Una fase storica del movimento si è chiusa. Il percorso ad ostacoli in cui si è cimentato il movimento omosessuale italiano è stato costellato di grandi successi, che però oggi non sono sufficienti a garantire un positivo sbocco della nostra futura azione politica e sociale.
Bisogna superare abitudini, conservatorismi, visioni aristocratiche e minoritarie, che sono state tra le cause di una mancata vittoria sul piano legislativo del movimento omosessuale italiano. Anche l’eccessiva fiducia nel rapporto con i partiti e le istituzioni ha prodotto un atteggiamento, a volte, troppo rinunciatario e debolmente conflittuale.
Se a livello locale sono accaduti fatti importanti, come le norme introdotte in alcuni Statuti regionali e l’approvazione di diverse leggi inclusive e anti discriminatorie, il Parlamento ha per ora solamente avviato, grazie all’impegno di Franco Grillini, una prima discussione sulla questione del riconoscimento delle coppie etero ed omosessuali.
Nella consapevolezza che molto di buono è stato prodotto, che il ruolo dei parlamentari lgbt, le alleanze con personalità del mondo politico e di alcuni partiti, ha consentito evidenti passi in avanti rispetto alla dignità delle persone omosessuali, bisogna ora intraprendere un cammino nuovo, che ci consenta di raggiungere risultati nazionali concreti.
E’ per questo che oggi si apre un conflitto, non violento, ma severo e fermo. Ci dobbiamo assumere il compito di organizzare con sapienza e tenacia, una stagione di pressione sociale e culturale nel paese, a partire dalle città per diffondersi in tutti i luoghi della società italiana.
Il quadro politico in cui il movimento si muoverà nel prossimo periodo
Sicuramente la vittoria risicata del centro sinistra non permetterà grandi spazi di manovra dal punto di vista legislativo. Il Pacs rimane sull’orizzonte come strumento utilizzato dai partiti dell’Unione per distinguersi fra loro; un atto generoso nato dalla storia e dalla fatica di un popolo oppresso è stato trasformato in vessillo di divisione strumentale. L’eguaglianza dei diritti, una chimera rivendicata solamente da noi, e rifiutata anche da molti nostri tiepidi alleati.
Altro discorso vale per gli spazi di manovra che si possono aprire nel rapporto diretto con singoli ministeri, se attribuiti a persone vicine al movimento. Sarà allora forse possibile ottenere almeno quel minimo di agibilità politica e finanziaria, rispetto a questioni come la prevenzione Aids, la cultura, la scuola ecc. Ma questo è già accaduto dal 1996 al 2001 e, nella sostanza non ha mutato la vita concreta dei cittadini lgbt.
Se questa è la situazione in cui ci troviamo quali sono le prossime mosse che insieme dovremmo studiare?
In primo luogo il riposizionamento deciso nell’ultimo Consiglio Nazionale di Arcigay, di abbandonare il Pacs come battaglia centrale dell’associazione per riaffermare l’eguaglianza di diritti, teneva correttamente conto della situazione determinatasi dopo il mancato inserimento del Pacs nel programma dell’Unione, ma non può, dopo la conclusione delle elezioni politiche, essere l’unica risposta alle inquietudini che serpeggiano dentro l’associazione e in tutta la comunità omosessuale. Perché al di là del giusto compito di rivendicare la piena dignità sociale per le persone lgbt, servono azioni convincenti e coinvolgenti che possano dare il senso che la battaglia non è solamente legata a principi astratti. E’ necessario privilegiare un’azione che parli in primo luogo alle e agli omosessuali in quanto tali, superando quell’alone di politicismo in cui si è per troppi anni ammantato il movimento.
Essere diretti ed efficaci è, come abbiamo più volte sottolineato nei nostri documenti, il nostro primo compito, questo ora diventa un imperativo, trasformandoci davvero in uno strumento sindacale autonomo aperto a nuove energie di cui dobbiamo favorire l’impegno.
