Gay sì, ma ancora diversi

  

24 ottobre 2004

Un bacio del Kiss2PACS del 14 febbraio 2004

Un bacio del’Kiss2PAC’ del 14 febbraio 2004

Speranza, orgoglio, fiducia nel fu­turo. Quasi per paradosso sono le sensazioni che è più facile cogliere in queste settimane fra gli omo­sessuali del nostro paese, fra i va­ri leader delle associazioni che innervano la Penisola ma anche nel popolo più giovane e meno politicizzato di gay e lesbiche che camminano mano nella mano sotto i por­tici di Bologna e si abbracciano fieri nei bar milanesi dei Navigli o nei turbinosi pub di Roma. Ed è probabilmente ‘indignazione abbastanza diffusa sollevata nel’opinione pubblica dal doppio epiteto con cui li han­no bollati due ministri della Repubblica, «peccatori» per Buttiglione, «culattoni» per Mirko Tremaglia, ad aver confermato nel mondo omosessuale la sensazione che ormai la gente è dalla loro parte e che è la politica, o almeno una certa politica, a es­sere indietro anni luce rispetto alla società.

Riflette benissimo questo stato ‘animo Elisabetta Biagetti, una donna di 44 anni, cresciuta a Terni, ma che da tempo vive a Bologna dove è presidente di Arcilesbi­ca. «Quando a 16 anni mi sono accorta che mi piacevano ragazze la vita eri molto dura. Ma ormai ‘Italia è cambiata profon­damente e ‘omo­sessualità è entrata a far parte del costume. Se due sedicenni si baciano per la strada nessuno si volta di certo a guardarle non ‘è più bisogno di nascondersi nelle associazioni e nei club privati, come dovevo fare io. Oggi quelli che si indignano sono davvero una minoranza».

Ma è veramente così? Non è un p’ troppo ottimistico ‘atteggiamento che fa dire a Luca Colorini, uno studente di Scienze po­litiche di 22 anni che «la mia omosessuali­tà non mi pone assolutamente nessun pro­blema, il mio gruppo di amici è soprattut­to etero e tutti in giro mi accettano per quel che sono»?

E avrà ragione fino in fondo Lu­ca Trappolin, un sociologo che ha appena pubblicato u’accurata indagine sui Gay Pride e sul’effetto evolutivo che hanno sul costume italiano ("Identità in azione", Ca­rocci), a sostenere che gli anni Settanta, con i loro interdetti e con ‘omosessualità con­siderata da molti psichiatri come una de­vianza sono lontani anni luce? Le indica­zioni che arrivano da un sondaggio realizzato dalla Swg per "L espresso" sono un p’ meno rassicuranti e riservano sorprese non proprio di segno positivo. Secondo questa indagine, ‘accettazione piena del’omosessualità si è realizzata su un solo piano, quello del linguaggio. Quasi ’80 per cento degli italiani, infatti, quando parla di loro, li indica con i termini corretti di gay e di omosessuali. Sono solo piccole mino­ranze, perlopiù maschili, a usare il campio­nario di termini dispregiativi a cui ha attin­to Mirko Tremaglia, mettendolo nero su bianco in un comunicato del suo Ministe­ro, senza che peraltro il governo abbia fat­to una piega.

Quando però si domanda agli intervistati come considerano i gay si scopre con una certa sorpresa che solo una maggioranza di misura, il 56 per cento, li considera appun­to persone normali. E se sono pochissimi, il 2 per cento, quelli che sulla scorta di But­tiglione li vivono come "peccatori", per quasi il 40 per cento si tratta ancor oggi di "malati" o addirittura di "deviati". Se poi si va a chiedere una valutazione su come la pensano in generale gli italiani il quadro peggiora ancora: solo un quarto, secondo gli intervistati dalla Swg, li considererebbe "normali".

