L’incredibile storia dell’ex capo segreteria di Fisichella…

  

In Italia non ci sono né ci sono mai state leggi che discriminino le persone secondo la propria inclinazione sessuale. Non lo diciamo solo per consolare il nostro disadorno presente o per rallegrare il nostro ben più malinconico futuro ma perché è, a nostro parere, un dato storico che rivela almeno due caratteristiche del nostro paese: sinceramente e scanzonatamente indifferente e tollerante, profondamente e ingannevolmente ipocrita ma sempre pronto a una certa ferocia punitiva. Nessuna legge dunque ma, spesso, tumulti e tragedie familiari, devastanti tormenti psichici, ostilità, tensione e derisione sui luoghi di lavoro, silenzi ricattatori, sottintesi minacciosi, svillaneggiamenti.

Domenico Fisichella

Domenico Fisichella

A volte anche peggio. Facciamo un esempio: a pagina 75 del numero di Panorama uscito in edicola il 2 luglio scorso (n. 28 per chi si volesse documentare), a corredo di un servizio sulle notti dell’estate romana, viene pubblicata una foto scattata al Gay Village, manifestazione che per la seconda estate consecutiva ha spopolato la capitale radunando omo, etero, bi, confusi, indifferenti, nervosi, sudati, perfino famigliole in cerca di un filo d’aria nell’afa estiva. La foto incriminata ritrae dall’alto un gruppo di ganzi (ma è distinguibile anche una donna) quasi tutti a torso nudo: due si sbaciucchiano, due sono in procinto, altri si affollanno. Davanti, di passaggio, un giovane uomo con tanto di maglietta che si sta guardando attorno con l’impressione di cercare qualcuno. Quel signore è Dario Mattiello, capo della segreteria di Domenico Fisichella.

Il dottor Mattiello è ospite del Gay Village con un gruppo di amici ed amiche che ha perso di vista e che sta cercando in mezzo alla ressa. Il fotografo Luigi Narici dell’agenzia Agf e che per altro ignora chi sia quel signore, scatta decine di foto da vendere ai giornali. Fin qui nulla di eccezionale.

Quando però il numero di Panorama cade sotto gli occhi del Sen. Fisichella, manca poco che provochi un colpo apoplettico al vicepresidente del Senato che evidentemente considera quella foto prova di un crimine. Se non di un crimine, di un peccato.

Se non di un peccato di un’indecenza e comunque poco atta, disdicevole, disgustosa, scegliete voi. La domenica successiva all’uscita del settimanale, Fisichella parla come di consuetudine al telefono con il suo capo segreteria che lavora nel suo staff da otto anni con meriti che tutti — Fisichella in testa – gli hanno sempre e ampiamente riconosciuto.

Nessun cenno alla foto. Martedì 6 luglio, però, Fisichella algido, altero, distaccato e inquisitorio come solo lui sa esserlo nello stesso momento, non riesce più a contenersi e dà vita a una sorta di tribunale della Santa Inquisizione, sorpresa mista a disgusto e pistolotto moralisteggiante (“queste cose non si fanno”) contro il suo funzionario reo di essere passato (vestito, vestitissimo, lo giuriamo; composto, compostissimo, potete verificare) davanti al flash di un fotografo in una festa pubblica. Insomma, la vicenda si conclude con una severa reprimenda, un compitino (“mi prepari una relazione scritta”) e un consiglio: “se ne stia a casa tre giorni per far decantare la vicenda”. Cosa ci sia da decantare, da depositarsi, da depurare francamente, persino noi che ingenui non lo siamo mai stati nemmeno quando ciucciavamo il seno materno, non riusciamo davvero a capirlo. Comunque, il dottor Mattiello, stordito più di noi che raccogliamo il racconto, esegue.

Senza che ciò serva a molto. Un paio di giorni dopo un collaboratore della segreteria di Fisichella lo chiama e gli annuncia una lettera firmata dal grande-capo-indignato in cui gli si dà il benservito. Lettera che puntualmente arriverà. Via, licenziato, fuori dalle balle! Nessuna giustificazione, s’intende.

Solo un benservito freddo e telegrafico.

Fisichella, del resto, non si degnerà nemmeno di parlare con l’uomo che per molti anni lo ha seguito in un compito così delicato. La morale? Non c’è. Oppure, sceglietela voi.


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