Il primo Gay Pride della storia russa dovrà attendere forse il prossimo anno, probabilmente ancora di più.
Sul divieto ai “perversi” di presentarsi in pubblico, il sindaco di Mosca, ‘ex comunista Juri Luzhkov, era riuscito a mettere ‘accordo fanatici nazionalisti, nostalgici dei gulag sovietici e leader religiosi (non solo gli ortodossi e gli islamici, ma anche il rappresentante del Vaticano in Russia mons. Mennini, per il quale la presenza dei gay in piazza avrebbe rappresentato un oltraggio e provocato violenze).
La formula prevista, una sfilata per il centro di Mosca, era stata così sostituita con una deposizione di fiori alla tomba del Milite ignoto, simbolo della lotta al nazifascismo posto a ridosso del Cremlino, da cui ci si sarebbe spostati di fronte al palazzo del Comune.
Ma i 1700 poliziotti schierati da Luzhkov che presidiavano le due piazze hanno impedito il concentramento dei gay arrestando subito gli organizzatori, a partire da Nikolaj Alekseev, il giovane leader del’associazione promotrice del’evento, Gayrussia.ru.
Intanto gruppi di fanatici religiosi, preti ortodossi, anziani in abito tradizionale con colbacchi e lunghe barbe e anziane babuske intonavano inni religiosi esponendo icone e inveendo contro i “sodomiti”.
Ma il lavoro sporco è stato lasciato ai nazionalisti, gruppi di centinaia di giovani estremisti di diversi strati sociali, qualcuno dal’aria sottoproletaria, altri meno, guidati da capi in doppiopetto gessato. Sono stati loro a creare il clima di intimidazione che ha ridotto al silenzio i pochi gay russi che avevano sfidato il divieto, a picchiare duramente il deputato dei Verdi tedeschi, Volker Beck, e ad aggredire gli esponenti delle delegazioni gay e lesbiche giunte a portare il loro supporto da Francia, Germania, Italia, Austria, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Lettonia, Ucraina, Svizzera, Danimarca, Svezia, Usa, Canada.
Noi siamo rimasti lì, mescolati nella folla di fanatici inneggianti alla nostra fine, fra saluti romani e cori da hooligan, sperando che la polizia facesse quel che si fa in questi casi: separare i gruppi contrapposti di manifestanti. Ma la strategia degli “Omon”, gli speciali reparti antisommossa, era opposta: chi si palesava come gay o lesbica alle tv presenti veniva prima aggredito dai nazionalisti e subito dopo arrestato e portato via dalle forze del’ordine.
La Russia di Putin, in mano agli oligarchi di sempre, continua a non fare i conti col tema dei diritti civili, nonostante abbia assunto solo pochi giorni fa la carica di presidente pro tempore del Consiglio ‘Europa. Sarebbe necessario, in questa situazione, che ‘Unione Europea decidesse di applicare a Mosca la recente decisione sulla “clausola sui diritti umani” che vincola i rapporti commerciali con paesi terzi al rispetto dei diritti fondamentali. Il fatto è che ‘Unione Europea il problema dei diritti di gay e lesbiche ce ‘ha in casa. Lech Kaczynski, per esempio. Anche in Polonia sfilare al Gay Pride è un rischio reale, come dimostrano gli incidenti a Varsavia e a Cracovia. Ma per il presidente polacco il diritto a manifestare non va riconosciuto a gay e lesbiche.
Se nel’Europa a quindici era ‘Italia la bestia nera sul terreno dei diritti civili, dopo ‘allargamento ad Est la questione si complica. In queste condizioni, ‘applicazione di quella clausola alla Russia rimane u’utopia.