Bologna, 23 marzo 2014 – “Una sentenza sconcertante, che dovrebbe mettere in allarme tutti quelli che in questo Paese hanno a cuore la tutela della libertà di espressione”: così Flavio Romani, presidente di Arcigay, commenta la condanna dell’attivista palermitano Vincenzo Rao dell’associazione Articolo 3, al quale trasmette “la piena solidarietà di tutta Arcigay”. Rao è stato condannato per aver criticato le parole con cui un pm argomentava l’impugnazione dell’assoluzione di una maestra, che aveva punito un alunno per aver dato del “frocio” ad un compagno. “C’è un paradosso insopportabile in questa vicenda – dice Romani – che mentre assimila un insulto ad una normale espressione giovanile, sanziona severamente chi rispetto a questa lettura esprime dissenso. Da un lato quindi la libertà di insultare, dall’altro il divieto di criticare. Questa sentenza non fa male solo all’attivista di Articolo 3, è una ferita per tutte e tutti: le critiche di Rao infatti non contestavano il diritto del magistrato di ricorrere in appello dopo l’assoluzione, semmai puntavano il dito sulle argomentazioni che quel pm metteva in campo, parole che minimizzavano il fenomeno del bullismo, specie quello di natura omotransfobica. “Frocio” è un insulto, non un espressione “confidenziale” in uso tra compagni di scuola: su questo Rao ha ragione ed è encomiabile la sua presa di parola per ristabilire i termini della questione. Purtroppo però l’omofobia può contare ancora su un negazionismo diffuso, culturalmente complice. E nel contempo, chi esercita un potere si mostra del tutto indisponibile a discutere delle proprie azioni, negli spazi di pubblico dibattito, dov’è giusto e auspicale che tutto venga messo in discussione. Pertanto Vincenzo Rao, dal nostro punto di vista, è vittima di una clamorosa ingiustizia”.