Bisogna dire che invece è deci­samente diverso ‘atteggiamento dei giova­ni. L’82 per cento di chi ha meno di 24 an­ni accetta pienamente gay e lesbiche, e an­che le donne hanno u’opinione più favo­revole rispetto agli uomini. Insomma, ‘è u’opinione pubblica in movimento, che però è ancora condizionata da un notevo­le zoccolo duro di pregiudizi e di interdet­ti. Come ‘altra parte fa vedere anche la percentuale decisamente alta, 61 per cento, di chi nella vita di tutti i giorni ammette di non frequentare nessuna persona di orien­tamento omosessuale. Che la condizione dei circa tre milioni di omosex italiani sia oggi come un cantiere aperto, dove tutto è in via di definizione, lo dimostrano ‘altra parte le migliori ricer­che uscite in questi anni. In "Diversi da chi?", u’indagine sui gay torinesi a cura di Chiara Saraceno, molti degli intervistati, sia maschi che femmine, raccontano che al­meno una volta nella vita sono stati fatti og­getto di violenze e insulti. E il 50 per cento dei gay maschi dichiara di essere stato tor­mentato e isolato a scuola dai compagni, pronti a trasformarsi in persecutori dei ra­gazzi che non rispettano i codici di com­portamento maschili (ma solo il 10 per cen­to delle donne ha vissuto esperienze simili). Anche dal mondo del lavoro continuano ad arrivare segnali preoccupanti. Se si sono fatte più rare le discriminazioni aperte, con la flessibilità e la precarietà degli impieghi, è in realtà molto più facile mettere da par­te chi non va a genio al dirigente o al dato­re di lavoro, senza che ci sia bisogno di tan­te spiegazioni.

Secondo Maria Gigliola To­niollo, responsabile del settore Nuovi di­ritti della Cgil, un ufficio nato 15 anni fa in seguito alla denuncia di un impiegato di banca, sospeso dal lavoro per aver sfilato con un cartello a una manifestazione gay, «’aria da molte parti è pesante. Gli omo­sessuali lamentano spesso di essere oggetto di battutacce, di ammiccamenti o addirit­tura di mobbing. Per le donne poi ‘aggres­sione si traduce spesso in molestie sessua­li». E non è facile difendersi, visto che non­ostante una direttiva europea di contenuto opposto, in Italia anche in questi casi il complesso onere delle prova continua a spettare a chi è stato molestato. La verità è che in questi anni a essere cam­biati in modo ben più radicale del’am­biente che li circonda sono stati gli stessi omosessuali, ormai molto lontani non so­lo dai vecchi frequentatori dei ragazzi di vi­ta alla Pasolini, ma anche dal travestitismo esibito e provocatorio dei Gay Pride.

«In passato si facevano lotte rivoluzionarie per affermare a tutti i costi una diversità. Oggi i gay aspirano più spesso alla normalità. Se sono in coppia si preoccupano della mutua, del’eredità, delle detrazioni dalle tasse. Si stanno rendendo conto che è indispensabi­le aprire un varco nel muro dei diritti civili negati», dice Ezio Menzione, il battagliero avvocato pisano che è uno dei difensori preferiti nel mondo omosessuale. E in que­s’ottica che Antonio e Mario – la coppia di Latina che due anni fa si era sposata in Olanda – gli hanno chiesto di far trascrive­re il loro matrimonio nel nostro paese. Ov­viamente sarebbe stata u’azione solo formale, priva di conseguenze giuridi­che. Ma proprio in questi giorni il mi­nistero del’Interno ha respinto la do­manda, sostenendo che si tratta di un atto «contrario al’ordine pubblico «Ma quale sovversione può mai esserci in un atto ‘amore?», si chiede Ezio ­Menzione, che si prepara a impugnare il provvedimento davanti al Tar. E anche questo episodio può essere uno dei tanti segnali che la strada per essere rico­nosciuti a pieno titolo è ancora piuttosto fatico­sa. Due domande del sondaggio della Swg ri­guardano appunto le unioni omosessuali. Viene fuori che al matri­monio è favorevole solo il 33 per cento, una per­centuale più bassa di quel che risultava da u’indagine Gallup del­’anno scorso, dove co­munque ‘Italia, con il 47 per cento di opinioni a favore, era in coda ri­spetto al 57 per cento della media europea. Piuttosto risicato, vi­sto che non arriva neanche al 50 per cento, è perfino il sì al ben più modesto riconosci­mento delle coppie di fatto, che funziona da tempo in molti altri paesi, e che in prece­denza aveva avuto un gradimento più alto.

Secondo Franco Grillini, ‘uomo immagine di Arcigay, primo firmatario di una propo­sta di legge sui Pacs che i Ds hanno fatta propria, è anche a causa della campagna in­sistente della Chiesa se ‘opinione pubblica ha questi sbandamenti. A indignare Grilli­ni è poi il fatto che vari prelati, fra cui proprio in questi giorni il cardinal Marti­no, usino come uno spauracchio contro i diritti dei gay il delicato problema delle adozioni, a cui è contraria la grande mag­gioranza degli italiani e che anche in Euro­pa ha u’accettazione media solo del 42 per cento. «Ma nemmeno noi pretendiamo di poter adottare i bambini, non fa parte di nessuno dei nostri programmi. D’altra parte oggi non chiediamo nemmeno il matrimonio, anche se è una prospettiva a cui non possiamo rinunciare. Diventeremmo degli esclusi, cittadini con diritti dimezzati, come i neri d’America al tempo della segregazione”, dice Franco Grillini Sul matrimonio non ‘è concordia nemme­no fra gli stessi omosessuali. U’ala più ra­dicale, anche se ormai in netta minoranza, continua a rifiutarlo come u’omologazio­ne ai modelli etero. Ma il fatto che sia di­ventato lecito nella Spagna di Zapatero, un paese così simile al nostro, ha in qualche modo riaperto i giochi.

