«Preso in giro a scuola solo perché sono gay»

  

di Giacomina Pellizzari
«Sei gay, vergognati». Anche i quattordicenni o poco più sanno essere violenti quando si rivolgono a un compagno di classe omosessuale. E’ successo in una scuola superiore della città quando uno studente sentendo il peso della diversità, perché così viene considerata ancora l’omosessualità, ha confidato il suo segreto a una compagna la quale, in buonafede, ha tradito il patto di fedeltà e ha raccontato tutto al resto della classe. Da allora, la presenza in quella scuola per il quattordicenne gay che non era ancora pronto a dichiararsi, è diventata un inferno. Oggi quello stesso ragazzo che chiameremo Francesco (un nome di fantasia perché in questi casi l’anonimato è dovuto) è maggiorenne, frequenta l’ultimo anno delle superiori e, dopo aver trovato il coraggio di parlarne apertamente con i genitori, ha deciso di raccontare la sua storia per evitare che altri studenti siano costretti a subire insulti verbali e battute fuori luogo nelle aule scolastiche dove i gay si sentono ancora emarginati. Facile immaginarlo soprattutto osservando gli occhi di Francesco quando ricorda il suo ingresso nell’aula con 23 studenti, quasi tutti maschi. «Ero consapevole della mia omosessualità – rivela -, ma sapevo anche che quelle persone non potevano capire il mio stato d’animo e allora ho cercato di soffocarlo fino a quando ho deciso di confidarmi con la mia migliore amica la quale non ha saputo mantenere il segreto e ne ha parlato con un compagno di classe». E’ stato l’inizio di un calvario fatto «di scritte omofobe sulla lavagna e frasi dette sottovoce nei momenti di silenzio quando io percepivo benissimo che stavano parlando di me». Senza contare gli sms che riceveva dopo un’assenza: «Dicono che sei gay» recitavano. Un tormento che ha condizionato i risultati scolastici dello studente costretto a reagire a una situazione davvero insopportabile. Fortunatamente, è proprio il caso di dirlo, l’ha fatto senza cadere nella disperazione che avrebbe potuto portarlo a gesti anche disperati come quello registrato a Roma e raccontati dalle cronache nelle ultime settimane. «Di fronte all’evidenza non potevo più negare» continua Francesco senza accusare i compagni, né i docenti che «pur avendo intuito il problema non hanno fatto niente. Subivo – aggiunge Francesco – pensando “devo resistere perché potrebbero dirlo ai miei genitori”». Quella barriera fatta di paura e rabbia, Francesco l’ha superata due anni più tardi quando, per una serie di circostanze, si è trovato in un’altra classe più comprensiva. «A metà anno scolastico lo sapevano tutti» racconta oggi Francesco riconoscendo di aver trovato in quell’aula un appoggio inimmaginabile. Quel dialogo avviato in primis con una compagna, gli ha dato la forza di parlarne in famiglia e di stringere la mano del padre quando l’ha accompagnato nella sede dell’Arcigay dove oggi è impegnato a organizzare i corsi sul bullismo omofobico per insegnanti che prenderanno il via venerdì, nell’aula magna del Malignani. «Corsi che non registrano grandi adesioni nelle scuole» denuncia il presidente dell’Arcigay, Giacomo Deperu, nell’evidenziare che «la richiesta proveniente dal basso, dagli studenti omosessuali che subiscono violenze verbali nelle scuole, non trova corrispondenza dall’alto. I dirigenti scolastici tendono a dire, infatti, “da noi il problema non esiste”»


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