Davvero ci riguarda

  

Fin dall’inizio dell’epidemia, le organizzazioni omosessuali si sono particolarmente impegnate nella informazione e prevenzione sui temi dell’HIV/AIDS e i risultati positivi non sono mancati. Ora qualcosa sta però cambiando.

I dati.

Senza addentrarci nelle stime sulle sieroconversioni, che tratteggiano un quadro piuttosto preoccupante per i gay (infezioni di nuovo in aumento, sempre più sieropositivi), concentriamo l’attenzione sulle statistiche ufficiali sulle diagnosi di AIDS in Italia, che ci dicono principalmente due cose:

– è in calo il numero di omosessuali maschi in AIDS: 628 nel biennio 2002-03, 673 nel 2000-01, etc. Dal 1993-94, inoltre, gli etero hanno superato i gay. Ce lo raccontiamo spesso. E’ senza dubbio un ottimo risultato. Il problema è che questa analisi dimentica una questione molto semplice: anche il totale delle nuove persone in AIDS è in calo anno dopo anno.

– in valore percentuale, la quota di gay tra le nuove persone in AIDS è sostanzialmente costante nel tempo, forse un po’ in aumento negli ultimi tempi: circa il 18%.

In altre parole: di AIDS ci ammaliamo ancora, e nella stessa misura di anni fa. Non va poi sottaciuto un altro aspetto: siamo meno numerosi degli eterosessuali; ciò implica che la prevalenza dell’infezione tra i gay maschi è tuttora fino a circa 6 volte superiore rispetto alla media.

“Categoria a rischio”?

I più… ‘maturi’ di noi ricorderanno il clima di caccia alle streghe degli anni ’80 e ’90, quando ci veniva continuamente propinato il binomio: ‘GAY’ = ‘AIDS’ — un pregiudizio volto a rassicurare un certo tipo di maggioranza (“Sono etero. Posso quindi vivere anche senza pensare all’AIDS”), che è stato però poi sconfessato dall’evoluzione dell’infezione: l’HIV/AIDS non si cura affatto dei confini tra gruppi sociali (gay ed etero, coppie di fatto e matrimoni tradizionali) ma, molto più banalmente, si propaga tramite i comportamenti sessuali ed i fluidi corporei, in maniera più trasversale di quanto si potrebbe pensare. A causa di un regime così colpevolizzante, abbiamo tirato un sospiro di sollievo, di rivalsa forse (reazione legittima: avevamo tutti bisogno di recuperare un’immagine più positiva di noi stessi), quando, dopo qualche anno, le statistiche ci hanno finalmente dato ragione: non eravamo i soli ad ammalarci.

Questa ricerca di ‘normalità’ ha tuttavia contribuito a confondere i termini della questione e ad innescare degli equivoci, tra di noi, che non abbiamo ancora risolto. “Si è creata una bassa percezione del rischio, sorprendente per gli omosessuali”, commenta l’epidemiologo Gianni Rezza, “un’azione di diniego dovuta alla paura della discriminazione. C’è perdita della memoria generazionale”.

Diciamocelo, invece, con coraggio: per molte ragioni, siamo stati e siamo tuttora un gruppo alquanto esposto al rischio dell’HIV/AIDS. Non siamo tutti uguali, ovviamente: c’è chi può contare su più fattori di protezione e chi corre maggiori rischi. In generale, però, questa infezione ci riguarda come comunità. Molto.

Cosa fare (help!).

Ri-appropriamoci del tema HIV/AIDS. In modo nuovo, se serve. Re-inventiamo le nostre strategie, aggiorniamole con il contributo di tutti e di tutte,

– differenziando i messaggi di prevenzione secondo gli svariati MODI DI essere gay o bisex,
– considerando anche le persone sieropositive e in AIDS,
– promuovendo il test per conoscersi ed amarsi di più,
– recuperando il sex-appeal del preservativo,
– parlando di prevenzione anche tra lesbiche.

Ecco solo cinque spunti di azione che avremo modo di discutere sulle prossime uscite in questo spazio dedicato a noi.


  •