“Il mio amico gay? Non ci vado in gita” Gli studenti omosex evitati dai compagni

  

di ANNA MARIA LIGUORI

NON accettati, intimoriti, a volte persino preoccupati per la propria incolumità fisica. I giovanissimi gay che vivono nella capitale non hanno vita sociale facile, si sentono emarginati anche da chi, per età e cultura, dovrebbe aderire alle loro scelte sessuali. È questa la radiografia che emerge da un sondaggio fatto dall’Arcigay, all’interno del progetto Europeo Niso condotto con la Provincia di Roma, contro la discriminazione verso gli studenti lesbiche e gay: intervistati oltre 1000 studenti (un campione rappresentativo) di 16 scuole di Roma e provincia, licei, istituti tecnici, professionali. La situazione generale è al limite della tolleranza e, sotto alcuni aspetti, sembra non riflettere l’emancipazione sbandierata da media, talk show e cinema.
Si arriva persino al paradosso: gli intervistati prima sottolineano quanto sia «importante che lesbiche e gay siano a proprio agio», al quesito se si sentirebbero a proprio agio se negli spogliatoi a scuola o nelle palestre ci fossero dei compagni lesbiche o gay o se condividerebbero la stanza d’albergo in gita con un compagno gay o lesbica, l’80 per cento afferma che «preferirebbe evitare tali situazioni ».
Dai dati dell’indagine viene fuori che la maggioranza dei giovani intervistati (59,4 per cento) ritiene l’ambiente scolastico poco accogliente per persone gay. E non solo. Una percentuale del tutto simile riguarda anche il gruppo di amici, il quartiere, le associazioni di appartenenza, le attività post scolastiche. Si scende di poco anche quando si parla di accettazione tout court. Il 57,1 per cento, infatti, ritiene che l’omosessualità non sia socialmente accettata. Questi i due dati macroscopici che portano poi a giovani omosessuali con un gravissimo stato di stress, con tendenze suicide o comunque autodistruttive. «Il caso dello
studente del Tacito che non cede davanti agli insulti e alle minacce è molto raro — spiega Fabrizio Marrazzo, responsabile nazionale del Gay Center — noi siamo continuamente chiamati a mediare situazioni molto delicate di ragazzi che rimangono schiacciati da situazioni al limite della sopportazione. Faccio qualche esempio. Tra gli ultimi casi arrivati al Gay Center c’è stata la segnalazione di un ragazzo di un istituto di Roma
nord che ha tentato il suicidio perché non solo non era accettato a scuola e dal suo più stretto gruppo di amici ma era fortemente condannato anche dalla sua famiglia. Un altro caso recente quello di un ragazzo picchiato dai genitori e dai fratelli più grandi e addirittura portato dallo psichiatra per farlo “guarire” dall’essere gay. Un altro, di soli 16 anni, per la stessa ragione era stato cacciato di casa».
I contatti al Gay Center di giovani
e giovanissimi sono tanti, è proprio questa la spia del disagio, il problema personalissimo e profondo dell’accettazione della propria matrice sessuale che diventa più che mai doloroso e problematico nella prima adolescenza, coetanei e adulti visti come “nemici” ai quali bisogna sfuggire negando il proprio sentire. Alla linea di ascolto (Gay Help Line 800.713.713) arrivano così chiamate di ragazzi e studenti che denunciano
un disagio in famiglia, a scuola o tra coetanei. La linea riceve circa 20 mila contatti l’anno in Italia (il 30 per cento a Roma) di cui circa un terzo da ragazzi under 20 che lamentano o denunciano gravi problemi di discriminazione. Per lesbiche, gay o trans, il disagio nasce in primo luogo in famiglia, ma riguarda nel 90 per cento dei casi anche la scuola (se si tratta di studenti) e i vari settori sociali.
Il concetto generale, quando non si viene toccati cioè dal “problema”, pero regge. Lo stesso 80 per cento dei ragazzi intervistati ritiene che gay e lesbiche dovrebbero vivere liberamente la propria omosessualità e il 63% si trova a proprio agio con i compagni di scuola gay. Un dato questo che evidenzia come ci sia un desiderio di normalità nei confronti dell’omosessualità ma, soprattutto a scuola, resistono pregiudizi e discriminazioni.


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