5 domande a Renato Sabbadini

  

Renato Sabbadini è da novembre il co-segretario generale (insieme alla messicana Gloria Careaga) di ILGA, massima carica politica della federazione mondiale LGBT, che raccoglie la maggioranza delle associazioni e rappresenta una forte rete di scambio di pratiche e di relazioni per rafforzare la lotta alle discriminazioni e la battaglia per la parità dei diritti nei singoli stati. Bergamasco, trasferito a Bruxelles, ex-responsabile esteri e consigliere nazionale di Arcigay, resterà in carica per due anni.

Quali sono i principali obiettivi di ILGA?

Il rafforzamento delle regioni, soprattutto quelle del sud globale (Asia, Africa e America Latina), affinché le associazioni locali abbiano più facilità nel coordinarsi per fare pressione sui propri governi e per raccogliere fondi. Al momento solo ILGA-Europe dispone di un proprio ufficio, di propri fondi e di ben dieci collaboratori: il nostro obiettivo è far sì che nei prossimi anni anche le altre regioni di ILGA raggiungano questo tipo di indipendenza. L’altro fronte su cui stiamo lavorando è quello dell’interlocuzione con le agenzie e i membri dell’ONU, per continuare la lotta per raggiungere pari diritti e dignità  in tutti i paesi del mondo. Certo, ci vorrà del tempo, ma non siamo soli: Amnesty International, Human Rights Watch e altre ong lavorano con noi su questi temi.

Qual è l’importanza per Arcigay e per l’Italia di avere un proprio rappresentante come co-segretario generale di ILGA?

Anche se in questo momento il mio ruolo è quello di rappresentante di tutte le associazioni di ILGA, non nego di provare orgoglio per la mia associazione di origine: credo che la mia elezione sia anche un riconoscimento del fatto che in Italia, nonostante le difficoltà, o forse proprio grazie a queste, esiste un movimento forte, in cui Arcigay svolge un ruolo fondamentale. Per quello che riguarda l’Italia: quando ero a New York per la dichiarazione ONU sulla depenalizzazione dell’omosessualità, mi è sembrato che gli esponenti della missione italiana all’ONU si compiacessero, in parte, per la presenza di un connazionale alla testa di ILGA. Vediamo se questo compiacimento si tradurrà in un’apertura alle tematiche lgbt nelle politiche di cooperazione del Ministero degli Affari esteri…

Che cosa ha significato e che conseguenze avrà la dichiarazione ONU per la depenalizzazione universale dell’omosessualità sostenuta da 66 paesi?

La dichiarazione non avrà effetti concreti nell’immediato: anche se è un fatto storico (è stata la prima volta che è stata letta nella massima assise delle Nazioni unite una condanna della persecuzione contro le persone lgbt), essa rappresenta solo un primo passo (e indubbiamente un incoraggiamento) nella direzione di un progetto di risoluzione da sottoporre ai voti dell’assemblea. E’ giusto festeggiare quindi, ma dobbiamo impegnarci ancora molto perché altri paesi si uniscano ai 66.   

Che rilevanza ha avuto per l’Italia la forte campagna sociale promossa in sostegno della depenalizzazione?

A febbraio ero a una riunione con il capogabinetto di Rama Yade, la ministra francese per i diritti umani, che ha tessuto le lodi di Arcigay e dell’iniziativa su Facebook davanti a tutte le ong presenti. Vi è un riconoscimento unanime del ruolo di quella campagna nel cambio di atteggiamento del Vaticano, che alla fine ha deciso di non seguire l’Egitto nella sua battaglia contro la dichiarazione e si è invece dichiarato, in sede ONU, contro la penalizzazione dell’omosessualità.  

Fai un tuo augurio alla comunità LGBT italiana.

Mi auguro che la comunità LGBT italiana possa ritrovare, dopo la delusione del governo Prodi, la forza per continuare la nostra battaglia: vicende come quella di Eluana Englaro dimostrano che è quanto mai necessario serrare i ranghi e mettercela tutta per fermare questa deriva verso uno stato etico.


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