No ai gay, imam e vescovi a braccetto: l’Italia non è una teocrazia

  

Dopo i vescovi, che su “Avvenire”, nei giorni scorsi, ci hanno tenuto a far sapere che nelle prossime elezioni amministrative si dovranno sostenere solo coloro che valorizzano la famiglia “nel ‘format’ fondato sul matrimonio uomo-donna sancito dalla Costituzione” ora è il turno di un imam assumere una posizione omofoba ed entrare a gamba tesa nella vita politica del nostro Paese.

Ali Abu Shwaimache ha invitato oggi l’elettorato a non votare esponenti gay di partito perché quella omosessuale infatti sarebbe “una condotta che non va d’accordo con l’etica islamica”. Né valgono le rassicurazioni dell’imam che fortunatamente, ha spiegato di non avere chiesto ai fedeli, bontà sua, “di essere contro gli omosessuali”.

Ai rappresentanti di entrambi i fondamentalismi, che hanno trovato finalmente sintonia sull’esclusione delle istanze gay e lesbiche dalla dibattito politico e delle persone omosessuali e transessuali dalle istituzioni, ricordiamo che l’Italia non è una teocrazia bensì una Repubblica laica e aconfessionale.

Chiediamo quindi agli elettori di votare alle prossime amministrative coloro che, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale e dal proprio credo religioso, sappiano garantire una convincente prospettiva nell’amministrazione del futuro delle nostre città.

Da parte nostra continuiamo a guardare alla politica come uno spazio aperto a tutti e tutte e respingiamo in nome della laicità della Repubblica ogni invadenza confessionale e religiosa nella vita politica finalizzata a limitare la libertà e i diritti e a trascinarci lontano dall’Europa e dalla Democrazia.

Paolo Patanè, presidente nazionale Arcigay


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