E Silvio spacca il Pdl sulle coppie gay

  

MILANO — Di nuovo insieme, grazie a un bizantinismo. Berlusconi «capo», e non candidato premier, della resuscitata alleanza Pdl-Lega. E Maroni può fare l’aspirante governatore della Lombardia: «Da soli — spiega — saremmo andati incontro a un’inevitabile sconfitta, questa è un’occasione storica per realizzare il nostro grande sogno, e noi non possiamo farcela scappare ». Accordo nella notte in via Rovani, nella residenza milanese del Cavaliere. Loro due soli, dalle dieci di sera all’una e mezza. E il padrone di casa può dare per primo l’annuncio trionfale in mattinata, via radio: in Lombardia «
habemus Papam »
Già che c’è, si improvvisa pure paladino del riconoscimento delle coppie di fatto, comprese quelle gay. Se rivince lui si potrà fare,
anche se poi «serve la maggioranza in Parlamento per cambiare il codice civile». Ma si becca subito una reprimenda dalla sua fedelissima Micaela Biancofiore: «Rispetto l’apertura del presidente, ma le unioni omosessuali non sono assolutamente una priorità». Così la pensa anche la Cei, mentre frenano i cattolici Roccella, Sacconi e Quagliariello. Soddisfatti invece i laici Capezzone, Carfagna e Bondi, mentre le associazioni, dall’Arcigay a Gay center, con una buona dose di scetticismo lo invitano a mettere «nero su bianco» questa novità assoluta, «dopo anni di battute di dubbio gusto sugli omosessuali fino all’omofobia esplicita».
Ma sono dettagli, la notizia del giorno è l’accordo tra Pdl e Lega. In caso di (improbabilissima) vittoria del centrodestra, saranno Berlusconi e Maroni a indicare il candidato premier. Una clausola del contratto prevede che Silvio non sarà nella rosa. Anche se l’intesa
già sembra mostrare qualche crepa. Il leader della Lega nega con decisione che in via Rovani i due abbiamo parlato del candidato premier. Ma l’altro, sempre ieri mattina, fa il nome di Angelino Alfano, ritagliando per sé il ruolo di ministro dell’Economia. Così nell’affollatissima conferenza stampa convocata in via Bellerio qualche ora dopo, Maroni ne fa un altro: «Stimo Alfano, ma mi permetto di indicare Giulio Tremonti». Sì, l’ex collega di governo che con i suoi tagli aveva fatto andare fuori dai gangheri i sindaci leghisti. E che ora, con la sua lista Lavoro e libertà, si presenta dappertutto insieme alla Lega. Ma il Cavaliere boccia il suo ex ministro dell’Economia: «È intelligente, ma non sa far squadra ». E lo stesso Tremonti rivela invece
che in base all’intesa chi prenderà più voti indicherà il candidato premier.
In ogni caso Maroni si sbraccia per giustificare la «portata storica » dell’accordo. Solo così, sempre che lui vinca, si può attuare il progetto della macroregione del Nord, e trattenere in Lombardia (e in Piemonte, e nel Veneto) il 75 per cento delle imposte versate dai cittadini. Il gioco vale la candela, e fa niente se «ci sono, come prevedevo, dei maldipancia dei miei che non vogliono l’accordo». Basta spiegare a questi malpancisti, concentrati soprattutto nel Veneto, che se la linea fosse quella della splendida solitudine, «nei 400 Comuni dove governiamo con il Pdl i nostri sindaci dovrebbero dimettersi, così come i governatori del
Veneto e del Piemonte». Oplà, basta e avanza per spiegare la sterzata pro-Cavaliere. Da Umberto Bossi arriva il via libera: «Maroni si è mosso bene, non potevamo perdere quest’occasione» ha detto alla
Padania.
«Accordo vincente, conviene anche al Veneto, perché Maroni governatore aiuterà tutto il Nord», detta forse con qualche fatica Flavio Tosi, il più anti-berlusconiano tra i leghisti. «Con Maroni — aggiunge il presidente del Piemonte Roberto Cota — realizzeremo l’Euroregione del Nord». Umberto Ambrosoli, candidato governatore del centrosinistra attacca a testa bassa: «Altro che Lombardia in testa, inciucio in testa; la pantomima è finita, resta solo la nausea».


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