L’allarme lanciato dall’AVIS sull’utilizzo del sangue di quattro donatori sieropositivi all’ HIV ripropone il tema dell’efficacia e della corretta modalità dei controlli sui comportamenti a rischio dei donatori. Com’è noto, ai volontari viene sottoposto un questionario contenente, fra l’altro, una domanda sui comportamenti sessuali a rischio.
Nei quattro casi individuati, la risposta risultava negativa “malgrado — è il commento del responsabile dell’Unità di raccolta sangue Iginio Arboatti —il colloquio effettuato dopo il riscontro della sieropositività abbia evidenziato invece che in due casi si trattava di omosessuali”. Posta in questi termini, purtroppo, la denuncia dell’AVIS ripropone un equivoco che rischia di costituire un elemento di confusione per l’opinione pubblica e per gli stessi donatori .
Speravamo che il decreto sull’accertamento della idoneità del donatore di sangue emanato nel gennaio 2001 dall’allora Ministro della Sanità Umberto Veronesi avesse chiarito in modo definitivo i termini della questione.
Fino ad allora, infatti, il decreto De Lorenzo (emanato nel ’91 a seguito dello scandalo del contagio di migliaia di emofiliaci) considerava motivo di esclusione l’ “esistenza di rapporti omosessuali nella storia personale”. Quella domanda testimoniava il permanere di un concetto antiscientifico, quello delle "categorie a rischio" che ha dato luogo, come oggi si ammette da più parti, ad una falsa rassicurazione nei confronti della maggioranza della popolazione e, di conseguenza, al crescente aumento dei nuovi contagi fra eterosessuali, soprattutto giovanissimi.
Nel novembre del ’98 una sentenza del Tribunale di Roma ha poi riconosciuto le responsabilità del Ministero della Sanità per quelle trasfusioni: la proscrizione pregiudiziale dei gay ( e delle lesbiche, gruppo il cui contagio è prossimo allo zero), magari monogami o dediti solo al sesso sicuro, aveva rappresentato solo un demagogico tentativo di scaricare su una parte sociale le ansie collettive e le responsabilità ministeriali sulla carenza dei controlli sulla qualità del plasma utilizzato
Già nell’aprile del 1998 il Parlamento europeo si era dichiarato contrario all’esclusione degli omosessuali dalla possibilità di donare sangue. Il decreto Veronesi, modificando la domanda ( “ha mai avuto comportamenti sessuali a rischio di trasmissione di malattie infettive?”) ristabiliva anche in Italia una maggiore correttezza nelle verifiche sui volontari.
Il problema denunciato dall’AVIS rimane in tutta la gravità dei suoi due elementi: da una parte il tasso di incertezza dei controlli , dall’altra una percentuale di donatori che non dichiara i propri comportamenti a rischio o non conosce il proprio stato di sieropositività. Bisognerebbe interrogarsi sull’efficacia degli interventi ministeriali rivolti alla prevenzione e alla diffusione del test, ancora del tutto insufficienti. Continuare ad alimentare l’equivoco sulle categorie a rischio non va nella direzione di risolvere questi problemi.
Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay
Da "La Stampa" 12.09.02
I VOLONTARI DENUNCIANO: FALSE LE DICHIARAZIONI DI ALCUNI DONATORI
«Sangue di sieropositivi usato per le trasfusioni»
L´allarme dell´Avis: i pazienti potrebbero avere contratto l´infezione
Donatori di sangue hanno nascosto di essere a rischio Aids ed epatite, mettendo in pericolo la salute dei riceventi. L´allarme arriva dal Corriere Avis: a pagina 5, un articolo-appello firmato dal responsabile dell´Unità di raccolta, il dottor Igino Arboatti, denuncia: «Nonostante l´invito più volte rivolto a tutti i volontari perché rispondano in modo sincero alle domande del questionario consegnato al momento dell´accettazione, non tutti i donatori hanno compreso l´importanza di questa esortazione». E, poche righe dopo, la notizia allarmante: «Nel 2001 tre donatori sono risultati sieropositivi per l´Hiv in occasione della donazione. Pochi giorni fa (nel 2002, n.d.r.) un altro donatore è stato ricoverato per accertamenti, perché positivo al test per l´Aids, sebbene risultasse negativo in occasione dell´ultima donazione effettuata pochi mesi prima». Il problema è che, «in tutti i casi le risposte date alle domande del questionario risultavano negative per quanto riguardava i rapporti sessuali a rischio, malgrado il colloquio effettuato dopo il riscontro della sieropositività abbia evidenziato invece che in due casi si trattava di omosessuali, un altro era un cliente di prostitute, il quarto caso era una persona che aveva frequenti cambi di partners». Immediate le reazioni di paura, tra chi ha ricevuto e letto quell´articolo. La vicenda descritta nelle tre colonne a tutta pagina del Corriere Avis è destinata ad alimentare lo stesso timore creato dalla drammatica storia di Rita Borrelli, la donna napoletana che si è ammalata di tumore dopo il trapianto di un fegato non sano. E – peggio ancora – richiama alla mente lo scandalo dei politrasfusi infettati da emoderivati di importazione per i quali negli Anni Ottanta (in mancanza di una legge specifica) non erano stati fatti controlli in entrata nel nostro Paese. Da sempre, l´Avis ripete che «il sangue raccolto è controllato» e quello donato «è sicuro». L´articolo del dottor Arboatti, sembrerebbe invece dire il contrario: «E´ ora necessario – si legge ancora sul giornale dei donatori – contattare il paziente che ha ricevuto il sangue a rischio e sottoporlo a controllo, con la speranza che non sia contagiato». «Se questo fosse avvenuto – conclude il dottor Arboatti – il problema potrebbe essere serio, anche per il donatore, perché avrebbe taciuto su determinati comportamenti, con conseguenti possibili implicazioni legali». A Torino e in Italia circola dunque sangue infetto? Al di là delle «possibili implicazioni legali per chi ha nascosto di essere una persona a rischio», quanto accaduto rivelerebbe che i metodi utilizzati per analizzare le sacche di sangue non sono sufficienti. «In occasione di ogni donazione – è spiegato anche sul Corriere Avis – vengono controllati i marcatori virali per l´Aids, per le epatiti B e C, e viene effettuata la sierodiagnosi per la sifilide. Esiste però un lasso di tempo, detto "fase finestra", che intercorre dal momento del contagio a quello in cui il laboratorio permette l´identificazione dell´agente infettante». L´ultimo dei quattro casi denunciati dal dottor Arboatti è stato scoperto grazie ai medici dell´Amedeo di Savoia. Dopo aver diagnosticato l´Aids a un uomo che si era sottoposto al test dell´Hiv in seguito a problemi di salute, i medici dell´ospedale per malattie infettive hanno comunicato all´Avis che quel paziente affetto da Hiv era un donatore abituale. Quell´uomo che ha mentito sul questionario ha fatto una ventina di donazioni.
Marco Accossato