Cara Stampa, l’omosessualità non è una malattia!

  

Gentile Direttore,

Le scrivo in merito all’articolo pubblicato il 27 febbraio sul Vostro giornale in cronaca nazionale, a pag. 19, relativo ad un caso di presunta “guarigione” dall’omosessualità.

Mi rattrista esprimerLe il rammarico mio e dell’associazione che rappresento per la visibilità data a teorie prive di alcun fondamento scientifico e dalla evidente portata discriminatoria, figlie dell’integralismo religioso che considera l’omosessualità una scelta perversa o, peggio, una patologia mentale.

Sappiamo bene che dietro alle pretese di correttezza scientifica dei “guaritori” si nascondono gruppi di fanatici irriducibili, che si ostinano a non voler accettare il fatto che, come l’OMS ha ufficialmente sancito nel 1990, l’omosessualità è una “variante naturale del comportamento umano” al pari dell’eterosessualità.

Proprio pochi giorni fa, come ha riportato la stessa Stampa in cronaca di Torino, al Liceo Curie di Grugliasco, l’Arcigay si è trovata a fronteggiare posizioni simili, espresse da un sacerdote nel corso di un dibattito organizzato all’interno di un’assemblea d’istituto.

Non è a mio avviso sufficiente a chiarire la posizione del giornale il giudizio espresso dall’autrice del pezzo, che associa le teorie riportate alle “più bieche posizioni omofobiche”, né il fatto che l’articolo sia accompagnato da un’intervista a Franco Grillini. Le chiedo: di fronte a posizioni che, in nome di una presunta scientificità, affermassero la superiorità di una razza su un’altra, l’atteggiamento della testata sarebbe analogo? A simili teorie sarebbe data la stessa visibilità o il livello di stigmatizzazione sarebbe più marcato?

Se è vero, come è vero, che l’omofobia costituisce, al pari del razzismo, dell’antisemitismo e del sessismo, un’odiosa forma di discriminazione, allora ritengo che l’atteggiamento dei giornali dovrebbe essere più cauto quando ci si avventura su questo terreno, considerato l’insostituibile ruolo che agli organi d’informazione spetta nella promozione di una cultura del rispetto reciproco.

Certo che questo appello sarà raccolto, Le porgo cordiali saluti.

Antonio Soggia
Presidente del Comitato Provinciale Arcigay di Torino “Ottavio Mai”


"Ero gay: i preti mi hanno guarito"
Al «corso» letture sacre e preghiere
di FLAVIA AMABILE

ROMA
Lo si può incontrare in una via di Milano, confuso tra la folla del sabato, a fare acquisti con la fidanzata, attento a non spendere troppo perché sta mettendo da parte i soldi per il matrimonio. Tranquillo, «normale» come dice di se stesso, virgolette comprese. Chi lo avesse conosciuto dieci anni fa potrebbe pensare di essersi sbagliato. Invece è proprio Luca Di Tolve, nella sua nuova vita. «Quella – racconta – che mi sono conquistato dopo sei anni di terapia riparativa dell’omosessualità: tre rosari al giorno, gruppi di ascolto, studio della Bibbia e dei testi di Josè Maria Escrivà, il fondatore del'Opus Dei. Adesso, finalmente, sono guarito».

«Guarito», dice, come se essere gay fosse una malattia, secondo le più bieche posizioni omofobiche. Eppure Luca era omosessuale, e non uno tranquillo. Piuttosto uno da montagne russe, capace di passare dalle eleganti suite newyorchesi al sesso rubato in una «darkroom», dall’ufficio dove dirigeva un team di persone a un parco di notte a consumare rapporti.

