In movimento, verso dove?

  

Prima domanda? Esiste un movimento gay, lesbico, bisessuale e transessuale in Italia?. Risposta: esiste, eccome. Guai se un eccesso di critica ci portasse a sottovalutare l’importanza di quello che stiamo facendo.
Un soggetto (un individuo, un movimento politico, una comunità) acquisisce piena coscienza di sè e, a partire da questo, può pensare di cambiare se stesso e il mondo che lo circonda, se riesce a mettere in chiaro i propri punti di forza oltre a quelli debolezza.

Il movimento glbt italiano ha superato la boa dei trent’anni. Quel 5 aprile del ’72 in cui il primo gruppo del FUORI uscì allo scoperto per denunciare la psichiatrizzazione dell’omosessualità diede avvio ad un’epoca nuova. Alcuni temi tabù come la libertà sessuale, l’amore fra gay e fra lesbiche, il cambio di sesso furono posti per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica italiana. L’utopia rivoluzionaria di quel decennio travolse anche gay, lesbiche e trans, facendo fiorire tanti collettivi omosessuali e ponendo le basi per un nuovo salto di qualità nei primi anni Ottanta: nel giro di tre anni nascono l’ARCI Gay di Palermo, il Cassero di Bologna e il Mario Mieli di Roma, il Consiglio d’Europa vota — nell’81 – la raccomandazione 924 "Sulla discriminazione contro gli omosessuali", il Parlamento italiano — nell’82 – approva la legge 164 sul cambio di sesso.
Nell’’85 la costituzione dell’ARCI Gay a livello nazionale apre una fase nuova: la costituzione di un soggetto politico unitario formato da quasi tutti i gruppi gay italiani — il Mieli ne rimarrà fuori ma con un forte rapporto di collaborazione — che darà unità e visibilità al movimento gay italiano, creerà servizi sociali, culturali, aggregativi in tutta la penisola, rappresenterà un argine contro il diffondersi dell’AIDS, porrà con determinazione la questione omosessuale sui media.

Il ’94 è un altro anno di svolta. Si apre col massimo dell’unitarietà e del rilancio: Arcigay apre alla presenza organizzata delle donne e diventa Arcigay-Arcilesbica: la collaborazione positiva fra la rinnovata associazione nazionale e il circolo Mario Mieli di Roma consentirà l’organizzazione unitaria del 1° Gay Pride nazionale nella capitale. Ma durerà poco. Il movimento è cresciuto e sono emerse nuove soggettività (le lesbiche, le trans, il pensiero queer e transgender) e nuovi gruppi (Informagay, Agedo). Arcigay stessa è cresciuta, divenendo il contenitore di una complessità ormai troppo variegata, a cui fatica a dare espressione unitaria. Berlusconi ha sdoganato i post-fascisti portando al governo l’MSI e questo rende più incerta la pratica delle relazioni istituzionali in vista di riforme legislative, che era stato una delle linee portanti dell’azione di Arcigay. Come spesso accade ai movimenti a cui viene precluso un chiaro sbocco politico, il movimento glbt, come intanto inizia a chiamarsi, inizia a divorare sè stesso.

L’autonomizzazione di Arcilesbica, nel ’96, come la fuoriuscita da Arcigay di un’area antagonista, poi confluita nel tentativo non riuscito di Azione Omosessuale, sono segnali positivi di una nuova articolazione. Ma compare anche un alto tasso di conflittualità. C’è anche chi punta a minare la credibilità di Arcigay utilizzando gli organi di stampa, accusandola persino di essere un’organizzazione mafiosa e razzista nella speranza di sostituirla nella leadership nel movimento.

Saranno, quelli dal ’96 al 2001, anni di grande conflittualità interna. Questo non impedirà di ottenere risultati importanti su vari fronti: dalle 90.000 firme raccolte da Arcigay sulle Unioni civili, alla partecipazione ai primi progetti europei, dall’avvio della stagione dei corsi di formazione per insegnanti patrocinati dal Ministero dell’Istruzione fino allo storico evento del World Pride del 2000.

Intanto il movimento è cresciuto: Arcigay ha superato i centomila iscritti, ampliando non solo la rete dei circoli ricreativi — segnale di una comunità che esce allo scoperto — ma anche la rete dei circoli politici (solo negli ultimi tre anni Arcigay si è arricchita dei circoli di Cosenza, Grosseto, Pistoia, Piombino, Ferrara, Genova, Torino, Ivrea, Sondrio, Cremona, Bassano). Nuove realtà locali autonome trovano oggi un loro spazio non conflittuale ma collaborativo (penso alle esperienze di Salerno, Caserta, Pescara, Lucca).

Bari Pride 2003

Bari Pride 2003

I mezzi di comunicazione sono cresciuti fortemente: da Pride! A Gay.tv, da gay.it a Gaynews fino alle tante riviste locali e ai tanti portali gay, la comunicazione all’interno della comunità si è ampliata enormemente. Anche la presenza esterna dei nostri temi è fortemente cresciuta. E’ significativo quello che è accaduto durante le scorse elezioni europee ed amministrative: numerosi/e di candidati e candidate glbt, alcuni eletti a pieni voti, e, in più, l’impegno scritto a farsi carico dei nostri temi di decine e decine di candidati al parlamento europeo – di cui una ventina eletti/e – che ci hanno corteggiati come un pezzo di elettorato importante.

