Genova. Doria vede il traguardo

  

di Alessandra Fava GENOVA
Il candidato al Teatro Tosse: ho incontrato molta disaffezione politica, ma anche forti passioni
Un teatro, dei giovani e Don Andrea Gallo: così Marco Doria ha terminato una campagna elettorale lunga quasi quanto quella di un presidente americano. Eletto dalle primarie del centrosinistra a febbraio, non è riuscito a valicare il fatidico cinquanta più uno due settimane fa, nonostante l’appoggio di una coalizione articolata (Sel, Federazione della sinistra, Partito socialista, Pd ) si è fermato a quota 48,3 per cento. Colpa degli astenuti, delle schede nulle ma anche di un discreto gruppetto di demo-cattolici che ha fatto voto disgiunto mettendo la croce, ad esempio, sul Pd e su Musso. Anche per queste alchimie da vecchia bottega, non è riuscito a passare. Il suo sfidante è diventato così Enrico Musso, lista civica appoggiata dall’Udc, che ha preso il 15 per cento, insidiato per altro dal Movimento 5 stelle con Paolo Putti al 13,9 per cento. I giochi per queste elezioni sembrano fatti. L’altro candidato centrista sconfitto al primo turno, Pierluigi Vinai (Pdl), detesta Musso. Il grillino Paolo Putti se vince Doria prende cinque consiglieri comunali, altrimenti ne prende tre e rischia anche di indebolire il fronte ambientalista, lui un guerrigliero dell’antigronda, la variante autostradale, in quanto abitante di Murta, nota per le zucche ma soprattutto per aver impedito i carotaggi per l’infrastruttura. Per altro Musso non è tipo che si arrende così facilmente. Primo, in settimana ha lanciato un progetto per la limitazione delle sale da gioco («devono essere a cinque chilometri di distanza una dall’altra e la licenza votata in consiglio comunale», un tema caro alla chiesa genovese che da anni promuove la lotta all’usura). Secondo, ha dichiarato guerra alle schede elettorali. Siccome il suo nome è sotto e Doria nel «foglione» compare sopra, giovedì ha presentato un esposto in prefettura. Secondo lui, la scheda giusta è con i due candidati alla stessa altezza sulla scheda. Già venerdì sera però sapeva di aver perso: «La prefettura dice che è tutto regolare», spiegava passando a Portello dopo l’ultima cena elettorale. I supporter di Doria aggiungono che «la prefettura sorteggia chi mettere sopra e sotto, in base a un regolamento del ministero dell’interno». Così l’ultima giornata elettorale per Doria è passata un po’ tra i veleni e la paura, un po’ avanti e indietro sulla metropolitana, un po’ in Valpolcevera, un po’ a Nervi per chiudere all’Agorà del teatro Tosse. Fuori, Valerio Barbini, militante di Arcigay ora in Sel, fuma l’ennesima sigaretta: «I partiti, se sono generosi con la partecipazione, sono in grado di rispondere all’antipolitica. Poi intorno a Doria si sono raccolti molti non militanti e in otto mesi è riuscito a rompere certi schemi». Dentro, una socialista classe ’91 parla di Pertini, un giovane del Pd di lotte studentesche e di tornare nelle fabbriche e nelle piazze, Serena di Sel è finita in un municipio. Con loro Maria Grazia Daniele, deputata Pci, ricorda le lotte sindacali alla Impermeabili San Giorgio dove lavoravi cinque ore e te ne pagavano quattro, sarà lei a terminare con una canzone e «pensare che il partito nel Sessanta mi disse che se volevo fare politica dovevo lasciare le balere». Don Gallo fa un excursus dai Balilla alla Costituzione e a proposito dei grillini: «Meno male che c’è sangue nuovo». Doria conclude spiegando che quando era giovane la politica era concepibile solo in un quadro internazionale. Se gli chiedi che cosa ha ricavato da questa lunghissima marcia elettorale dice che «ha ricostruito una geografia politica della città. Da una parte ho conosciuto l’esistenza di un nucleo di persone con forti passioni politiche e la voglia di essere militanti, anche con tanto entusiasmo, dall’altra ho visto disaffezione diffusa, il distacco dalla politica e atteggiamenti rivendicativi tipo ‘questi sono i nostri problemi, lei li deve risolvere’. Per me – prosegue – formato con la guerra del Vietnam, buoni e cattivi, Urss e Stati uniti, passare al marciapiede di Rivarolo è un po’ riduttivo. Però nel mio girovagare ho scoperto anche gruppi di persone che si occupano di azione sociale che diventa politica o prepolitica e sono elementi di tenuta democratica e circolazione di valori, penso alla rete di associazioni e di comitati». Lo spettro di oggi e domani resta l’astensionismo. Al primo turno infatti sono andati a votare solo il 55,5 per cento dei 503 mila potenziali elettori genovesi.


  •