Commento alla sentenza n. 253/2006 della Corte costituzionale

  

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Leggi qui il testo della legge toscana n.63/2004

Con la sentenza n. 253/2006, la Corte Costituzionale ha dato esito al ricorso presentato dal Governo italiano nel 2005 che chiedeva di dichiarare incostituzionale la legge regionale toscana n. 63/2004, recante disposizioni in materia di Lotta alle discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.
Preliminarmente i giudici hanno dichiarato inammissibile la richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionalità dell’intera legge, poiché la domanda del Governo è generica.
Rispetto alla subordinata richiesta di dichiarare illegittimi alcuni articoli della legge, specificamente indicati, i giudici hanno stabilito che:

– l’art. 2 è legittimo perché non attribuisce diritti in più in materia di lavoro a favore di alcuni cittadini in ragione del loro orientamento sessuale o dell’identità di genere, ma contiene una norma di indirizzo che, in linea con la vigente normativa regionale nel settore dell’educazione, istruzione, orientamento e formazione professionale, concorre ad assicurare lo sviluppo dell’identità personale e sociale, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, dell’uguaglianza e delle pari opportunità, in relazione alle condizioni fisiche, culturali, sociali e di genere.
Allo stesso tempo l’articolo 2 non crea una nuova categoria di lavoratori svantaggiati non prevista dalla normativa nazionale, ma si pone l’obiettivo di sviluppare politiche regionali di lotta all’esclusione sociale a favore di transessuali e omosessuali. In tal modo rispetta la nozione di «lavoratore svantaggiato» prevista dalla legge statale che include tutti i soggetti che versano in determinate situazioni oggettivamente rilevabili. Secondo la Corte, quindi, l’art. 2 non stabilisce che tutte le persone con uno specifico orientamento sessuale o identità di genere sono svantaggiati, ma considera questi elementi come possibile causa di esclusione sociale;

– gli articoli 3 e 4, comma 1 sono legittimi, perché assicurano pari opportunità nell’accesso ai percorsi di formazione e di riqualificazione alle «persone che risultino discriminate e esposte al rischio di esclusione sociale per motivi derivanti dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere» e favoriscono «l’accrescimento della cultura professionale correlata all’acquisizione positiva dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere di ciascuno»; non violano la competenza legislativa esclusiva dello Stato, essendo norme di mero indirizzo ed espressione della competenza esclusiva della regione in materia di istruzione e formazione professionale, non incidenti su singoli contratti di lavoro e nella materia dell’ordinamento civile;

– la questione di illegittimità dell’art. 5, che disciplina la responsabilità sociale delle imprese, non è ammissibile perché generica;

– gli articoli 7 e 8 sono illegittimi, perché disciplinano la possibilità per il soggetto, in vista di un’eventuale e futura situazione di incapacità, di delegare ad altra persona liberamente scelta il consenso ad un trattamento sanitario. In tal modo questi articoli modificherebbero il regime della rappresentanza che rientra nell’ordinamento civile che è materia riservata alla potestà esclusiva dello Stato. Ugualmente illegittimo sarebbe il comma 5 dell’art. 7 in quanto disciplinerebbe un’altra materia rientrante nell’ordinamento civile, cioè gli atti di disposizione del proprio corpo. In particolare, secondo la Corte, introdurrebbe modifiche alla legge n. 164/82 in materia di rettificazione di sesso;

– l’art. 16 è illegittimo, perché contiene un’ipotesi di obbligo a contrarre che incide sull’autonomia dei privati, materia riservata esclusivamente allo Stato. Infatti prevede che senza un giustificato motivo gli operatori turistici non possano rifiutare le proprie prestazioni o prestarle a condizioni differenti in ragione dell’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona, divieto che peraltro è già previsto e sanzionato dal Regolamento attuativo del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

La Corte sostanzialmente dichiara la legittimità di 3 degli articoli impugnati e l’illegittimità di altri 3. Dichiara inammissibile la richiesta nei confronti di un’ulteriore articolo e inammissibile, per vizio di genericità della domanda, la richiesta di dichiarare illegittima l’intera legge regionale.

A seguito dell’intervento della Corte, quindi, resta in piedi l’impianto della legge e la possibilità:

– per la regione Toscana di programmare e attuare politiche in favore delle persone con specifico orientamento sessuale e identità di genere, in ambito lavorativo, formativo, professionale, imprenditoriale; di promuovere il rispetto e la stima nei loro confronti, sia sul piano linguistico che comportamentale, nei corsi di formazione dei dipendenti regionali e nella redazione dei codici di comportamento degli uffici; di promuovere e attuare politiche sanitarie regionali di prevenzione e cura che assicurino per tutti pari dignità; di sostenere politiche culturali plurali e inclusive di ogni persona e stile di vita;