Oggi l’Italia ha una legge — per quanto insufficiente — contro le discriminazioni antigay sul lavoro. Numerose regioni stanno inserendo l’orientamento sessuale nei loro Statuti. Il 51,6% degli italiani è favorevole al matrimonio civile fra gay e fra lesbiche. Questi mutamenti non sono avvenuti da soli. In questo contesto, considerare morto il movimento è frutto di miopia politica.

Il movimento glbt italiano è una realtà in crescita come impegno dei militanti, senso di responsabilità, visibilità diffusa; ha prodotto una rivoluzione culturale nel paese, si è collegato in modo solido con lo scenario glbt internazionale tanto da essere fortemente presenti nei programmi antidiscriminatori dell’Unione Europea e da esprimere il copresidente di ILGA Europe. Contiamo nostri rappresentanti in Parlamento e nelle amministrazioni locali. Ogni forza politica ha, nel bene o nel male, una sua posizione sui nostri temi. Ogni quotidiano esprime su di noi una propria linea editoriale.

Cos’è che non va?

Cos’è che non va, allora? Anche qui la lista è lunga. Il rapporto fra le diverse realtà del movimento, per esempio.
Esiste un elemento unitario molto forte all’interno del movimento, che si chiama Arcigay. Trentacinque circoli politici in altrettante città sono un elemento di unità che non trova confronto in Europa. Questa rete di circoli, pur mantenendo una loro autonomia su diversi aspetti, elegge i propri organismi dirigenti nazionali allargati, si incontra periodicamente, assume decisioni in modo democratico, definisce le linee politiche e programmatiche dell’associazione.

E’ una rete che produce progetti culturali e servizi sociali, aggregazione e supporto psicologico, presenza politica e visibilità diffusa sul territorio. Che oggi è un punto di riferimento importante anche per numerose lesbiche (sono cinque le donne presidenti di nostri circoli) e che, nello stesso tempo, ha un ottimo rapporto di collaborazione con Arcilesbica.

Toscana Pride 2004

Toscana Pride 2004

Si può non essere d’accordo con le scelte che questa rete assume, ma non si può negare l’importanza di questo lavoro o fare finta che non siano scelte assunte in modo democratico dalla maggior parte dei gruppi gay italiani uniti in associazione. Né si può ridurre Arcigay ad una rete di bar e discoteche, rete che esiste e che svolge una funzione importantissima di aggregazione sul territorio ma a cui non si può certo ridurre la complessità di interventi di Arcigay. Chi lo fa — e c’è chi continua a farlo anche in questi giorni, diffamando l’associazione su mailing list e giornali — è in mala fede ed antepone i propri interessi particolaristici e le proprie frustrazioni all’interesse del movimento.

Esistono altre associazioni che svolgono funzioni analoghe, come Arcilesbica che ha scelto la stessa strada di dare forza ai gruppi territoriali attraverso l’unità. Sono sorte altre reti nazionali, come il Coordinamento dei gay credenti, il CODS, l’Agedo, ma anche GayLib e il Fuori! di cui, nonostante qualche episodica incomprensione, riconosciamo il ruolo non facile.

La questione si fa più complessa nel rapporto fra realtà territoriali autonome o fra queste e le realtà nazionali. E’ lì che va trovata la chiave delle eterne incomprensioni interne al movimento italiano.
C’è una variabile importante che è quella del binomio riformismo/antagonismo. Ma in sè non è portatrice di conflitto interno se non nel senso positivo del termine. Se, ad esempio, Antagonismo Gay di Bologna non condivide scelte considerate poco radicali da parte del Cassero, ci si confronta, pone i propri temi, propone percorsi e realizza proposte alternative. In altri contesti, al contrario, se qualcuno gay non condivide che una proposta politica diventi tema di un pride unitario, prende carta e penna e accusa pubblicamente il resto del movimento di essere conservatore in quanto chiede il riconoscimento giuridico delle coppie gay. Nel primo caso il movimento si rafforza nella pluralità, nel secondo caso si indebolisce nella rissa.

Non ho citato per sbaglio un caso romano. Oggi sono diverse le realtà in cui ci sono frizioni fra diverse realtà territoriali ma in cui, alla fine, il dato unitario tende a prevalere, per senso di responsabilità di tutti. Penso a Torino, dove associazioni molto diverse hanno trovato un equilibrio e realizzato conquiste importanti. Penso a Milano, dove la complessità delle realtà locali non ha impedito che in questi anni si portassero avanti progetti unitari importanti come gli stessi Pride.

Oggi il tema dell’unità del movimento a livello territoriale ha come suo punto più debole la capitale ed è una responsabilità di cui tutti e tutte, nessuno e nessuna esclusi, devono farsi carico.

Verso dove?

