Atteggiamenti persecutori nei confronti dei lavoratori vanno sotto il nome generico di mobbing. Esso consiste in pratiche vessatorie con il carattere di continuità finalizzate all’isolamento, alla derisione ed alla decisione da parte della vittima di abbandonare il posto di lavoro.
In genere sono praticate da parte di datori di lavoro o diretti superiori con lo scopo delle dimissioni da parte di un lavoratore non più gradito. Esistono anche atteggiamenti “mobbizzanti” da parte di colleghi sulla base di pregiudizi sessuali o razziali. A volte si riscontrano nei confronti di donne in gruppi di colleghi uomini o nei confronti di lavoratori/lavoratrici gay o transessuali. Lo scopo, in questi casi, è la derisione e l’isolamento del soggetto che non appartiene al “gruppo”.
Il lavoratore che subisce pressioni psicologiche di questo tipo dovrebbe in prima istanza rivolgersi al medico competente dell’azienda. Qualora non sia presente un medico del lavoro in azienda il lavoratore può rivolgersi alle strutture opportunamente dedicate da parte di sindacati, ai Servizi di Prevenzione e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro delle Asl o a strutture specialistiche ospedaliere: ad esempio presso la Clinica del Lavoro di Milano il Servizio di Neuropsicologia si occupa, fra le altre cose, di valutazioni in casi di sospetto mobbing: si può accedere su invio dell’azienda ma anche su invio del medico di medicina generale (medico curante).
Il Decreto del Ministero del Lavoro 27 aprile 2004 ha inserito, fra le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità le “malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro”.
Pertanto il medico che di fronte ad una patologia psichica o psicosomatica accertata ed in cui esistono sospetti di fattori lavorativi che possano aver influito a determinarla è tenuto ad effettuare la denuncia di malattia professionale. L’omissione dell’invio della denuncia da parte del sanitario è reato penale.