– per le associazioni senza scopo di lucro, rappresentative dei diversi orientamenti sessuali e identità di genere, di accedere presso le aziende in possesso della certificazione “Social Accountability (SA) 8000” al fine di verificare le condizioni di lavoro e il rispetto dei diritti delle persone che rappresentano sul luogo di lavoro;

– per le USL di informare e sostenere le persone nelle proprie scelte circa l’orientamento sessuale e l’identità di genere; di favorire il confronto familiare in ambito culturale e aiutare i genitori nell’educazione e cura dei figli omosessuali, transessuali o transgender. La Regione destina dei fondi per tale fine e favorisce le convenzioni tra le USL e le associazioni rappresentative di omosessuali, transessuali e transgender;

– per il CORECOM, autorità regionale di controllo delle telecomunicazioni, di vigilare sulle trasmissioni radio e televisive al fine di eliminare contenuti discriminatori e favorire la presenza di spazi dedicati alla trattazione delle tematiche dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere;
Con riguarda agli articoli dichiarati illegittimi per violazione della competenza esclusiva dello Stato, si fanno le seguenti osservazioni:

– il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere da parte degli operatori turistici, come sottolinea la Corte costituzionale, è già previsto e incluso nell’art. 187 del Regolamento attuativo del TULP che prevede: “Gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”;

– la possibilità di indicare una persona che scelga i trattamenti sanitari e terapeutici ai quali essere sottoposti nei casi in cui non si sia in grado di intendere e di volere non è prevista da alcuna legge nazionale e, secondo la Corte, la materia è sottratta alla competenza legislativa delle regioni;

– quanto agli atti dispositivi del proprio corpo, con riferimento all’art. 7, comma 5, per il quale la Corte cita espressamente la legge sulla rettificazione del sesso, pare a chi scrive che possa esservi stato un fraintendimento, a cui hanno concorso insieme: la formulazione sciatta del comma, la difesa dell’avvocatura dello Stato e la carente difesa della stessa regione Toscana.

Fondamentalmente tale comma avrebbe voluto riferirsi ai tentativi numerosi che ancora oggi vengono fatti e sponsorizzati da medici indegni e da autorità religiose ottenebrate, supportarti da psicologi e psichiatri conniventi, miranti a correggere l’orientamento sessuale e l’identità di genere, seguendo la teoria che vorrebbe tali caratteri non ascritti, ma sempre condizionati da circostanze ambientali ed esperienze vissute o subite. Si pensa che i gay e le lesbiche, per esempio, possano essere guariti, perché tutto ciò che non è eterossessuale è negativo, sbagliato, malato etc.
Il comma 5 dell’art. 7, affermando il rispetto della libertà individuale e dell’autodeterminazione, prevede che i trattamenti sanitari per la cura o correzione dell’omosessualità etc. siano richiesti personalmente dagli individui che intendano sottoporvisi e che prima di esservi sottoposti siano informati su natura, scopo, rischi e conseguenze, per esempio psicologiche, che tali ‘cure’ possono comportare. Quindi, mi sembra, che nessun collegamento abbia questa disposizione con la materia della rettificazione del sesso, così come regolata dalla legge 164/1982. Non potrebbe averne, per esempio, perché questa legge già prevede, attraverso l’iter che predispone, che la decisione di cambiare sesso possa essere presa solo personalmente dall’interessato e che l’intervento continuativo di operatori sanitari sia finalizzato anche ad informare e rappresentare le conseguenze ed i rischi di un tale intervento.
Per completezza di informazione, si offrono due definizioni semplici di orientamento sessuale e identità di genere, con l’avviso che non si tratta di definizioni complete o esaustive:

– l’orientamento sessuale caratterizza ogni individuo ed è solitamente individuato in base alla preponderanza di sentimenti, pensieri erotici e fantasie sessuali diretti verso un individuo di sesso diverso (orientamento eterosessuale), dello stesso sesso (orientamento omosessuale) o verso individui di entrambi i sessi (orientamento bisessuale);

– l’identità di genere è la rappresentazione di sé come uomo o come donna, indipendentemente e anche in opposizione al proprio sesso.

In conclusione il giudizio sulla sentenza della Corte è positivo, anche se nel complesso appare un po’ balneare, affrettata. Alcuni dubbi restano sulla dichiarazione di illegittimità degli articoli 7 e 8, perché non è certo che la materia su cui dispongono vada a modificare le regole sulla rappresentanza, quindi di una materia civilistica di competenza esclusiva dello Stato. Quantomeno tale affermazione meritava una dissertazione più minuziosa e non una semplice statuizione quasi apodittica.
Quel che si auspica è che il Parlamento, finalmente, seguendo la scia della regione Toscana e l’esempio di altre nazioni europee, approvi al più presto una normativa antidiscriminatoria nazionale per la tutela delle persone GLBT, che anche la crescente omofobia, sotto ogni forma ed espressione, rende ormai inderogabile.

Avv. Antonio Rotelli


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