SABATO 17 DICEMBRE ORE 18 PRESSO CGIL CATANIA IN VIA CROCIFERI 40
Credo che non serva sottolineare quanto sia preoccupante la situazione che vive la nostra comunità rispetto al tema del HIV.
La provincia di Catania, a quanto mi risulta ad oggi l’unica della Sicilia che registra le nuove diagnosi, presenta una incidenza sulla popolazione generale che supera il 3% (fonte ISS), per ora la più alta dell’Italia meridionale e insulare.
I dati di prevalenza, quindi relativi ai casi di HIV solo nella nostra comunità, in Italia superano il 9% (fonte studio Emis – Ungass 23).
Il Nord d’Italia ovviamente risulta ben più flagellato dal virus, si pensi che a Bologna, la mia città, la prevalenza supera addirittura il 12%.
Ho scritto ovviamente non per mancare di rispetto, ma perché purtroppo in media gli italiani del nord del Paese tendono a fare i test con maggiore frequenza e presso le strutture pubbliche, quindi soggette alla sorveglianza sanitaria. Questo per dire che temo che i dati dell’Italia meridionale ed insulare siano largamente sottostimati, ma ovviamente è una ipotesi.
Ma che fanno tutti questi gay sieropositivi? Come vivono la condizione persone esposte sia al rischio di discriminazione omofonica, sia al rischio di discriminazione per via dello stato sierologico?
Nessuno lo sa. In Italia, nonostante HIV stia per compiere 30 anni, non ci sono studi pubblici sull’argomento, così come non ci sono campagne contro la discriminazione delle persone sieropositive o in Aids.
E quindi è facile immaginare che le persone omosessuali HIV+ si arrangino alla meno peggio, come possono, nel più perfetto stile italiano, nella maggior parte dei casi vivendo in solitudine il peso di una infezione che è come una spada di Damocle sul capo.
La cosa che ho sempre trovato “strana”, è che anche l’esperienza del coming out rispetto all’omosessualità, quasi a nessuno è servita a qualcosa quando si sono ritrovati sieropositivi. Questo stato viene comunque vissuto in segreto, con timore, con rabbia, con vergogna anche all’interno della comunità gay o MSM contribuendo a creare una minoranza invisibile, nella minoranza gay.
A mio avviso è ora di finirla. Trovo insopportabile che, come Arcigay, restiamo immobili davanti alla muta sofferenza di tante persone come noi.
E parlo, anzi scrivo, per esperienza diretta: la prima volta che ho comunicato il mio stato sierologico al Cassero, i presenti mi ha guardato con palese imbarazzo e solo uno di loro ha detto “ah!” gli altri neppure quello.
Capite bene che se è questa l’accoglienza che mediamente riserviamo a chi vive questo problema, non si capisce perché dovrebbe parlarne con le altre persone gay che frequenta.
Chiedo scusa per questo lungo cappello introduttivo, che serviva per arrivare non certo alla soluzione del problema, ma a una delle possibili azioni che possiamo mettere in campo come associazioni:
i workshop che abbiamo chiamato HIVoices e che verrò a presentare a Catania il prossimo 17 dicembre (se cliccate sul link, verrete rimandati a una delle pagine di casserosalute.it che tratta il tema).
Non si tratta di gruppi di auto-aiuto, né di psicoterapia sia perché i conduttori non sono psicoterapeuti, sia perché non vanno ad analizzare il passato dei partecipanti, ma tutte le attività afferiscono al “qui e ora”, vero motivo conduttore del workshop.
I workshop sono organizzati in forma residenziale, in una località il più possibile isolata, sia per dare un minimo di tutela rispetto alla privacy, sia per dare la concreta impressione di lasciarsi indietro tutto (cosa che è stata notata ed apprezzata dai partecipanti).
I partecipanti possono essere solo MSM (“maschi che fanno sesso con maschi”) sieropositivi. Non importa l’età, la condizione sociale, tantomeno l’anzianità di diagnosi (ad oggi hanno partecipato persone neo diagnosticate, 3/4 mesi, così come persone con oltre 20 anni di HIV sulle spalle).
HIVoices è diviso in momenti informali (le pause, i pranzi, le cene, ecc.), e momenti formali duranti i quali i conduttori propongono attività di vario tipo, per lo più tese a portare la persona a contatto con sé stessa e ad accettare il dato di fatto che vive con una infezione cronica.
So bene che sembra banale, ma vi assicuro che non lo è. Per fare un esempio concreto, ho avuto modo di conoscere partecipanti sieropositivi da 10 anni, che mai avevano detto a nessuno di esserlo. Provate anche solo ad immaginare il peso, l’angoscia che hanno vissuto, e anche la capacità di rimozione, il muro che hanno posto fra sé stessi e le proprie paure ed emozioni e, di conseguenza, a che tipo di vita hanno vissuto.
Sandro Mattioli