MILANO – Se volete donare il sangue e siete omosessuali, badate bene: potreste essere scartati. "In Italia non si può". Anzi sì, ma dipende dai punti di vista (del medico). In pratica: non è che la legge lo vieti – un tempo era così, oggi non più – al contrario. ‘ che può succedere che qualcuno vi dica "no, se lei è gay allora niente prelievo". Proprio questo si è sentito rispondere, al Policlinico di Milano, Paolo Pedote, 39 anni, alla sua prima, mancata, donazione di sangue. ‘ il 16 agosto.
Pedote, che – ironizza – "nonostante ‘omosessualità" è sano come un pesce, vede in giro uno slogan pubblicitario: "Se hai sangue nelle vene, dimostralo!". ‘ lo spot scelto dal Policlinico per incentivare la donazione. "Donare il sangue – si legge – è un gesto di altruismo e di responsabilità civile. Basta avere tra i 18 e i 60 anni, un peso superiore ai 50 kg, un buono stato di salute e avere fatto una colazione leggera…". "Ma soprattutto – aggiunge Paolo con un sorriso amaro – è indispensabile non essere omosessuali".
Lui di sangue nelle vene ne ha da vendere. E non può certo immaginare che i suoi gusti sessuali siano, per i medici, una discriminante. Così si presenta al Policlinico. Reparto trasfusioni e immunologia dei trapianti. "Alla reception – racconta – ti chiedono di leggere un modulo sul quale è indicato tutto ciò che presuppone la sospensione temporanea o definitiva dalla donazione: dai vaccini agli antibiotici, dai tatuaggi al’assunzione di droghe leggere; fino alle malattie infettive, sifilide, Aids, epatite".
Poi il punto più importante: "I rapporti sessuali, anche protetti, con persone a rischio, prevedono la sospensione permanente". "Giusto – dice Paolo – la discriminante infatti deve essere questa, i rapporti a rischio, di qualsiasi tipo. Non ‘omosessualità". Che infatti, nel vademecum, non viene mai menzionata.
Il veto per chi ha rapporti omosessuali (maggio’91, decreto del’allora ministro alla Sanità De Lorenzo) è stato abolito (nel 2000 dal governo Amato) dopo anni di lotte gay. Ma tan’è. "Avendo escluso tutti i motivi elencati – continua – mi sento del tutto idoneo come donatore. La dottoressa Elena Coluccio mi sottopone a una visita medica. Inizia una serie di domande considerate di routine per i neofiti della donazione. Lavoro, stile di vita, biografia sanitaria, via via fino alla mia vita sessuale: mi chiede se ho rapporti con una partner fissa o con partner femminili occasionali non protetti. Rispondo di no, i miei rapporti sono sempre protetti e mai a rischio, ma aggiungo che i miei partner non sono donne ma uomini perché sono gay".
Sul volto della dottoressa ‘è un misto di panico e imbarazzo: "Allora, il problema è questo – mi dice – So che la legge permette anche agli omosessuali di donare il sangue, ma noi come nostra politica interna del Centro abbiamo deciso di non accettarli". Pedote reagisce indignandosi. "Lei mi porta dal dottor Maurizio Marconi. Il quale, dopo una cordiale stretta di mano, mi spiega il problema: "Io applico le leggi dello Stato"".
Segue contraddittorio sulle leggi dello Stato. "Mi dice: "Non è il suo orientamento sessuale a escluderla dalla donazione. Il punto è che i rapporti gay tra maschi sono sempre a rischio". Solo quelli. Infatti le lesbiche, mi spiega, vengono accettate. E comunque, conclude, "qui si fa così. Ognuno sceglie secondo coscienza. Mi dispiace". E se ne va". La direzione sanitaria, interpellata, rifiuta di commentare quanto accaduto.
Paolo Pedote esce umiliato e amareggiato dal’ospedale. Dice di non essersi mai sentito così offeso. Per di più, in barba alla legge. "Ma non mi arrendo, io il sangue voglio donarlo. E le norme me lo consentono". Piccolo particolare: di mestiere Paolo fa lo scrittore (collabora con la rivista Pride). Il suo ultimo libro si intitola "Omofobia". Ma questo i medici non potevano saperlo.