Arcigay: «È un campanello d’allarme»

  

di Carmen Greco
Un sostegno collettivo per Michelle. È stato questo il senso della conferenza stampa indetta ieri mattina da Arcigay Catania al «Pegaso» dopo l’aggressione subita da Michelle Santamaria, la ragazza transessuale di Licata picchiata all’interno di un pub, di via Michele Rapisardi, a Catania, la notte di San Valentino.
Tutti accanto a Michelle: il presidente nazionale di Arcigay, Paolo Patanè, quello di Catania Giovanni Caloggero, quello di Agrigento Agostino De Caro, la presidente dell’Associazione Libellula (che si occupa dei problemi legali al transessualismo) Gloria Gramaglia, un gruppo spontaneo di cittadini catanesi, «Indignati», che con lo slogan «semu tutti diversi tutti», hanno manifestato con degli striscioni la loro solidarietà a Michelle sottolineando che «Catania non è solo violenza, ma anche una città aperta a tutte le differenze». Michelle Santamaria era presente con la mamma, Giuseppa Castagna, con l’avvocato Vincenzo Drago e, da Licata, è arrivato anche l’assessore comunale alle Pari opportunità, Patrizia Urso, «per offrire – ha preannunciato – un sostegno concreto a Michelle, tramite la Consulta costituita all’interno del Comune che raggruppa diverse professionalità in grado di poterla aiutare a superare questo difficile momento». Stessa sensibilità non ha avuto il Comune di Catania che rispetto a questo grave episodio che offende la città tutta, non ha ritenuto di prendere posizione, così come il proprietario del locale dove è avvenuta l’aggressione il quale, contattato telefonicamente ieri, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione «non posso dire nulla – ha detto – ci sono delle indagini in corso».
Michelle Santamaria è ancora sotto choc per quanto accadutole: «Devo andare dallo psicologo – ha dichiarato – sono piena di dolori, devo fare delle radiografie, ho le costole rotte, ho male alla testa mi hanno staccato un sacco di capelli come una bambola. Quello che mi fa più rabbia è stata la reazione delle donne all’interno del pub. Io amo tantissimo le donne, ma non ce n’è stata una che mi abbia offerto un fazzoletto per ripulirmi dal sangue. Sono senza lavoro, sono estetista diplomata, lavoravo in un centro estetico, ma dopo il cambiamento ho perso tutti i clienti e mi trovo senza un lavoro. Avevo già chiesto un impiego al Comune di Licata ma avevano paura che mi discriminassero sul lavoro. Spero che il Comune mi aiuti perché comunque voglio operarmi, voglio realizzarmi. Spero che mi stiano vicini».
Episodi come questo per il presidente nazionale di Arcigay Paolo Patanè, sono la cartina di tornasole «di una situazione di disagio che questa città sta vivendo. È un campanello d’allarme – ha sostenuto – Quando in un Paese si arretra economicamente, e questa è una fase di crisi economica grave, è il momento in cui purtroppo aumentano le tensioni sociali e l’aggressività si scarica cercando i nemici di turno in quegli “altrove” che una certa cultura è abituata a considerare avversari. Catania non può essere questa. Catania non è questa». Arcigay ha già annunciato che si costituirà parte civile in un futuro processo. «Qualcuno ha ipotizzato – ha aggiunto il presidente di Arcigay Catania, Giovanni Caloggero – che forse Michelle in quel frangente possa aver assunto un atteggiamento provocatorio. Michelle avrebbe anche potuto fare tutto, ma l’unico fatto certo documentato da un referto medico del pronto soccorso è che ha subito una violenza doppia, quella fisica e quella dell’omissione da parte di chi avrebbe potuto intervenire in suo aiuto e non l’ha fatto». Sull’episodio è intervenuto ieri, con una nota anche il comitato catanese di «Se non ora quando» «deprecando l’episodio, solidarizzando con Michelle e auspicando che la città non sia più teatro di tali orribili episodi di violenza sessuofobica».


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