«Il nove agosto del 2002 ho ricevuto il diploma di donatore scelto, a rilasciare questo attestato è stato proprio Girolamo Sirchia in qualità di Presidente del’associazione "Amici del’ospedale policlinico donatori di sangue". Ho ricevuto anche ‘omaggio di un Cd musicale. Era dal 95 che donavo il sangue. Nel dicembre del 2002 il medico con cui prima di donare, circa ogni tre mesi, avevo un colloquio, un medico umano come dovrebbe essere un medico, mi ha detto visibilmente imbarazzato: "Purtroppo le devo comunicare che lei non può più essere un donatore di sangue a causa dei suoi orientamenti sessuali". Non ci potevo credere. Mi sono sentito disarmato, inerme, impotente di fronte a una profonda ingiustizia. Solo e piccolo. Era la prima volta che qualcuno o qualcosa, dal’esterno, mi considerava "da meno" rispetto a qualsiasi altro essere umano in virtù del fatto che sono gay. Subito dopo è venuta la rabbia, intensa, forte: non mi veniva più da piangere, ma da gridare. Ho sentito il bisogno di parlarne con tutti. Mi sono detto: non reagire sarebbe da mafiosi».
Bruno Di Pietro, un giovane trentenne, si rivolge al’Arcigay e Paolo Ferigo, responsabile del’Area salute, scrive una lettera al direttore sanitario del’ ospedale Maggiore di Milano, chiedendo i motivi del’esclusione, visto che dal gennaio del 2001 è in vigore il decreto del ministro Umberto Veronesi. Tale decreto (vedi sopra «in sintesi») punta ‘attenzione sui comportamenti sessuali a rischio a prescindere dal sesso dei partner, cancellando ‘errato riferimento alle presunte «categorie a rischio», frutto di quello che Gigliola Toniollo dei Nuovi diritti Cgil definisce «un vecchio penoso equivoco». La risposta della direzione sanitaria arriva nel marzo del 2003. Si dice che in data 23 aprile 2001 Girolamo Sirchia, allora primario del centro trasfusionale del’ospedale maggiore di Milano, ha chiesto al’allora ministro Veronesi ulteriori specifiche relative ai comportamenti a rischio, dichiarando che nel frattempo sarebbero stati applicati i criteri indicati dal’American Association of Blood banks.
Nel frattempo, dunque, recita la lettera, il centro trasfusionale mantiene «in vigore la policy di escludere dalla donazione le persone di sesso maschile che abbiano avuto rapporti omosessuali». Nel’attesa, in pratica, non si tiene conto del decreto. La denuncia del’Arcigay è chiara e si riaggancia a fenomeni simili in altre città: «"Il ministro Sirchia deve intervenire – dice Sergio Lo Giudice, presidente nazionale Arcigay – per far rispettare la legge. Ci attendiamo anche che corregga la posizione assunta dal Centro trasfusionale del’Ospedale Maggiore di Milano quando lui stesso ne era primario». Eppure, per un certo tempo proprio al’ospedale Maggiore il decreto non era stato ignorato.
Racconta Bruno Di Pietro: «Quando iniziai a donare nel’95 non avevo avuto rapporti sessuali. A un certo punto dovetti fare una pausa perché mi ero recato in un paese tropicale, e i protocolli prevedono una lunga sospensione. Quando ritornai, nel 2001, avevo scoperto la mia omosessualità in una relazione monogama. Ebbi un colloquio con il medico che diventò poi il mio referente abituale. Il colloquio serve per informare su possibili variazioni delle proprie abitudini.
Fu allora che, emozionato perché era la prima volta che parlavo di me, dissi: "Ho avuto rapporti omosessuali". Lui si informò di come fossero avvenuti e, appurato che erano sempre con lo stesso partner e con ‘uso del profilattico,mi disse che non ‘erano problemi. In più mi invitò a contattarlo per qualsiasi cosa. Si era istaurata tra noi una relazione di fiducia».
Nel 2002 arriva la doccia fredda. Bruno si sente tradito, ma riesce a capire che non è il medico a decidere. E poi reagisce. Animato dallo spirito che Gigliola Toniollo Cgil descrive bene: «Le conquiste che facciamo in anni di serrato lavoro quotidiano sono talmente poche che neanche per un attimo è possibile ammettere che si possa tornare indietro su nulla, tanto più su questioni tanto delicate e, una volta tanto, infine sistemate». A settembre del 2003 Bruno Di Pietro si rivolge al’Avis. «Mi visitano, mi chiedono perché non voglio più donare al Policlinico, spiego che non mi sento più a mio agio e che ho perso fiducia in loro. Non fanno domande in merito ai miei orientamenti sessuali, il colloquio è relativo solo alle mie abitudini (relazione stabile, numero e frequenza dei mie rapporti, modalità di prevenzione, ecc.). Da quel momento sono diventato loro donatore».
Bruno conosce il valore del suo gesto: «Per me donare il sangue è un modo di amare. In Italia non ‘è una cultura adeguata a riguardo. Mi occupo di bilanci sociali, so che i benefici di una comunità non sono solo di natura economica. So di essere una risorsa per la società». d.v. Bruno Di Pietro riceve un attestato di merito dal centro trasfusioni dell’OspedaleMaggiore diMilano. Poi, nonostante il decreto Veronesi, viene sospeso.