La cronaca del Pride a Gerusalemme

  

Gerusalemme – Si è tenutail 10 agosto al Liberty Bell Park di Gerusalemme la manifestazione sostitutiva della parata del World Gay Pride che era stato annullato recentemente per motivi di sicurezza (l’appuntamento con la parata è stato spostato in autunno ad avvenuta cessazione del fuoco tra Isaele e Libano). Circa 300 manifestanti radunati dall’organizzazione Open House (la più grande associazione GLBT di Gerusalemme) si sono aggregati al centro del parco, mostrando cartelli, striscioni, cantando e (qualcuno) pregando. Il Liberty Bell Park era blindatissimo: polizia cittadina, vigili e soprattutto tanti militari. Intorno c’era un vero e proprio cordone di sentinelle con tute arancioni e molti poliziotti attraversavano in continuazione il parco a bordo di motociclette.

Al gruppo delle 300 persone GLBT di Gerusalemme si è in seguito unito un consistente gruppo da Tel Aviv. Erano quelli del Queeruption.org, associazione GLBT radicale anarchica di Tel Aviv, che non ha mancato di far sentire le proteste contro la guerra che Israele sta conducendo da un mese esatto contro il Libano e in particolare contro le milizie sciite hezbollah insediatesi nel sud del territorio libanese. Screzi e battibecchi tra i due gruppi: parte dei manifestanti di Gerusalemme ha accusato la delegazione di Tel Aviv di strumentalizzare quello che doveva essere un appuntamento contro l’omofobia, trasformandolo in un’occasione di contestazione politica. ‘Fascisti!’ hanno replicato energicamente i delegati del Queeruption.org. Il motivo della contesa è ovviamente la guerra. Che spacca in due anche il popolo GLBT d’Israele.

Lior, una ragazza lesbica di Gerusalemme di 23 anni, mostra fiera la bandiera d’Israele tatuata sul polpaccio “Sono stata richiamata da Tsahal (nome delle forze armate israeliane ndr), penso che partirò presto per il fronte. Non vedo l’ora”. Dror Dani invece al fronte c’è già stato e dovrà tornarci “Ho chiesto la licenza per partecipare al Gay Pride e me l’hanno concessa. Non hanno fatto problemi, ho fatto il coming out nell’esercito parecchio tempo fa”. Ma cosa pensi di questa guerra? “È ingiusta, non sono d’accordo con questa guerra al Libano, ma è giusto andare quando Israele chiama”.

Moltissimi però hanno chiesto da tempo, da molto prima che ci fosse questa nuova guerra con il Libano, di essere esclusi. Il metodo più veloce per ottenere il congedo è dichiarare di avere manie suicide. Il suicidio è il principale nemico in seno a Tsahal. Chiunque manifesti anche solo verbalmente intenzioni tali, viene escluso. Ma non è così scontato che i giovani israeliani optino per la rinuncia alla vita militare. La difesa dello Stato di Israele è un sentimento radicato nella cultura, negli studi, nella formazione dei giovani. “Questi fighetti di Tel Aviv cosa ne sanno della difesa di Israele? Loro fanno quelli di sinistra e intanto vivono nella ricchezza, al sicuro (anche se in realtà in questo nuovo fronte con il Libano Tel Aviv è più esposta di Gerusalemme), mandano i loro ragazzi in discoteca, ad ubriacarsi a fare l’amore con altri uomini.” dice una donna, che pare piuttosto fanatica ed è inferocita soprattutto con il gruppo di Tel Aviv “E poi questi diavoli se amano tanto gli arabi, che vadano con loro! — aggiunge – La verità è che vivono in una bolla”.

E ‘La bolla’ (titolo originale Ha-Buah) è proprio il titolo del nuovo film di Eytan Fox: di cui ricorderete l’intenso e bellissimo ‘Yossi and Jagger’, in cui si narrava la storia d’amore tra due soldati israeliani proprio sul fronte dei precedenti insediamenti israeliani in Libano, prima del ritiro del 2001. Il film è appena uscito nelle sale di Gerusalemme. È la storia di un gruppo di amici cool di Tel Aviv, che dividono la casa in una delle vie più trendy della città, lavorano nei negozi più gettonati, quelli che vendono insieme dischi e vestiti, si arrampicano sul tetto a fumare marijuana tutte le sere, sono insomma l’avanguardia cosmopolita e liberal di Israele. Uno di loro si innamora, ricambiato, di un ragazzo arabo di Betlemme. Quando questi è costretto a tornare a Betlemme, che si trova in Cis-Giordania, appena oltre il confine del Muro, l’altro lo raggiunge: i due verranno scoperti ad amoreggiare dal cognato del ragazzo arabo. In un crescendo di tensione, il film vira verso un finale amarissimo, che non sveliamo sperando di poter presto vedere nelle nostre sale questo nuovo lavoro del regista israeliano. Il quale alza la sua voce critica verso ‘la bolla’ di Tel Aviv, descrivendo i giovani della metropoli come certamente liberi, ma al contempo superficiali, desiderosi di vivere nel benessere che faticosamente Israele ha costruito per loro e al contempo ostentatamente indifferenti alle difficile condizioni dei vicini amici arabi. Proprio per la sera del Pride gli anarchici del Queeruption.org hanno organizzato una festa nella bolla (a Tel Aviv): un rave party gay nei boschi. Promettente.

Al Liberty Bell Park c’è stata anche l’occasione per qualche piccola rissa. Due ebrei fanatici ortodossi si sono infiltrati nel gruppo, vestiti normalmente e ad un certo punto hanno iniziato ad inveire contro i gay. Il bisticcio manesco ha causato qualche lieve contusione. Ad una ragazza i due hanno rotto gli occhiali. Un ebreo ortodosso si è presentato con intenti palesemente provocatori: con barba lunga bianca e kippa. È stato allontanato immediatamente dalle forze dell’ordine.

Il 9 agosto alla conferenza multireligiosa organizzata da Open House c’era più o meno lo stesso gruppo. Folta la presenza di nordamericani, soprattutto da New York, San Francisco e Canada. Il tema del rapporto tra omosessualità e religione è molto sentito e viene vissuto grande tormento. Tuttavia si ha l’impressione che su questo argomento i gay israeliani religiosi tendano a chiudersi, a fare circolo chiuso. Alla conferenza è intervenuto anche Zachary G. Jones vescovo cattolico gay, un simpatico uomo nero con i capelli rasta, di New York.

Martedì 8 agosto Open House ha organizzato una spedizione per gli amici d’Oltremuro: e cioè i gay arabi che vivono oltre il muro irto da Israele sul fronte cisgiordano fino a sud a Gaza. Loro, gli omosessuali palestinesi, non sono ovviamente venuti, non sarebbero mai riusciti ad oltrepassare il check point. La delegazione di Open House era formata da una cinquantina di persone. Sperdute nel deserto, con nessun media al seguito, tenendosi a debita distanza dal check point di Betlemme (piuttosto tranquillo), l’iniziativa, certamente lodevole, è parsa più come qualcosa di simbolicamente dovuto, che qualcosa di realmente utile e incisivo. Un’impressione questa che si ha in generale un po’ su tutti gli eventi attinenti a questo Gay Pride, annebbiato dai fumi della guerra a due passi. È un senso di impotenza che in realtà si coglie meglio in qualità di osservatori. Gli Israeliani vanno avanti testardamente e continuano nella loro lunga marcia per una cultura del diritto dell’individuo. Noi non possiamo che essere con loro.

da Gerusalemme Daniele Salaris
dalla redazione Giuliano Federico
si ringrazia Paolo Hutter

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