E’ sul terreno sociale che la nostra azione va interamente rivolta coniugando, attraverso strumenti distinti, radicalità sul piano della proposta ideale e concretezza rispetto a diritti e tutele che possiamo da subito ottenere.
Per questo bisogna saper distinguere funzioni e ruoli, in u’ottica di un vero e proprio accerchiamento sociale nei confronti dei nostri avversari.
E’ urgente mettere in piedi associazioni e gruppi di pressione che si occupino di temi specifici: le coppie, la prevenzione, la scuola, la cultura, la terza età, i giovani.
Più in generale occorre trasformare le azioni dirette e politiche in costruzione di esperienze e ambiti di riflessione e aggiornamento, che possano conquistare all’impegno e ampliare la nostra influenza sociale. In quest’ambito si collocano due filoni sociali da valorizzare: l’associazionismo dei genitori lgbt e quello dei genitori di figl* gay e lesbiche.
Superare lo sconfittismo
Se queste considerazioni sono ritenute sensate, si può allora convenire che il primo male da curare da subito è lo sconfittismo strisciante che alberga nell’ultimo periodo dentro il movimento lgbt italiano. La delusione verso l’Unione prima delle elezioni, il modesto risultato elettorale di formazioni come la Rosa nel Pugno, e molti altri elementi determinano nei fatti una situazione dove appare difficile non sentirsi mortificati ed impotenti.
A nulla valgono gli appelli volti a ricordare tutto ciò che di buono e grande abbiamo fatto in tanti anni. C’è bisogno di una vera e propria svolta, di un cambiamento evidente dentro e fuori il movimento. Una scossa che dia nuove motivazioni per una battaglia che si annuncia difficile.
Trovare ragioni di unità: il primo passo per un buon lavoro
Non vi è dubbio che la prosopopea di tante personalità del movimento, le troppe divisioni politiche e culturali, le insulse prove di forza interne, abbiano fatto sì, che nonostante si registri una continua espansione della presenza territoriale del movimento, la sua funzione abbia perso di forza.
C’è bisogno di confrontarsi, di dialogare, di mettersi insieme per rispondere in modo più efficace alla neo ondata conservatrice, che al di là della vittoria del centro sinistra, continuerà ad insistere sui mass media e sulla società italiana. C’è un bene comune da salvaguardare e da rilanciare, che è ben superiore dei tanti distinguo presenti nel variegato movimento lgbt: la difesa e la promozione dei diritti delle persone lgbt.
Per questo dovere morale, è necessario un luogo che rimetta in circolo le ragioni dell’unità. Si avverte l’urgenza di una politica che può decisamente far uscire dalle secche il nostro movimento, che ha bisogno di nuove energie per ritrovare la strada dell’azione sociale.
Il movimento soggetto politico e sociale
Non vi è dubbio che la prima questione da affrontare sono le priorità politiche. Ebbene è necessario che il movimento sia davvero un soggetto politico sulla scena italiana, che non deleghi più a nessuno l’ambito della rappresentanza. In questo senso la radicalizzazione dello scontro tra centro destra e centro sinistra, tra ceti politici comunque ancorati, a parte alcune eccezioni, ad un’idea conservativa dei propri ambiti e privilegi, c’impone la necessità di riappropriarci fino in fondo della nostra caratteristica di movimento di liberazione.
In Italia ciò significa posizionarsi dentro di una più generale battaglia per il cambiamento delle classi dirigenti, delle generazioni politiche che da troppi anni ripercorrono schemi culturali e sociali di conservazione e di auto riproduzione. Il tema, infatti, non è se la gerarchia cattolica c’è avversa, ma quanto la classe dirigente (non solo politica, ma anche economica e culturale) di questo Paese non sia in verità ormai ossificata e, quindi, incapace di interpretare la società moderna. Una delle letture della mancata piena vittoria del centro sinistra si confronta ancora una volta con l’arretratezza intrinseca di una proposta politica confusa, che si è aggregata in funzione anti populista, ma che non ha avuto la forza di trarre dai mutamenti sociali ragioni per il governo.
