L’omofobia resiste ma non fa rumore

  

MARIA TERESA MARTINENGO
Poche denunce «Gli episodi ci sono ma qui molto meno rispetto ad altre città italiane. E molti passano sotto silenzio»

Dopo la denuncia pubblica (e la querela) dell’inseguimento omofobo avvenuto lunedì sera a pochi passi da piazza San Carlo, la città del Pride, la stessa che negli anni 70 ha visto nascere con il Fuori! il movimento italiano di liberazione omosessuale, si interroga. Si interrogano gli attivisti del movimento lesbico, gay, bisessuale e transgender sui passi fatti a livello culturale, soprattutto dopo il successo «popolare» del Pride nazionale del 2006. E il bilancio, nonostante tutto, non sembra in perdita. Ma il discorso è complesso, non si risolve in poche battute.

Marco Giusta, presidente del Circolo Arcigay Torino «Ottavio Mai», martedì ha raccolto la paura di Andrea e Michele, i ragazzi che in via Maria Vittoria se la sono data a gambe per non finire probabilmente pestati da una banda di teenager omofobi in vena di «caccia al gay». Ieri raccontava altri episodi che le persone non rendono pubblici. «Ma che accadono. Certo, a Torino molto meno che altrove, questo è un dato di fatto», dice Giusta. Che però riferisce di un’altra passeggiata serale di due giovani finita male, a insulti. «Marco e Paolo, usciti da un ristorante, erano in corso Re Umberto. Marco ha messo un braccio intorno alle spalle di Paolo e, in maniera molto infantile, gli ha dato un bacio sulla testa. In quel momento racconta – è passata un’auto che si è fermata come per chiedere un’informazione. Dalla macchina, piena di uomini, arriva una domanda assurda “Dov’è corso Re Umberto?”. Poi la sgommata e l’urlo in falsetto “Froci, froci, vi amiamo”».

A questo punto è il protagonista a concludere: «Mi sono sentito malissimo, non posso nemmeno abbracciare il mio compagno al buio, lontano dalla "gente", che subito qualcuno si sente in diritto di urlarci dietro schifezze. Non è stato tanto l’insulto, ma l’idea di quegli uomini di essere assolutamente nel giusto, tanto da potere urlarci contro».

Maurizio Nicolazzo, referente del Gruppo Formazione del Coordinamento Torino Pride e della linea di ascolto Contatto del Circolo Maurice lgbt spiega che «Alla linea telefonica denunce di fatti come quello dell’altra sera non ne arrivano. Ma l’omofobia c’è ed è fortissima a tanti livelli: si coglie nel silenzio, nella non considerazione assoluta, fino alla violenza. Al lavoro e a scuola, sentirsi dare del “frocio” è un’abitudine che non arriva più al nostro telefono. Le persone ne parlano con gli amici. O con un avvocato. La linea telefonica, naturalmente, ha molto a che fare con l’omo e la transfobia, ma ad un livello più interiore».

Della scuola – gli inseguitori di via Maria Vittoria erano giovanissimi -, Nicolazzo osserva che «non si può generalizzare. Torino ha una lunga tradizione di educazione al rispetto delle diversità e il Coordinamento Pride, attraverso il Centro Servizi Didattici della Provincia, fa formazione ai docenti, interventi nelle classi, testimonianze. Certo, è volontariato, non è un’azione capillare. Gettiamo piccoli semi. Ma ci sono segnali che qualcosa germoglia. Per esempio, alcune ragazzine trans vivono nelle loro classi senza problemi». Ma c’è dell’altro. «I Pride, con l’uscita nelle strade, l’interesse, la buona accoglienza della gente, stanno moltiplicando le giovani coppie lesbiche e gay che camminano per strada tenendosi per mano. Certo, bisogna tenere gli occhi aperti».


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