Il primo amore
Gay lo è sempre stato, fin da bimbo. «Ricordo la mia infanzia a giocare con le bambole e con le amiche del palazzo volevo sempre fare la mamma», racconta. Già allora i genitori si erano separati, lui viveva in un monolocale a Milano con la mamma «troppo affettuosa, a volte soffocante ma anche tanto indaffarata nella lotta per la sopravvivenza». Andò a finire che in seconda media si innamorò perdutamente del suo compagno di banco «bello, perfetto, forte e dolce allo stesso tempo». Amore non corrisposto. E non solo: «Se ne accorse la prof, anzi, praticamente tutti». Lo sospesero. «Rimasi a letto per giorni, gridavo il nome del mio compagno nel sonno. Lo psicologo disse che ero il classico bambino turbato per la separazione dei genitori e che un altro cambiamento sarebbe stato dannoso».

Il sesso
Luca tornò in classe, riuscì anche a diventare amico del suo «bello». Ma 'amore quello no. «Rimaneva in me un vuoto che mai riuscii a colmare, i miei studi andarono a rotoli, abbandonai la scuola». Dopo un po’ arrivò il sesso, forse anche 'amore, con un ragazzo più grande. Il mondo omosessuale si aprì davanti a lui, «un mondo finalmente pieno di colori dopo tanta amarezza, sentivo di poter finalmente camminare da vincitore e non da sconfitto».

La prima vittoria? Arrivare a Canale 5. Batteva le mani, faceva apparizioni sporadiche, guadagnava quasi nulla ma intanto conosceva meglio 'ambiente. Il passo successivo fu entrare nel giro delle discoteche. Quando anche le discoteche iniziarono a stargli strette passò a occuparsi della sezione turismo del'Arci Gay. Organizzava viaggi per omosessuali. Gli piacque talmente che pensò di aver finalmente trovato la via giusta. Mise su u'agenzia sua, specializzazione i viaggi a tema, soprattutto negli Usa, ma anche feste ed eventi come il Gay Pride di Napoli. «Ero amato, invidiato, avevo soldi, casa in centro, bei vestiti, in tasca biglietti 'aereo per andare a fare shopping negli Usa quando volevo». Il massimo, insomma. O forse no. «'Aids marciava trionfante, la vita di amici ventenni con i quali avevo diviso anni lieti, si spegneva miseramente». Anche lui finì nella morsa del'Hiv. Scomparve il suo lavoro, un sieropositivo non può sottoporsi a una girandola di viaggi e vaccinazioni. Si dissolsero le paillette, iniziò il periodo peggiore. «Tornai a casa di mia madre, ormai risposata, e fu il mio deserto». Ovvero, il momento delle darkroom, dei parchi, del sesso disperato, degli stupefacenti. «Poi ho scoperto il buddismo, e sono arrivate le canzoni. Ho vinto un concorso con testo dedicato a un Dio non ancora decifrato bene».

La svolta
La svolta avvenne per caso. Un giorno un amico omosex dimenticò a casa sua alcuni appunti di filosofia. Luca li sfogliò per curiosità e s’imbattè nelle teorie di Joseph Nicolosi. Spiega: «Al'inizio ebbi voglia di prendere a pugni questo signore e le sue idee. Però non riuscivo nemmeno a liberarmene. In fondo che co'era quel'andare in giro per parchi se non la conferma che anc'io ero vittima di pulsioni, di nevrosi di cui dovevo liberarmi? E perché non riuscivo a raggiungere la felicità con un ragazzo, uno dei tanti conosciuti in quegli anni? Perché nei maschi mi guardavo come in uno specchio, ma era della diversità di una donna che avevo bisogno».

Abbandonò il buddismo, ritrovò il cristianesimo e scoprì per la prima volta l’identità di uomo. «Non dico che sia stato facile, devi saper rinunciare, fermare la caccia al sesso compulsivo che prima praticavo istintivamente». Ci sono voluti sei anni, qualche caduta qui e lì, molta volontà, anche – e un tempo gli sarebbe apparso impensabile – tante preghiere. «Tre rosari al giorno, i corsi del gruppo Chaire e quelli di Living Waters. Un anno fa ho conosciuto la mia fidanzata. Di me sa tutto e ha accettato di starmi accanto». Stanno mettendo da parte i soldi per sposarsi, conta di farcela nel giro di due anni.


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