Pensavamo di avercela fatta, che la scuola italiana avesse trovato gli strumenti giusti per affrontare il disagio degli adolescenti, anche se non erano del tutto chiari i rimedi. Da un po’ di tempo, invece, la scuola è al centro di uno sconvolgimento comportamentale, ampliato dai media.
Uno sconvolgimento che si manifesta in una serie di eventi imprevisti, che hanno come oggetto atti di autentico bullismo su disabili, donne, omosessuali e immigrati, atti di fronte ai quali gli insegnanti sembrano ormai impotenti e incapaci di controllare il fenomeno.
Il caso di Matteo, il ragazzo sedicenne di Torino che si è tolto la vita perché non sopportava più che i compagni di scuola lo prendessero costantemente di mira con frasi antigay, è solo la punta dell’iceberg più drammatica di un fenomeno molto più complesso e articolato. Matteo è l’ultima vittima di un bullismo crudele e inumano che perseguita, incalza, esclude, spaventa.
Dov’è la scuola dell’intercultura? Dov’è la scuola del rispetto, della pace, dell’uguaglianza, della solidarietà?
Nella mia esperienza di dirigente scolastico, so che questa scuola esiste, grazie all’impegno e alla sensibilità di migliaia di insegnanti, ma non è maggioritaria, non ha strumenti, non è sostenuta, non ha voce, non ha forza.
Ma la scuola maggioritaria continua a parlare eterosessuale, evita di affrontare la cultura e le idee che riportano all’omosessualità, e quando lo fa, lo fa senza coraggio, senza chiarezza, con imbarazzo, radicando ancora di più il pregiudizio. È di fronte alle emozioni delle lesbiche e dei gay che la scuola appare assente o incapace, mantenendosi restia e ipocritamente prudente.
È in questo passaggio che la scuola non è sempre efficace, non si sforza di dotarsi di strumenti idonei per affrontare l’omosessualità, polemizza con la volontà di studenti di parlarne nelle assemblee, ostacola l’entrata delle associazioni gay nelle scuole, quindi resta colpevolmente disarmata, e si scopre impotente di fronte a fenomeni come la morte di Matteo.
Certo la scuola non è aiutata dalle polemiche sui diritti degli omosessuali, cui fanno da sfondo condanne arroganti, giudizi di devianza, offese gratuite e pesanti. Ma non è forse la scuola il luogo della ricomposizione culturale, il laboratorio del rispetto e dell’uguaglianza, dove la fruizione del sapere è vista come crescita collettiva da indicare al mondo?
È importante che la scuola possa contare sulla cultura del rispetto da parte di tutte le istituzioni e di tutte le gerarchie, che le istituzioni in particolare sappiano affrontare senza ipocrisie, senza bigottismi, senza discriminazioni, senza pregiudizi, la questione omosessuale e in particolare il ministero dell’Istruzione sappia dare direttive serie e concrete, come ha saputo fare in materia di religioni, di integrazione culturale, di conoscenza delle diverse abilità, portando la scuola italiana molto avanti nel mondo. Non abbiamo bisogno di colpevoli e di punizioni, ma di una volontà seria di fare concretamente e positivamente i conti, anche se scomodi, con una realtà presente, sofferente, che soprattutto nel momento in cui si accinge a costruire il proprio progetto di vita, ha bisogno di avere attorno attenzione, progettualità, cura, amore. C’è bisogno di direttive chiare e severe contro atti di discriminazione delle persone omosessuali, che spesso avvengono anche da parte dei docenti. Serve un organismo autorevole che vigili, prevenga, guidi, fornisca strumenti, anche servendosi dell’ottimo lavoro delle associazioni omosessuali e delle famiglie di omosessuali, come l’AGEDO. Dietro il silenzio e l’indifferenza, c’è una grande solitudine e una grande sofferenza dei giovani omosessuali e delle loro famiglie.
La politica del sostegno alle famiglie passa anche attraverso l’attenzione verso queste sofferenze, verso le famiglie impegnate quotidianamente a proteggere i propri figli omosessuali contro il pregiudizio della società, la condanna delle Istituzioni, la precarietà forzata di un progetto di vita.
Quanta fatica deve essere costato alla madre di Matteo questo affanno quotidiano!
La scuola quindi deve ritrovarsi e riproporsi come luogo-sintesi di relazioni, all’interno delle quali nessuno debba sentirsi fuori posto, escluso, discriminato, e dove nessuno senta il bisogno di escludere e di discriminare, non dimenticando che anche gli attori del bullismo sono espressione di un malessere.
Senza queste premesse fallisce il progetto scolastico, ma fallisce anche il progetto sociale, perché se è vero che è della scuola il compito educativo, è anche vero che la scuola non può essere lasciata sola ed essere indicata come la sola responsabile delle tragedie. Il futuro dei nostri giovani non è solo nelle mani della scuola, ma anche, e soprattutto, nelle mani di ognuno di noi.
Vanni Piccolo
Dirigente scolastico
Presidente assemblea nazionale GayLeft