Quando dio nega la felicità

  

Quando decisi di occuparmi della realtà omosessuale catanese, l’Italia affrontava per l’ennesima volta lo scottante problema dell’intolleranza sessuale. In quello stesso periodo la città siciliana aveva visto riempirsi le strade di colori e personaggi sicuramente stravaganti. La crisi comunale era lontana anni luce (almeno per l’informazione pubblica), e i problemi di allora riguardavano la possibilità o meno di usufruire di piazza Università per il Pride. Sono passati tre mesi da allora, e, a Catania, la crisi dei mercati finanziari mondiali ha l’effetto di un calcio sferrato su un moribondo speranzoso. Il mio
progetto prevedeva tre conversazioni con dei rappresentanti di quel mondo gay non sempre chiaro, e a tratti ambiguo, ma sempre più popoloso e attivo ai piedi dell’Etna. In particolare mi premeva chiarire lo stato del rapporto dei gay (catanesi nello specifico, ma italiani in generale) con la società, con la famiglia e con la Chiesa. Proprio per questo ho contattato coloro i quali mi apparivano come i più adatti ad illuminarmi su tali argomenti.

Per il primo tema ho intervistato il presidente dell’Arcigay Catania, Riccardo Di Salvo. Per ciò che concerne i gay e la famiglia ho contattato la signora Amalia Giardina, presidentessa dell’AGEDO, associazione che raggruppa i parenti di omosessuali. Infine, per l’argomento più scottante avevo preso impegni con padre Gliozzo, un sacerdote che si occupa di assistenza a trans, prostitute, omosessuali ed emarginati. Di queste ultime conversazioni ci occuperemo nelle prossime settimane, perché ritengo sia necessario come primo passo il chiarimento dei rapporti sociali e politici che la realtà omosessuale intrattiene attualmente. Riccardo Di Salvo è stato chiamato a presiedere l’Arcigay da un anno a questa parte, come successore di
Paolo Patanè, attuale presidente del collegio regionale dell’associazione, che l’ha guidata per due anni dalla sua fondazione.

Si dimostra subito una persona altamente gentile, e quando gli chiedo di presentarsi mi rendo conto di aver scelto la persona adatta. Rimango infatti piacevolmente colpito dal suo curriculum, dalla sue esperienze come responsabile culturale dell’AGEDO e come ricercatore universitario, e dalla sua attuale occupazione come docente di italiano e storia per i CPT e per i corsi serali della scuola secondaria di secondo grado. Coglie l’occasione per accennarmi ai quattro libri che ha pubblicato da un anno a questa parte, l’ultimo dei quali, Corpi di brace (edito da Croce edizioni), ospita in un racconto la denuncia del clientelismo politico (di matrice comunista soprattutto) vigente nell’Università di Catania negli anni ’70.

«La destra e la sinistra sono sullo stesso piano», mi dice, «entrambe si sono servite della tematica omosessuale strumentalizzando il tutto, anche se la sinistra, in tutto questo, ha le colpe maggiori. In tale contesto si situa la nascita dell’Arcigay.»

«Mi spieghi.»

«Arcigay è movimento politico. E non potrebbe essere altrimenti perché alla base c’è un ideale politico: la tutela dei diritti delle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Proprio per questo motivo con l’occasione dei Pride l’associazione stila un documento politico in cui si ribadisce la necessità di
intervenire.»

«Su cosa principalmente?»

«Innanzitutto sulla cattiva informazione, che crea stupidi pregiudizi e ci dipinge come macchiette. È l’intera impostazione culturale che va modificata, fin dall’istruzione.» Dal tono della risposta si capisce subito quanto la questione formativa lo tocchi personalmente. «Abituare il bambino alla quotidianità del fenomeno omosessuale è la base su cui fondare la tolleranza sessuale, e, di conseguenza, ottenere diritti civili. Purtroppo in Italia questo compito di educazione viene reso ancora più arduo dalla presenza del Vaticano, che, garantendo un’ingente quantità di voti, rende proni i partiti.»
Sembrerebbe il classico discorso anticlericale ma, come a voler evitare
equivoci, subito aggiunge: «Io sono credente, ma rifiuto le gerarchie e sono per il libero arbitrio. A maggior ragione se questo serve a garantire la laicità
dello Stato.»

