MADRID – L´omosessualità? È una «psicopatologia», conseguenza dell´essere stati educati da «genitori ostili, alcolizzati, distanti» e da madri «iperprotettive». A parecchi senatori spagnoli, anche tra le file dei conservatori, è corso un brivido lungo la schiena a sentire il «parere scientifico» dello psicologo chiamato dal Partito Popolare ad esporre il suo punto di vista su nozze gay e adozioni omosessuali. Un linguaggio che è parso sinistramente vicino a quello impiegato negli anni bui del franchismo, rievocato proprio in queste settimane con la pubblicazione di libri che denunciano i metodi utilizzati dal regime contro i gay e con il pubblico omaggio, appena due giorni fa, a tutti gli omosessuali che vennero rinchiusi, fino al 1979, nel carcere di Huelva, in Andalusia, per essere «rieducati».
«Si tratta di formare uomini, non froci», sentenziava l´ammiraglio Luis Carrero Blanco assistendo inorridito al travolgente successo dei Beatles. L´inflessibile braccio destro del Caudillo – che poco tempo dopo morirà nell´esplosione della sua auto, scaraventata sulla terrazza di un convento madrileno da una potentissima bomba dell´Eta – era convinto che uno dei punti fermi della sua missione fosse quello di "ripulire" la società spagnola, frenare la "corruzione dei costumi". Tutta colpa degli omosessuali, naturalmente, che andavano messi al bando e rinchiusi in carceri speciali.
Sono i primi anni Settanta, e mezza Europa fa già grandi progressi verso la modernità. Ma in Spagna no, è tutto il contrario: si considera addirittura insufficiente la vecchia legge sui «vagos y maleantes», i fannulloni e malviventi, categorie all´interno delle quali venivano inseriti i gay, privati della libertà e «sottomessi a vigilanza per salvaguardarli dai loro istinti degenerati», come recitava la norma. Carrero Blanco decide di andare ancora più in là: non solo repressione ma anche rieducazione. Nasce la legge sulla «pericolosità e riabilitazione sociale». Uno «strumento repressivo di prim´ordine perché, non indicando delitti specifici, non imponeva pene ma misure di sicurezza per correggere i cosiddetti soggetti pericolosi», scrive il giornalista Fernando Olmeda nel libro «El látigo y la pluma» (la frusta e la piuma), che raccoglie le testimonianze sul trattamento riservato ai gay in epoca franchista.
Ecco, riportate da Olmeda, alcune delle espressioni che venivano utilizzate nei rapporti di polizia per definire l´omosessualità dopo le frequenti retate: «ripugnante vizio, perversione sessuale, turpi istinti, nefande relazioni, deviazioni lubriche, ripugnante porcheria, atti di deviata lussuria, immorali aberrazioni». Per i gay, soprattutto per quelli che non erano capaci di nascondere il loro orientamento, il destino era il carcere. Anzi, due carceri: quello di Huelva, in Andalusia, dove venivano rinchiusi gli omosessuali «passivi», e quello di Badajoz, in Estremadura, per gli «attivi».
Tra il 1970 e il ‘79 vennero arrestati un migliaio di gay. Entrati in cella, spesso ne uscivano nel giro di poche settimane o mesi per «buona condotta». Ma poi venivano incarcerati di nuovo perché la loro omosessualità manifesta li rendeva «socialmente pericolosi». Pestaggi, vessazioni di ogni tipo, in qualche caso persino un trattamento con elettroshock perché «tornassero alla normalità». A volte gli psichiatri proiettavano un´immagine che mostrava un ragazzo in atteggiamento di provocazione sessuale: seguiva, immediata, una scarica elettrica contro il paziente. Poi appariva l´immagine di una ragazza, e non succedeva niente. Col tempo, il progetto di «rieducazione» sfumò. Non perché il regime fosse rinsavito: semplicemente mancavano i fondi per pagare medici e psicologi che avrebbero dovuto portare a compimento l´opera.