Questo centro sinistra non tocca il cuore, ma soprattutto non capisce le intimità delle persone, ne nega il valore, a tratti ne ha paura, rifuggendo il terreno di una pratica laica coerente con la modernità. L’appalto alle gerarchie cattoliche del sistema valoriale di riferimento determina, poi, una vera e propria secessione della politica rispetto ai suoi doveri di responsabilità istituzionale negando le legittime aspirazioni dei cittadini.
Il moralismo storico della sinistra italiana si coniuga con l’ipocrisia millenaria dei politici cattolici, ne consegue una miscela paralizzante, che alla fine esprime una politica falsamente neutrale, che distingue tra le esclusioni sociali, ne traccia un’odiosa classifica, in cui noi siamo raramente presenti.
Se tutto ciò è vero il nostro compito muta radicalmente. Tocca a noi movimento lgbt, in alleanza con altri grandi movimenti di liberazione, primo fra tutti quello delle donne, prendere in mano la fiaccola della libertà e farla crescere nel Paese. Si tratta di spendere molte delle nostre energie nel campo culturale, anche e soprattutto dentro il movimento e nella più vasta comunità lgbt, dove si sono radicati pericolosi atteggiamenti di conformismo.
C’è bisogno di una vera e propria rivoluzione delle coscienze, che coinvolga tante e tanti; centinaia di migliaia di gay e lesbiche avvertono il movimento come lontano, e allo stesso tempo dentro le associazioni lgbt si alimentano giudizi di sufficienza verso le persone non impegnate, “velate”, spaventate o refrattarie a scommettere sulla visibilità. Ma il tema oggi è che le élite da sole possono far poco, se non supportate dal sostegno dell’immensa comunità silente.
Come in tutti i più classici confronti tra privilegiati ed esclusi, solamente la consapevolezza dei torti subiti può far nascere un moto di cambiamento.
Agli eletti lgbt toccherà il non facile compito di tenere alto il confronto dentro le istituzioni, individuare possibili spazi, valutare proposte di mediazione.
Noi invece dobbiamo metterci al servizio di una grande e nuova stagione di battaglie libertarie, in cui saranno ben accetti i sostegni e le aperture politiche, ma che vivrà essenzialmente dentro la società.
Queste valutazioni vogliono richiamare la necessità che i cittadini lgbt non abbandonino il campo della politica rifugiandosi in un’indistinta critica qualunquista. Abbiamo bisogno esattamente del contrario.
Dobbiamo accentuare la nostra vocazione sociale e culturale, marcando una concreta e visibile autonomia rispetto alle logiche dei partiti, che saranno sempre nostri interlocutori, ma nella cristallina distinzione di ruoli e funzioni. Ad oltre trent’anni dalla nascita del movimento lgbt italiano, a 21 anni dalla fondazione di Arcigay, i tempi sono sicuramente maturi affinché si prenda finalmente il largo, consapevoli che siamo chiamati ad essere un soggetto politico a tutto tondo, di cui bisognerà in futuro tenere conto.
Cambiare noi stess*
Come già detto, il movimento lgbt si deve confrontare con una comunità per larga parte ancora non conquistata alle battaglie di libertà. Non è solo il nodo della mancata visibilità di tanti, che illudendosi di vivere bene perché possono frequentare locali, saune e bar gay, non percepiscono l’urgenza dell’impegno, si tratta di qualcosa di ancora più profondo, di una sorta di drogato appagamento di cui, tra l’altro, siamo immersi anche noi, gruppi dirigenti dell’associazionismo lgbt. Insieme siamo riuscit* in tanti anni di lotte a mutare il senso comune rispetto alla nostra dignità, ma scarso lavoro propedeutico è stato svolto nei nostri gruppi auto referenziali, alcuni molto appagati della propria storia e forza, ma assolutamente conservatori nell’accogliere i cambiamenti, respingenti nell’ampliare la propria funzione e radicamento.
Cambiare noi stess* significa buttare alle ortiche la pratica settaria dei gruppi appartati, gelosi della propria specificità. E’ venuto il tempo della generosità!