Per Delia Vaccarel­lo, una delle voci più originali del mondo lesbico, che cura un paginone di argomen­ti omosex su "’Unità", «il riconoscimento legale delle nostre unioni è anche un modo per ottenere una maggiore legittimazione sociale. È un p’ come ai tempi del divor­zio, che aveva permesso a tante di non sen­tirsi più delle svergognate fuori leg­ge». Altri invece sostengono che il modello della convivenza omoses­suale, più paritaria e basata sulla so­lidarietà, potrebbe addirittura ri­strutturare ‘istituto un p’ vecchiot­to del matrimonio etero. Che in effet­ti oggi corrisponde ben poco al modello caro a Buttiglione del marito che "protegge" la moglie, ma è sempre più u’unione fra uguali. Al di là di qualunque sondaggio ‘è poi un diritto a cui sempre meno il mondo delle lesbiche, è disposto a rinunciare ed è la maternità.

In questi anni è cresciuto silenziosamente ‘esercito delle mamme gay, sia che abbia­no portato nella nuova convivenza con una compagna un fi­glio avuto in precedenza, sia che lo abbiano messo al mondo con un rapporto occasionale e mi­rato o con la fecondazione assistita. Re­centemente hanno dato vita anche ad u’associazione nazionale. E una ventina di coppie lesbo si sono rivolte a Ezio Men­zione, ‘avvocato dei gay, perché trovi un grimaldello giuridico per riconoscere legal­mente la figura della "seconda madre", co­me succede in Inghilterra e come hanno sta­bilito sentenze recenti in Spagna e Francia. «Non sarà di certo facile ma è una batta­glia a cui non si può rinunciare», dice Men­zione. Convinto come molte e molti che sempre di più il grado di civiltà di un paese si misurerà anche sulla accettazione verso i cittadini una volta "diversi".

(ha collaborato Fiamma Tinelli)


E La Camera non sta a guardare

Parlamento e governo non sembrano molto in sintonia sulle coppie di fatto. Mentre infatti il Consiglio dei Ministri ha impugnato lo Statuto della Toscana e di altre regioni perché prevedevano forme dì convivenza non fondate sul matrimonio, la commissione Giustizia della Camera sta muovendo i primi faticosi passi che potrebbero portare al loro riconoscimento. La maggior parte delle cinque proposte di legge sulle coppie di fatto in esame alla commissione Giustizia vengono dal’opposizione, a cominciare dal testo che ha come primi firmatari il presidente onorario del’Arcigay Franco Grillini e la responsabile delle donne Ds, Barbara Pollastrini, alleati per ottenere finalmente il Pacs, il Patto civile di solidarietà. ‘è poi un testo di Katia Bellillo dei Comunisti italiani e di Enrico Buemi dello Sdi. Ma anche la maggioranza è presente sul tema con le proposte di Chiara Moroni del Nuovo Psi e di Dario Rivolta di Forza Italia. Si tratta di testi piuttosto prudenti. Il progetto Rivolta, per esempio, si preoccupa di specificare che «il patto non attribuisce uno status familiare» e quindi non dà nessun diritto al’adozione, particolarmente invisa alla Chiesa. II testo di Grillini definisce ‘unione di fatto come «convivenza stabile e continuativa fra due persone, di sesso diverso o dello stesso sesso, che conducono una vita di coppia». Il Pacs in sostanza consiste nel redigere davanti a un ufficiale dello Stato civile un accordo dove i due conviventi regolano le questioni legate alla vita in comune. Ma assicura anche che a queste coppie si estendano varie garanzie proprie del matrimonio, in particolare riguardo al patrimonio, al’eredità, allo scioglimento dei rapporto, alle detrazioni fiscali. Stabilisce anche la possibilità di subentrare nel contratto ‘affitto in caso di morte dei partner o di prendere decisioni in caso di malattia. Qualcuno ha criticato il Pacs come «un matrimonio di serie B». Ma come dimostra anche il successo che ha avuto in Francia, si tratta piuttosto di un modo diverso di stare assieme, e non solo da parte delle coppie omosessuali.


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