SIT-IN 2007. A SAN PIETRO IN MEMORIA DI ORMANDO
In memoria di Alfredo Ormando che si diede fuoco a San Pietro, il 13 gennaio si terranno un sit-in e un convegno per costruire il dialogo tra omosessualità e religioni.
di Delia Vaccarello
13 gennaio 2007, in piazza San Pietro per Ormando
Alfredo Ormando, poeta siciliano gay, si diede fuoco il 13 gennaio del 1998 a San Pietro per denunciare 'omofobia delle gerarchie vaticane.
Seguendo 'insegnamento di Ugo Foscolo – che vede i morti risorgere nel ricordo dei vivi – immaginiamo che Ormando torni tra noi grazie alle manifestazioni e ai convegni organizzati in sua memoria per costruire il dialogo tra le religioni e l’omosessualità.
Il testo che segue è stato pensato in prima persona e con il tempo presente per dare a Ormando, che amava la scrittura più di se stesso, la carezza di una parola che vive ancora oggi. Per rappresentare la forza laica della memoria di dare la vita, anche se il corpo non 'è più. È stato scritto anche grazie ai documenti messi a disposizione da Massimo Consoli e Piero Montana, che ringraziamo.
«La parola è stata per me sempre salvezza e conforto, eppure 'esperienza di non vederla ascoltata mi ha fatto sentire sconfitto. Voi cari fratelli e sorelle che il 13 gennaio vi siederete per terra sulla piazza antistante San Pietro per ricordarmi diventate il respiro lontano dei miei versi.
Alfredo Ormando
Ho scritto nel mio romanzo “Sotto il cielo 'Urano”: “Perché devo vivere? Non trovo una sola ragione perché io debba continuare questo supplizio… Nel'aldilà a nessuno farò drizzare i capelli e arricciare il nasino perché sono un omosessuale… Non capisco questo accanimento. Non svio nessuno dalla retta via del'eterosessualità, chi viene a letto con me è maturo, cioé adulto consenziente e omosessuale o bisessuale… È da quando avevo dieci anni che vivo nel pregiudizio e nel'emarginazione, ormai non riesco più ad accettarlo, la misura è piena”. Da allora in questa nostra Italia si è fatta strada, grazie a una operazione di nuova comunicazione, una possibile accoglienza del'omosessualità. Anche se non ci sono leggi ancora, è pur vero che un certo ostracismo senza appello da parte della comune opinione è diventato meno frequente.
Resta il giudizio aspro delle gerarchie cattoliche. Ma voi che ricordate il mio suicidio, continuate a farmi vivere non rendendo vano il mio gesto. Non è stato vano se voi mi tenete ancora nei vostri cuori. Non è stato vano se ancora oggi nei cuori di tanti credenti cattolici gay e lesbiche è presente un conflitto lacerante tra il giudizio espresso dai sacerdoti della loro fede e 'amore per il compagno o la compagna dello stesso sesso. Come ho scritto, “nessuno è più malvagio di chi spinge un uomo buono a essere 'assassino di se stesso”. Io sono con il mio esempio ciò che non deve succedere mai più.
Con il sit-in in Piazza San Pietro manifestate il bisogno vitale del rispetto. E dopo, da due anni ormai, organizzate un convegno cercando di instaurare il dialogo. Io vi amo per questa offerta che fate di voi, per questo vostro proseguire il senso profondo del mio suicidio. Non ero stato mai ascoltato, lo fui solo dandomi fuoco. Tutto il mio corpo divenne parola. Ora la mia parola siete voi. E tra voi ci sono tanti giovani, che forse come me hanno subito fin da piccoli il peso del pregiudizio, ma che hanno la forza di reagire perché non sono più soli. I fratelli del'Arcigay che hanno organizzato il convegno hanno chiamato 'Unione dei giovani ebrei 'Italia, i giovani musulmani, i gay evangelici del'associazione “Refo”. I ragazzi di Iglyo, organizzazione che opera in tutta Europa, hanno dato il patrocinio.
'avete chiamata “giornata mondiale per il dialogo tra le religioni e 'omosessualità”. Ho sempre amato il dialogo sotterraneo che lo scrittore intreccia con 'anima collettiva. I buddisti gay riescono a dialogare con i loro sommi sacerdoti, così parte degli evangelici. I cattolici al momento no. Spesso, saltando il rapporto con le gerarchie, vivono Dio nel silenzio, nelle tante mani tese dei cuori sacri che si aprono alle sofferenze del mondo. Voi, incontrandovi, desiderate vivere in una grande famiglia di amici dei sentimenti, in cui nessuno si senta solo.
