L’opera di un artista finisce inevitabilmente per far parte della vita di chi ha saputo riconoscerla ed apprezzarla, così quando muore un artista è come se con lui scomparisse anche una parte di ciò che amiamo o abbiamo amato.
Giuni Russo
Ho appreso la notizia della morte di Giuni Russo guardando un telegiornale e subito mi è tornata in mente una frase di un grande maestro indiano che mi è stata riportata qualche tempo fa, durante una disquisizione sull’arte, da un altro artista, Alberto Fortis: “L’arte, così come la vita, non nascono come merce da immettere sul mercato. L’arte è un fiore che nasce spontaneo sul ciglio di una strada, sempre pronto a farsi cogliere da chi lo sa riconoscere.”
Non so perché ho subito associato questa frase a Giuni Russo. Forse perché sapevo che Alberto Fortis era un suo grande ammiratore o forse perché il grande talento artistico di Giuni Russo era ben lontano dai parametri che molti discografici utilizzano quando devono giudicare un artista. Giuni Russo non la si poteva vendere un tanto al chilo, come gli artisti dozzinali che stanno invadendo il tempio della musica italiana, tanto apprezzati e coccolati dai discografici. Giuni Russo era davvero quel fiore spontaneo che la disattenzione o l’insensibilità della discografia italiana, attenta solo alle impietose regole del mercato, non ha saputo riconoscere.
Molti giornali hanno ricordato questa artista, dalla voce straordinaria, ripercorrendo le tappe della sua carriera. Io ho pensato di ricordarla attraverso le parole affettuose di un suo amico, Ivan Cattaneo, che per lei ha scritto una poesia in cui è racchiusa la storia di una bella amicizia.
LA PRIMA NOTTE
E fu subito pioggia
Dopo il tuo cadere dalla vita
E non smettevano mai di coprirti
Interminabili cucchiai di terra per sigillare il tuo corpo
Mentre noi tutti stupiti, sparsi e confusi
Cercavamo con lo sguardo qualche distrazione dal cielo
E fu la tua prima notte… da sola laggiù
Dietro quel cancello che separa la vita
E testarda come te l’acqua che non smetteva mai di scendere
Che tutto inzuppava e penetrava irrispettosa
Sino ad arrivare al tuo esile corpo… nel suo primo riposo
E fu poi lampo e temporale rabbioso… rabbioso della tua precipitosa sorte!
E il tuo corpo che ancora magro sorride
Circondato di rose & rosari sul letto di bambù
E le tue mani bianche e spente… bianche dita
Che ora assomigliano ad ali di gabbiano
E io adesso qui nel mio letto non dormo e vorrei correre lì
Davanti a quel cancello che tutto separa
Vorrei entrare per mettere un ombrello sulla tua tomba affinché non ti bagni… affinché la tua splendida voce non prenda raffreddori o si abbassi
Affinché la tua anima da sempre coraggiosa e impettita non abbia
Per la prima volta paura o umano senso di solitudine.
Ecco vorrei essere lì Giuni… a farti compagnia e a ripararti dall’insondabile!
Ma questa è la vita e questa è la morte che tutto separa!
Che ci strappa alle nostre calde case per rimescolarci dentro la natura
Ed eccoti lì sotto temporale e tempesta, pioggia e nebbia… eccoti lì
Nella tua prima notte da sola.
Dentro terra e fango e la selvaggia rimestura del mondo
Ah quanta ingiustizia subita… quanti volevano tappare la tua gola!
Ma si sa: troppa arte, troppo coraggio e bravura
Infastidisce ipocriti e mediocri!
Là sotto la terra ti ho pensata: come donna come amante…
Come bambina sperduta… troppo abituata al sole mediterraneo
Per poter rimanere ora lì inerme in un cimitero lombardo
Fra nebbia e foschia
Ma poi son sicuro
Se fossi venuto quella tua prima notte
Al cancello… avrei di sicuro visto all’improvviso
Una voce evaporare al di sopra della terra e del fango
Una voce trasformarsi in anima-gabbiano
E ostinata evaporare dalla materia
Per riconquistarsi il cielo…
Riguadagnarsi il volo verso la Sicilia della sua infanzia
Verso l’abbagliante sole che all’alba se ne esce dal mare
Come tu adesso Giuni stai uscendo dalla nebbia e dal fango
E te ne voli via per sempre verso la vera unica libertà
Urlando Giuni…
Urlando con brividi-sublimi di voce…
Come solo tu sapevi fare!
Ivan Cattaneo, settembre 2004