In questo senso, vanno nel prossimo periodo verificate forme unitarie di confronto nel movimento, a partire dalla sperimentazione di una possibile Federazione Nazionale. Se ci trova d’accordo su alcune, piccole regole comuni, che salvaguardino anche le diverse sensibilità, è possibile superare colpevoli divisioni, di cui tanti cittadini lgbt ci chiedono conto. Le associazioni più importanti, le personalità più riconosciute, possono sicuramente farsi promotrici di un percorso unitario, inedito, che aiuti finalmente questo movimento a usare parole comuni per il bene comune.
Le parole e le azioni future
Arcigay nei prossimi mesi si cimenterà in una riflessione approfondita sulla validità della proposte politiche e sociali fin qui elaborate. A partire dalla piattaforma comune elaborata dal movimento in vista delle diverse scadenze elettorali, bisogna trarre le ragioni per costruire un manifesto unitario di azione.
Confrontandosi sul terreno delle questioni concrete da affrontare, categorie politiche come riformismo e antagonismo perdono di significato, perché oggi la sfida non si gioca sul campo dell’egemonia dentro il movimento, ma sulla sua stessa funzione in questo preciso momento storico.
Siamo di fronte ad uno scontro tra i reazionari clericali e i laici libertari. Insomma, o il movimento comprende che il suo agire deve essere da Comitato di liberazione sociale e culturale, o vista la potenza, i mezzi, i consensi di cui godono le forze conservatrici, si rischia di infrangersi contro un muro e di non risollevarsi per molti e molti anni.
A questo comitato devono essere invitate ed invitati tutt* le persone lgbt, senza distinzioni di appartenenze partitiche e politiche, perché come c’insegna la storia le battaglie di libertà, di emancipazione, di uguaglianza, travalicano questi schemi; le donne che operarono una svolta culturale profonda nell’occidente, con le vittoriose lotte sul diritto al voto, per l’uguaglianza, il divorzio, l’aborto, il diritto di famiglia, erano guidate da avanguardie nate nel solco della sinistra (nelle sue varie accezioni), ma erano sostenute da milioni di donne di tutti gli orientamenti e classi.
Per questo le nostre parole devono essere: unità, trasversalismo sociale, inclusione. Per questo le nostre azioni devono essere: coinvolgimento, ampliamento strutturale, promozione di nuove energie e disponibilità.
Insieme dobbiamo decidere le priorità politiche, le parole d’ordine, le azioni da mettere in campo, insieme dobbiamo darci forza e abbattere quel muro, perché siamo insieme a subire un’esclusione che è ormai divenuta insopportabile.
Valorizzare il patrimonio imprenditoriale
A conclusione di queste mie personali riflessioni, voglio porre un’ultima questione che ritengo strategica per rafforzare la nostra azione comune. Negli anni il movimento si è articolato in diverse associazioni nazionali e locali di tipo politico. A fianco di questa rete sono sorte case editoriali, siti internet, periodici, radio, tv, agenzie turistiche, attività ricreative di vario tipo.
Questo patrimonio è stato vissuto per troppo tempo come ai margini del movimento, come un corollario a volte importante, ma non determinante rispetto alla battaglia politica. Questi atteggiamenti vanno rapidamente superati. E’ assolutamente necessario che quest’arcipelago d’imprese si senta finalmente a pieno titolo dentro il movimento come accade in tutti i paesi liberi. In questo senso paghiamo un’arretratezza culturale con ampie venature d’ipocrisia. Non è un mistero per nessuno che per Arcigay, il contributo economico delle associazioni affiliate ricreative è determinante per la sua sopravvivenza. Ma più in generale la questione vera che va posta, è come rendere partecipi centinaia d’attività imprenditoriali ad un progetto sociale e culturale d’ampio raggio; consapevoli che questi luoghi possono dialogare con centinaia di migliaia di gay e lesbiche italiane. Abbiamo bisogno di tutt*, dobbiamo coinvolgere tutt*, perché è nostro preciso dovere vincere una difficile, ma anche esaltante battaglia per il riscatto di milioni di persone.