Il Gay Pride il giorno dopo. I protagonisti fanno il bilancio e il giudizio è unanime: successo straordinario, in qualche modo superiore a quello del World Pride romano di due anni fa, pur nel rispetto delle proporzioni. Quella era stata una manifestazione formidabile, ma più tematica, più mirata a contestare la politicizzazione del’atteggiamento della Chiesa, blindato, impermeabile ad ogni istanza, scostante.
Il Gay Pride in città, come Pollicino, ha cosparso di briciole tutta la strada fatta, per cui solo guardando per terra è possibile ricostruire il percorso del corteo. Forse la marcia dei ventimila meritava uno straordinario domenicale del’Aps. Ieri Padova, in un mattino corrucciato per una coda di temporale, era una ribalta deserta, un teatro vuoto e silenzioso dopo il grande spettacolo. Sotto i portici trovi bottiglie, coriandoli, bicchieri di plastica, fiori calpestati e polverosi. ‘ un «trash» abbondante, ma diverso dai resti di un raduno degli Alpini o di uno sciopero generale: più colore, più fantasia, anche negli slogan, nei volantini che ‘umidità ha incollato ai marciapiedi. Singolarmente in alcuni punti i manifestanti hanno cercato di mettere ordine, impilando bottiglie e barattoli in un angolo, quasi presi da improvviso fervore domestico.
«La manifestazione è stata un grande successo, molto meglio, molto di più di quello che ci aspettavamo, pur coscienti dei passi avanti compiuti negli ultimi anni – ha detto Alessandro Zan, portavoce del Gay Pride 2002 – Ma ciò che più mi ha fatto piacere è stata la partecipazione della città, che ci ha accolto con gioia, che ha seguito il corteo dalle strade e dalle case. ‘erano anziani, donne, bambini, ‘era curiosità, ma anche interesse per la nostra causa, per i problemi che viviamo. Qualcuno ci ha lanciato dei fiori. I padovani hanno capito che la lotta dei gay per i diritti dei gay è lotta di tutti per i diritti di tutti, che la nostra richiesta di libertà è per la libertà di tutti. Mi sono accorto che la comunità della gente che vive e lavora è moltro più aperta, generosa e vitale che non ‘apparato che dovrebbe rappresentarla e che si fa interprete di un perbenismo, di un timore diffuso, di u’aderenza a vecchi modelli di famiglia e di società, che forse apparterrà a qualcuno, ma non certo alla maggioranza. Infine, non ci resta che dire: grazie, Padova». «Anche ‘atteggiamento della Diocesi – prosegue Zan – espresso dal Vescovo in un articolo sul settimanale della Curia, «La Difesa del Popolo», mette in risalto valori di umanità e di comprensione. Sì, è vero, il rapporto con il Comune non è stato facile, anche se, alla fine, ‘atteggiamento ostile del sindaco si è, in qualche modo, incrinato». E aggiunge che la scelta di organizzare quella che, vista da fuori poteva sembrare una "festa pagana" – ma è stata soprattutto presentazione di istanze politiche – nella tredicina del Santo non è stata fatta a scopo di provocazione. «Avremmo anche spostato la data se il Comune avesse accettato di fungere da sponsor – dice il portavoce del Gay Pride – ma la nostra offerta è stata respinta».
Per quanto riguarda ‘incontro con Giustina Destro e la lettera in cui parla di dialogo, commossa, si potrebbe dire convertita, da Paola Dal’Orto della Sogedo, ‘associazione dei genitori di omosessuali, Zan dice: «Se il sindaco avesse accettato di sfilare con noi, avrebbe dimostrato u’autonomia politica e culturale che le avrebbe fatto acquistare autorevolezza e credibilità. Sarebbe stato un atto di coraggio. Io dal palco ho fatto rilevare la presenza in mezzo a noi del’ex sindaco Zanonato e ‘assenza della Destro».
Maurizio Turco, presidente degli eurodeputati radicali della Lista Bonino, che ha partecipato alla manifestazione, ha commentato ‘atteggiamento di Giustina Destro dicendo: «Io trovo comunque positivo che il sindaco abbia tentato, magari al’ultimo momento, un riavvicinamento. Noi dobbiamo essere pronti ad afferrare ogni appiglio».
Ieri ‘è stato anche ‘amarcord di Nicolino Tosoni, gay storico, esponente dei radicali padovani: «Era il 1971, ci incontrammo in 6 in un albergo di Piazza Bra a Verona. Per la prima volta ci dicemmo nome e cognome e il cristallo fu rotto. Eravamo emersi».
«Grazie Padova, ci avete capito»
Questo articolo è stato scritto il 9 giugno 2002.
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