«Lei parlava di cattiva informazione e del rischio di apparire stereotipati, ma non si preoccupa del fatto che il Pride possa generare gli stessi equivoci?»

«Molti hanno queste stesse preoccupazioni, ma il senso vero del Pride è quello d’essere rappresentativo di tutte le realtà LGBT, anche quelle più esuberanti. Deve essere costruttivo e avere una funzione sociale di crescita e conoscenza. Proprio in funzione del discorso sulla formazione a cui ho accennato. Chi si ferma a guardare i vestiti, o chi propone giacca e cravatta, non ha afferrato realmente quello che è il significato del Pride.»

«Nella sostanza, oltre all’organizzazione del Pride, di cosa vi occupate?»

«L’Arcigay Catania è nato tre anni fa, frutto dell’attivismo politico e sociale che caratterizza la realtà omosessuale catanese, in risposta all’aspetto ludico e disimpegnato dell’omosessualità degli anni 80-90, avente come centro d’interesse Taormina. Con la nascita di Open Mind, Pegaso, Arcigay e AGEDO, l’attivismo omosessuale catanese ha avuto l’opportunità di porsi come centro propulsore dell’isola. Esempio che è stato seguito dall’Arcigay ragusana, una delle più attive in Sicilia. Da parte nostra non ci limitiamo solamente ad un pubblico omosessuale, ma di qualsiasi identità sessuale, anche per scongiurare la ghettizzazione. Ultimamente abbiamo organizzato un concorso di poesia, diverse conferenze per le scuole, di cui una su Pasolini ha avuto molto successo, e qualche cena o presentazione di libri. Ci tengo inoltre a precisare che tutto viene autofinanziato, coi proventi delle cene sociali, con parte dei guadagni dei libri e, in minima parte, dal tesseramento.»

«Nessun aiuto da parte delle Istituzioni?»

«Assolutamente no. Anzi. Durante la precedente amministrazione comunale il sindaco Scapagnini, anche in presenza dell’allora Presidente della Provincia Lombardo, aveva promesso, mediante un protocollo d’intesa, una sede e un osservatorio sulla violazione dei diritti civili. Ovviamente stiamo ancora aspettando…»

«Non avete una sede?»

«Beh, ci riuniamo a casa mia, ma non è di sicuro la sede più adatta!»

«Per il futuro che progetti ha l’Arcigay?»

«Innanzitutto l’autodeterminazione. Ovviamente senza pregiudicare il dialogo. Ma fin quando si continua a parlare di “tolleranza” o “accettazione” non c’è molto da dialogare. Quando “rispetto” sostituirà quei concetti allora avremo molte cose su cui confrontarci. Tenteremo comunque un’ apertura a 360°, per garantirci un apporto non necessariamente economico, ma anche logistico da parte delle Istituzioni. Ci muoveremo poi in direzione di quel progetto di formazione, tentando di entrare trasversalmente nelle scuole e nelle università, grazie anche ad una politica di ramificazione attuata attraverso personale altamente specializzato (psicologi, neuropsichiatri ecc…), in maniera tale da mutare il concetto di “diversità” in “identità di genere”, aiutando chi sente emarginato. Inoltre proporremo un uso corretto dell’informazione. Le faccio un esempio: dopo il mio coming-out al Maurizio Costanzo Show, non ho trovato difficoltà ad aspettarmi nella mia scuola e nella mia classe, ma anzi, il mio gesto ha spinto molti ragazzi e ragazze a farsi avanti e a parlare con me. Questo dimostra che un’informazione dignitosa e professionale può risultare costruttiva.»

«Per quali diritti vi batterete?»

«Tutti quei diritti civili che sono riconosciuti anche in stati ultracattolici come Spagna e Irlanda, diritti che ci nega questa religione dell’infelicità tutta italiana. “Bruciamo in questa terra, non nell’aldilà”, scrivo nel mio ultimo libro. Ecco, credo sia questo ciò per cui mi batto in primis, il diritto ad essere felici».


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