Affermiamo il nostro benessere

  

Margherita Graglia, psicologa e psicoterapeuta, da anni lavora come formatrice, organizzando e conducendo corsi sull’orientamento sessuale e l’identità di genere rivolti a psicologi, psicoterapeuti, medici, insegnanti ed educatori.

Ha curato inoltre una serie di progetti europei sull’integrazione delle persone lgbt. È da poco uscito il suo nuovo volume “Psicoterapia e Omosessualità”, edito da Carocci.

La abbiamo intervistata per Pegaso19.

Come definisci la tua idea di benessere e come può una persona lgbt costruire il proprio benessere nell’Italia di oggi?

Il benessere è uno stato di armonia tra gli aspetti psicologici, somatici e relazionali di una persona. Declinando questo concetto rispetto all’orientamento omosessuale, significa che per il benessere lgbt è importante riconoscere questa parte identitaria come parte positiva di sé e come parte che può essere condivisa con le altre persone. E occorre che il contesto permetta e faciliti tutto questo.
Costruire il proprio benessere come gay o lesbica significa innanzitutto contrastare le forze di certa “Politica italiana” che premono perché questa dimensione venga relegata nel privato. Possiamo applicare il concetto di salute anche alla società: una società in salute è quella che crede che i diritti lgbt non siano una concessione, ma riguardino ogni cittadino, che sono un valore collettivo e condiviso.

È da poco uscito il tuo nuovo volume “Psicoterapia e Omosessualità”. Di cosa tratta?

È un libro che si rivolge ai professionisti dell’area psico-, ma non solo, ho infatti cercato di rendere fruibile il testo a tutti coloro che volessero acquisire gli strumenti per comprendere il dibattito attuale sull’omosessualità. In particolare propongo ai lettori un chiarimento sui concetti base rispetto all’orientamento sessuale (Che cos’è, quali sono le sue dimensioni; quali sono le sue origini; quanti GLB ci sono, perché è utile fare una stima…) e una riflessione sull’omonegatività (le sue forme, come è possibile contrastarla, il suo impatto sulle vite dei gay e delle lesbiche).

Qual è la rilevanza dell’orientamento sessuale come elemento identitario nella costruzione dell’identità complessiva di una persona omosessuale?

È una dimensione tra le innumerevoli che compongono l’identità complessiva di una persona sennonché il nostro contesto sociale assegna significati negativi a questa parte rendendo il percorso di costruzione di sé più difficoltoso e talvolta molto doloroso.

L’omofobia interiorizzata è uno dei peggiori nemici inconsci per il raggiungimento di una piena affermazione di una persona omosessuale? Quali sono le sue forme più subdole e difficili da decostruire?

Noi tutti, omo od etero che siamo, cresciamo in un contesto omonegativo, impariamo a svalorizzare le identità e i comportamenti non eterosessuali a partire dall’infanzia. Crescere, potremmo dire significa anche confrontarsi attivamente con le immagini negative che si sono assorbite e che talvolta impediscono la realizzazione piena di sé, come ad esempio ritenere che come omosessuali non si ha il diritto di chiamare le proprie relazioni Famiglia, di desiderare dei bambini, pensare di non essere come gli altri rispetto alla legittimità dei propri desideri e aspirazioni.

Nel tuo libro parli del caso Povia a Sanremo. Quanto influisce la cultura televisiva impregnata di omofobia nascosta sulla costruzione di un’identità sociale affermativa per le persone LGBT?

Nel libro faccio un’analisi della canzone di Povia perché utilizza uno stile comunicativo di tipo manipolatorio e quindi particolarmente pericoloso. I mass media potrebbero essere un utile strumento di promozione di inclusione sociale se offrissero innanzitutto immagini, rappresentazioni di identità gay e lesbiche invece ancora troppo spesso prevale la censura (vedi il caso del film Brokeback Mountains), le rappresentazioni macchietistiche o voyeuristiche, l’invisibilità.

Questa assenza di immagini positive priva, in particolare gli adolescenti lgbt, di modelli di ruolo e toglie agli eterosessuali l’opportunità di decostruire stereotipi e pregiudizi. Un danno per tutti.

Qual è secondo te l’attuale impatto sociale delle cosiddette antiscientifiche “terapie riparative” che vorrebbero “correggere” l’omosessualità e che non tengono conto della bisessualità?

Le terapie post-riparative usano un linguaggio ambiguo, subdolo, manipolatorio, come nella canzone di Povia in cui si afferma che l’omosessualità non è una malattia, ma poi la si dipinge come tale.

Questa comunicazione improntata a sostenere una cosa per poi negarla nei fatti veicola messaggi contraddittori che possono confondere il ricevente del messaggio. Se da un lato quindi sono terapie anti-scientifiche e dannose per l’equilibrio psichico di chi le segue, dall’altro può essere complicato per una persona che soffre identificarle per quello che realmente sono.

Quali nuovi strumenti formativi e di servizio dovrebbero utilizzare le associazioni e in particolare Arcigay per accrescere il benessere delle persone LGBT?

Gli interventi nella scuola costituiscono uno degli strumenti più efficaci e Arcigay in questo ha una lunga storia. Ha maturato importanti competenze. Penso che sarebbe utile rivolgere l’attenzione anche agli anziani lgbt che invece a volte non sono considerati dalla comunità lgbt. Invece sarebbe positivo per tutti stabilire una connessione tra le diverse generazioni. Ci sarebbero tante storie da raccontare ed ascoltare!

Lascia un messaggio in piena libertà alle persone che leggono il nostro sito web e che vorrebbero un cambiamento sociale in questo paese.

L’attuale situazione italiana è insostenibile, non può che cambiare! Occorre però non scoraggiarsi; i cambiamenti rispetto ai diritti delle minoranze sono sempre stati ottenuti grazie alla rivendicazione di queste che hanno segnalato sulla scena sociale la loro presenza e la loro protesta. È la partecipazione collettiva che smuove. Inoltre è utile avere chiaro che la società civile è già cambiata, è il livello istituzionale, quello politico, che deve allinearsi. È lì il tappo!

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Mettiamo in gioco i nostri corpi – AMORI CONTRO L’OMOFOBIA
FRANCESCO E RUDI

Noi mettiamo in gioco il nostro volto… Siamo rudi e Francesco. Insieme da più di tre anni. Innamorati come al primo dì. Conviventi a Lavis vicino Trento. Con famiglie consapevoli e felici della nostra relazione. Un amore sano e disinteressato. Un uomo di 50 anni e uno di 25. Uno del nord e uno del sud. Uno fiorista, l’altro attore teatrale. Vogliamo dimostrare di credere nell’amore che, se esiste, non ha nè età, nè sesso nè origini e distanze.


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