Aids, 25 anni dopo la sfida continua

  

NEW YORK — Un quarto di secolo dopo la scoperta dell’Aids, il mondo ha finalmente gli strumenti e il know-how per debellare la peste del secolo. Ciò che continua a mancare sono i fondi adeguati e la volontà politica per porre fine al problema. E’ questa la conclusione del decimo Rapporto del’Unaids, ‘Agenzia Onu per la lotta al’Aids, reso noto in occasione del vertice mondiale sull’Aids in programma da mercoledì a venerdì al Palazzo di Vetro di New York.

ANNIVERSARIO – Il 5 giugno 1981, il Centers for Disease Control d’Atlanta (CDC) pubblicò sul Morbidity and Mortality Weekly Report uno studio che per la prima volta identificava l’Aids, descritto come “una nuova malattia che affligge gli uomini gay”. Da allora, recita il rapporto, “la malattia si è propagata a macchia d’olio: da pochi focolai isolati a tutti i paesi del mondo. Uccidendo 25 milioni di persone e contagiandone 65 milioni”. Le nuove statistiche — ottenute con la collaborazione di 126 governi e gruppi umanitari in oltre 30 nazioni — rivelano un problema in crescita. 38,6 milioni di sieropositivi; oltre 2,8 milioni di morti solo nel 2005 e più di 4 milioni nuove diagnosi di malattia rispetto all’anno precedente.

VIRUS FEMMINILE – La malattia non è più solo, o soprattutto, un problema gay. «’Aids ha oggi il volto di una donna», ha spiegato ai giornalisti il segretario generale del’Onu Kofi Annan. “17 milioni dei malati sono donne, cioè il 46% del totale”, ha aggiunto, “13 milioni di queste vivono in Africa. La patria di 12 milioni di orfani da Aids”. Ma il trend riguarda anche i paesi occidentali. Tra le donne afro-americane dai 25 ai 34 anni, ‘Aids è la principale causa di morte. Di loro, 78 su 100 erano rimaste infette a causa di rapporti eterosessuali non protetti. Per enfatizzare questa nuova realtà al femminile, una donna sieropositiva, la scrittrice americana Mary Fisher, parlerà dal podio al’Assemblea Generale, per la prima volta nella sessagenaria storia del’Onu.

GAY DI NUOVO A RISCHIO – Dagli Usa all’Europa e dall’Australia al Giappone si torna a guardare con apprensione al sesso a rischio tra omosessuali. In Gran Bretagna il sesso senza precauzioni tra uomini gay è la causa di un terzo dei nuovi casi; in Germania metà delle infezioni sono riconducibili a questi rapporti senza profilattico (contro un terzo nel 2001).

USA PRIVILEGIATI – Anche qui il divario tra paesi ricchi e paesi poveri resta abissale. Oggi 25 milioni di sieropositivi vivono nel’Africa sub-sahariana. In Asia ne troviamo altri 8,3 milioni, oltre due terzi dei quali in India: il Paese con il maggior numero di persone al mondo che hanno contratto il virus del’Hiv (nel 2005 il primato spettava al Sud Africa). Gli Stati Uniti si distinguono per il basso indice di mortalità: soltanto 30 mila decessi nel 2005 su una cifra record di 1,2 milioni di sieropositivi. “Tutto merito del’accesso ai farmaci retrovirali che permettono di tenere a bada la progressione della malattia”, spiega il rapporto, secondo cui fortemente penalizzati continuano ad essere “gli immigrati, le minoranze etniche e gli emarginati in generale”. Pur rappresentano soltanto il 12 % della popolazione Usa, gli afro-americani costituiscono ad esempio il 50 % di tutte le nuove diagnosi.

FUTURO – Come risolvere l’emergenza? “Bisogna investire molti più soldi nella cura e nella prevenzione”, replica un portavoce di Unaids, “Abbiamo stanziato 8,9 miliardi di dollari per il 2006, invece dei 15 miliardi che ci servono. E che diventeranno 22 nel 2008; 11,4 miliardi soltanto per i piani di prevenzione..” Tra i trend positivi il rapporto cita i farmaci retrovirali sempre più efficaci, i kit diagnostici a basso costo, maggiore uso di profilattici e sangue da trasfusioni ormai a prova di virus. Oltre allo forzo maggiore al’educazione anti-Aids nelle scuole. Nel 74 % delle scuole elementari e nel’81 % delle medie di ben 58 paesi oggi si parla di Aids, un argomento considerato per decenni tabù.


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