Le risposte, a mio parere, non vanno trovate sul piano organizzativo ma politico. Sul piano dell’organizzazione, è bene che ogni asociazione percorra le forme che considera più adeguate.
Per quanto ci riguarda, il modello più democratico e più efficace di unità fra circoli glbt che io conosca è quello praticato dentro Arcigay. Noi abbiamo superato da tempo un assemblearismo inefficace che ancora oggi, purtroppo, tende a riemergere in vari tentativi di coordinamento delle realtà del movimento. Si tratta di una modalità operativa che impedisce processi decisionali, crea malumori e lascia che a decidere siano in pochi.
Da parecchi anni abbiamo sostituito a questa una formula molto più efficace e democratica, quella di un organismo dirigente nazionale allargato, democraticamente eletto e rappresentativo della complessità dell’associazione.

Le scelte di Arcigay sono scelte democratiche in ogni senso, al contrario di quelle di alcuni gruppi che hanno come unica ragione sociale quella di attaccarci e in cui spesso la dirigenza e la base coincidono nella stessa persona. Noi siamo disposti ed interessati a relazionarci con le realtà che abbiano le stesse caratteristiche di democraticità e che queste caratteristiche ci riconoscano. Siamo interessati a farlo su temi, impegni, eventi specifici, a partire dalla piena autonomia di ognuno ma anche da una chiarezza di fondo su un percorso comune.

World Pride 2000

World Pride 2000

Città come Roma, Milano, Torino sono stati e devono continuare ad essere laboratori sul terreno del rapporto fra realtà diverse. La prevalenza di determinate caratteristiche (culturale, sociale, politica, aggregativa), la scelta fra un atteggiamento trasversale, com’è il caso di Arcigay, e l’organicità ad un partito (come per i CODS o il GLO), la caratterizzazione tematica (dai gay credenti ai gruppi studenteschi), le modalità di pratica politica e di relazioni con le altre realtà (dai partiti, alle associazioni, ai social forum) producono una complessità della nostra azione sul territorio che è bene che vada mantenuta. Criticarsi a vicenda per le diverse posizioni o pratiche politiche è miope ed infantile. Nessuno di noi è una istituzione da santificare o da tentare di abbattere. Siamo libere associazioni di persone che decidono democraticamente dove andare e come farlo. Il rispetto di questo è la precondizione essenziale di ogni relazione.

Ci sono, invece, due terreni in cui trovare un elemento di unità è molto importante. Entrambi riguardano la rappresentazione esterna del movimento: il primo riguarda gli obiettivi politici prioritari, il secondo la presenza in piazza.

Per quanto riguarda il primo punto, la grande convergenza di quasi tutto il movimento sulla centralità strategica della richiesta di una legge sul PACS mostra che questa è un’esigenza sentita. Questo non è l’unico tema per nessuno: su altri obiettivi, dalle norme antidiscriminatorie alla legge sulla fecondazione assistita alla piccola soluzione per il cambio di sesso, c’è già una consonanza di fondo che è bene vada rafforzata. Sul tema del riconoscimento delle coppie gay la manifestazione del 14 febbraio a Roma, a cui hanno aderito praticamente tutte le sigle, mostra che un’unità può esserci ed è un’unità che ci lega a tutti i movimenti glbt europei che di questo punto hanno fatto la questione centrale.

Arcigay ha proposto una ipotesi a cui le sigle italiane hanno aderito come mai prima: quella di una legge alla francese, esterna al matrimonio e perciò più facile da ottenere nella difficilissima situazione italiana. Potranno esserci, certo, differenze nel modo in cui ognuno e ognuna di noi interpreta questo tema e la sua centralità, ma c’è stata una forte convergenza sull’opportunità politica di questa proposta.
Si può non essere d’accordo, certo, ma la mia impressione è che spesso il disaccordo sui contenuti nasconde l’obiettivo di marcare, magari sulla stampa, un protagonismo individualista che, quando diventa sterile critica sulla stampa al lavoro altrui, diventa un danno per il movimento.

L’altro terreno è il Pride. Gli ultimi anni hanno mostrato una sostanziale tenuta della nostra capacità di portare in piazza ogni anno decine di migliaia di persone. Tuttavia, non c’è stato quel salto di qualità che ci permettesse di avvicinarci stabilmente alle prove di forza che ogni anno i movimenti europei riescono a mettere in campo.

E’ necessario un cambiamento. Una delle strade possibili, e che considererei utile, è quella di accordarci su un unico Pride nazionale che, ogni anno, possa raccogliere l’intero movimento in un unico luogo. Troviamo una nuova sintesi fra le diverse esigenze in campo, tutte legittime: la richiesta che il Pride si faccia nella capitale, la pratica del pride nazionale itinerante, l’ormai tradizionale pride di Milano. Se ognuno sarà disposto a rinunciare a qualcosa in cambio dell’unità, si potrà aprire una nuova fase di collaborazione attiva fra le organizzazioni nazionali e locali e le realtà che hanno maturato esperienze nell’organizzazione dei Pride. L’importante è lasciarci alle spalle atteggiamenti di rancore e lavorare con spirito positivo a costruire le nostre scelte future.

Sergio Lo Giudice,
Presidente nazionale Arcigay
Roma, 2 luglio 2004


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