Prima di morire avevo scritto da Palermo a un amico di Reggio Emilia: “Se avessi avuto un paio di amici come te qui, avrei accettato di buon grado la mia vita”. 'amicizia è un bene inestimabile. Voi la state alimentando, con coraggio e resistenza. Dopo il rogo di me stesso, nei dieci giorni passati tra atroci dolori che hanno preceduto la mia fine, ho detto: “Non sono neanche riuscito a morire”. Oggi dico: grazie a voi che mi tenete in vita nel ricordo non posso morire. Voi siete la mia religione».
SO CHE CRISTO MI DICE DI LOTTARE PER I GAY
Per me essere gay cristiano significa costantemente ricordare che la croce è stata strumentalizzata per offendere, discriminare, uccidere milioni di persone, tra cui tante e tanti gay, lesbiche, trans
di Aurelio Mancuso
segretario nazionale Arcigay
Ascolto la messa da casa, prego in solitudine nelle chiese vuote, in un volontario ed orgoglioso militante eremitaggio.
Aurelio Mancuso
A volte vedo 'abbazia. Ha mura possenti e nude e sovrasta la pianura ai suoi piedi. Se non fosse per la presenza inopportuna di un attiguo ristorante, tutto potrebbe far pensare di ritrovarsi nel'era di mezzo. Ogni volta che ho bisogno di perdonare – e lo faccio con sempre più fatica – 'orrore delle parole pronunciate dalla gerarchia cattolica, penso a questa abbazia, traggo la forza di guardare lucidamente la corte papalina, i troni ingioiellati, i camauri rispolverati per riaffermare domini e interdizioni, che tanti speravano sprofondati nella vergogna dei secoli macchiati del sangue del'Uomo.
Nella pianura dove sorge 'abbazia, la luce non trova ostacoli, la presenza di Dio non deve fare i conti con le oscure stanze vaticane. Qui Dio è lontano dagli anatemi di Congregazioni incrostate di gemme, rivestite di abbaglianti lamine dorate, pronte a negare il senso profondo della comunione. Sempre più spesso i loro volti mi appaioni quelli di «mummie» incapaci di amare le gioie del corpo, la bontà della sessualità, la fecondità di ogni amore.
Anche i richiami delle tante sorelle e fratelli nella fede, che mi tirano per la giacchetta e mi ricordano che la chiesa è altro, che è possibile trovare spazi di agibilità, mi sembrano insufficienti. Il vanaglorioso ritorno alle tradizioni e ai richiami dottrinali mi coglie indifferente, perché è più forte il dovere di seguire la mia coscienza, di testimoniare là dove è possibile la condivisione, non rinunciando mai alla chiarezza e alla distinzione senza cui si diventa complici. Questa chiesa non è la mia ecclesia, mentre mi sento appieno appartenente al popolo di Dio errante, che ricerca nel mondo.
Da «katholicos» provo pietà nei confronti della difesa ossessiva di privilegi e prerogative temporali scandalosamente blasfemi. Il piccolissimo spiraglio rappresentato dal Concilio Vaticano II è stato ermeticamente otturato dai sogni cesaropapisti di Ratzinger, dalla chiusura del dialogo possibile. Siamo in tante e in tanti a godere della libertà del pensiero, del'ascolto del'umanità, della difesa gelosa di una fede che non può essere proclamata come un manifesto politico.
La fede è silenzio, vento caldo e lieve del pneumos, annunciata con umiltà e sobrietà. Per me essere gay cristiano significa costantemente ricordare che la croce è stata strumentalizzata per offendere, discriminare, uccidere milioni di persone, tra cui tante e tanti gay, lesbiche, trans.
Oggi essere di loro, combattere con loro, mi dona il privilegio di rispondere appieno alla chiamata del Cristo che risorge, per gli uomini e le donne di buona volontà.
Quando manifesto in piazza con i miei fratelli e le mie sorelle è come se mi trovassi nella grande pianura dove la luce di Dio non trova ostacoli. E le nostri voci che si levano in alto ci proteggono come le spesse mura del'abbazia.