilità di riprendere la parola. Dipende da noi, solo da noi. Possiamo essere un vero soggetto di cambiamento, anche se non ne siamo fino in fondo consapevoli, ricchi di tante idee anche confliggenti, ma sempre tese a cercare nuove possibilità, cambiamenti, luci.

In giacca o cravatta (che al Pride fa più ridere che altro) in paillettes, praticanti o meno di sesso, amore, astinenze, trasformazioni, transiti, quello che ha valore è il nostro emergere, esserci, condividere quello che una volta si sintetizzava con "il personale è politico".

Il dibattito è stato aperto da un articolo di Emiliano Settimi, "Abbasso il perbenismo gay" pubblicato su Liberazione il 5 luglio.


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