Non potendo essere presente Vi invio il mio intervento:
Con grande preoccupazione sto seguendo la condizione di vita delle persone GLBT in Italia, condizione che non mi risulta consona ai più elementari diritti della persona.
Purtroppo questo stato di grave disagio non viene e non può venire a galla e pubbliccizzato a causa del terrore di rendere pubblica la propria diversità.
Addirittura dopo un suicidio di un GLBT viene spesso fatto di tutto per negare che questo sia avvenuto per omosessualità e a causa dell’emarginazione.
Un esempio lampante è il caso di Alfredo Ormando.
Anche una persona licenziata dal lavoro si guarderà bene dal divulgare la vera causa.
Per i suddetti motivi e per lo stretto controllo sociale (sarebbe meglio definirlo asociale), soprattutto nelle province, non si vedono ancora molti sbocchi per la soluzione dei gravi problemi che affliggono i gay.
Per combattere affinché si possa finalmente intravvedere qualche barlume di "vero" cambiamento, sarà necessario richiamare le diverse istituzioni alla loro responsabilità.
Per esempio, si potrebbe con un circostanziato rapporto, denunciando il colpevole, diffuso e asociale comportamento verso la parte (almeno il 5%) omo-, bi-, e/o pan-sessuale della popolazione, chiedere alla Procura Generale della Repubblica Italiana, di fare un’indagine estesa nelle grandi città e soprattutto nelle province, per accertare le condizioni di vita dei gay, i motivi dei suicidi, di certi omicidi ed i gravi disagi sociali dei quali possono cadere vittime.
Un lavoro da attuare con la massima collaborazione tra Forze dell’Ordine, università, sociologi, psicologi, operatori sociali e organizzazioni GLBT. Quantificare anche gli enormi danni economici dell’emarginazione sarà un compito arduo.
Le organizzazioni GLBT dovrebbero ottenere finanziamenti per organizzare nuclei di informazione, assistenza e socializzazione soprattutto nei centri piccoli, nei quali spesso è pressoché impossibile trovare più di uno o due omosessuali, i cosiddetti sputtanati, l’altro 5% rimanendo per ora nascosto.
Non si potrà contare su molti spontanei "coming out" a causa della giustificatissima paura di dover subire il "mobbing", di venir scherniti, allontanati dagli affetti, dagli amici, dalla famiglia, di perdere il lavoro e di venir in ogni modo ostacolato, condannato ed emarginato.
In provincia molti dicono " meglio un figlio drogato che un figlio gay", " se mio figlio fosse gay lo ammazzerei". La vergogna arriva a tal punto che medici e preti non sanno chi dei loro pazienti o clienti è omosessuale.
La paura è profonda e ci sarà tantissimo da lavorare, fuori, ma anche dentro di noi per scovare la nostra omofobia interiorizzata, grande ostacolo per poter meglio aiutare gli altri.
Vorrei che ci si incamminasse su una nuova strada, trascurando per il momento "global" o "non global", destra, sinistra, centro, le beghe meno utili, per trovare il modo di togliere da immani sofferenze le persone ( e sono la maggioranza) che vivono la loro condizione nell’ impossibilità di aprirsi e vivere felici.
Un approccio diverso e più approfondito sarà necessario se veramente vogliamo vincere la nostra battaglia. BUON LAVORO!
Peter Boom
militante gay da 42 anni.
Circolo Pansessuale Dionysios
Arcigay di Viterbo