di ROBERTO RASCHIATORE
SULMONA. «Sono contento che siete venuti». «Ci vuoi bene?». «Certo che vi voglio bene». «Dagli un bacio». I confetti sono stati già distribuiti quando Fabio Federico, il sindaco delle frasi anti-gay, incontra i manifestanti. Così il giorno delle contestazioni si trasforma nel giorno della pace. Il tutto sotto lo sguardo pensoso di Ovidio, il poeta dell’amore.
TUTTI IN PIAZZA. Sono le 10. In piazza Tresca arrivano i primi dimostranti dei circoli Arcigay d’Abruzzo. Molti slogan sui cartelli non sono meno indegni delle frasi pronunciate dal sindaco Fabio Federico e rimbalzate in questi giorni sul web. «Liberiamo l’Italia dagli egoisti psicopatici». «L’amore fra due persone non è una malattia. La tua ignoranza sì». Sono due dei più teneri. Irripetibili tutti gli altri. Il clima appare teso. Agenti della Digos e carabinieri presidiano la zona. In piazza ci sono i rappresentanti dell’Arcigay delle province di L’Aquila, Pescara, Teramo e Chieti. Ci sono il movimento Jonathan di Pescara e quello Civico nato su Internet dopo la bufera sul video omofobo. C’è anche l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti. I manifestanti sono qualche decina.
ECCO FEDERICO. Il presidente del consiglio comunale, Nicola Angelucci, è il primo ad arrivare. In mano ha un pacco di confetti gialli e rossi (i colori della città) con la scritta «benvenuti». Qualcuno vuole sapere dov’è il sindaco. «In tribunale» risponde Angelucci, «ma adesso lo chiamo». E così è. Colui che è diventato il grande accusatore del popolo gay si materializza pochi minuti dopo in sella a una bicicletta rossa. Non mostra alcun imbarazzo. «Sono contento che siete venuti» esordisce Federico. Qualcuno gli urla: «Ma ci vuoi bene?». Lui risponde: «Certo che vi voglio bene». «Dagli un bacio» fa un altro. E giù risate. Poi si avvicina Bruno Di Febbo, arrivato da Pineto con il compagno Orlando Dello Russo. «Stiamo insieme da 46 anni. Siamo la coppia gay più longeva d’Europa» esordisce con orgoglio Bruno Di Febbo. «Il filmato è frutto di un montaggio. Una porcata» chiarisce subito Federico «non ho mai detto che i gay sono un’aberrazione genetica. Per me l’omosessualità non è una malattia. Le scuse? Il ministro Carfagna e il senatore Marino dovranno scusarsi con me». Forse le polemiche continueranno, ma la pace sembra sancita. Federico si rimette in sella alla bici e per qualche metro pedala alla testa dei manifestanti.
IL CORTEO. Alle 10,37 il piccolo corteo parte da piazza Tresca davanti a una folla incuriosita. Raggiunge piazza XX Settembre e sotto la statua di Ovidio, il poeta dell’amore simbolo della città, prendono la parola i rappresentanti delle varie associazioni. «Chiediamo scusa a Sulmona ma siamo stati costretti a fare questa manifestazione» sottolineano dal megafono «può capitare a tutti di avere un figlio gay. E non è una vergogna».
Associazioni da tutto l’Abruzzo in difesa dell’uguaglianza
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SULMONA. «Porto i saluti del consiglio comunale e di tutte le istituzioni della città. La città del sommo poeta Ovidio. La città dell’amore e per questo ospitale con tutti». Le parole del presidente del consiglio comunale, Nicola Angelucci, hanno il sapore delle scuse. «Le frasi del sindaco andavano contestualizzate perché ormai vecchie» aggiunge Angelucci «si è fatto forse prendere dal suo carattere e ha sbagliato. Di certo non voleva scatenare un putiferio».
L’assessore comunale alla Cultura, Lorenzo Fusco, segue in disparte la manifestazione, e sottolinea: «Le scuse? Vanno fatte se qualcuno ha utilizzato un linguaggio forte».
«Siamo continuamente attaccati» ribadisce Gianni Di Marco dell’Arcigay Pescara «e non avevamo bisogno di quest’ultimo gravissimo attacco». A rappresentare Sulmona anche Franco Carabia, Giuseppe Ranalli capogruppo dell’Idv e Rosanna Sebastiani. «Siamo per la parità dei diritti di chiunque e siamo qui per lottare per i nostri diritti» dichiara Liliana Moca dell’Uaar. «Una lotta civile», quella a Sulmona, secondo Carla Liberatore dell’Arcigay dell’Aquila. «Lavoro in fabbrica, dove sono stato sempre ben accettato» interviene Guido Mazzoni dell’Arcigay di Teramo intitolata a David Kato «divido la mia vita con uno splendido compagno e pago le tasse, anche quelle per gli stipendi dei sindaci. Sono un cittadino come tanti e ho gli stessi diritti di tanti». (r.rs.)