A febbraio del 2005 Playground pubblicherà Rachid O., scrittore di punta della casa editrice francese Gallimard. Collocati all’interno della prestigiosa collana ‘L’Infini’, diretta dal “guru” dell’editoria francese Philippe Sollers, libri di Rachid O. sono regolarmente ripubblicati in edizione economica, segno di una popolarità ormai consolidata tra i lettori francesi. A questa si accompagna la stima di una critica tradizionalmente agguerrita. Per tutti un estratto di René de Ceccatty apparso su Le Monde: “La dolce brutalità, l’intelligenza, la sensibilità di Rachid O. hanno consentito alla letteratura di impadronirsi con calma e precisione di realtà sessuali e sociali grazie al il filtro di un individuo lucido, sentimentale che ha un rapporto naturalmente poetico con il mondo e che lavora sulla scrittura con una libertà che tuttavia non sopprime il rigore del pensiero”.
Rachid O. è il primo scrittore marocchino a parlare apertamente di omosessualità. Ormai stabilmente in Francia dal 1990, Rachid O. è il primo autore maghrebino a raccontare apertamente la propria esperienza di adolescente omosessuale in un paese arabo. E come sottolinea Maati Kaabal ne Le Monde diplomatique “bisognerà attendere anni per comprendere l’impatto di questa ammissione, che ha un valore anche etnologico”. Oltre ad un indubitabile valore letterario, i libri di Rachid O. hanno il merito di catapultarci in una realtà, quella maghrebina, che spesso ci è del tutto sconosciuta nei suoi riferimenti ideali, come nella sua quotidianità più minuta. I libri di Rachid O, e in particolare, Cioccolata calda, raccontano con l’ingenuità straordinaria di un adolescente le strade, i mercati, gli odori e i sapori, ma anche la formazione, le passioni e le paure dei giovani marocchini.
La trama di Cioccolata calda
Il protagonista, un giovane marocchino, evoca la propria infanzia e la propria adolescenza ed esordisce con una struggente dichiarazione d’amore al padre e alla seconda compagna del padre che lo ricambiano con identica intensità. La madre è morta quando lui aveva due anni durante il parto del fratello più piccolo. “Per avvicinarsi a lei” in segreto, nella stanza dove è avvenuta la tragedia, si traveste come se fosse ‘incinto’ e mima davanti allo specchio questa scena fatale, facendo scorrere del mercurocromo sulle proprie cosce. Il narratore, che ha una forte somiglianza con l’autore, sogna di un amore eterno con un ragazzino biondo della sua età, Noé, figlio di una famiglia francese presso la quale la compagna del padre aveva lavorato in passato. Per lui la felicità massima sarebbe quella di bere insieme a Noé una cioccolata calda, il simbolo della Francia. Il protagonista ha visto una foto di Noé ma si impegna affinché lui torni in Marocco; quando ciò accadrà però prenderà consapevolezza di essersi innamorato di un altro ragazzo che insieme alla figura del vecchio cieco lo accompagnano nel suo processo di maturazione.
Rachid O. è nato nel 1970 a Rabat, Marocco. Nel 1990 si è trasferito in Francia.
Ha esordito con L’enfant ebloui (1995), cui sono seguiti Plusieurs vie (1996) Chocolat Chaud (1998) Ce qui reste (2003).
Cioccolata calda di Rachid O.
Playground, collana Madrelingua gay
Є 11,00
Pg 92
isbn 88-89113-09-X
Estratto da Cioccolata Calda di Rachid O.
Andare a scuola mi piaceva. O meglio, mi piaceva la strada, quando di colpo mi fermavo, pieno di gioia, perché all’improvviso avevo visto una forma strana, di un colore più sorprendente di quello della terra, e pensavo di aver fatto una scoperta. A volte era una pietra che non somigliava alle altre, o un pezzo di fil di ferro, e allora la mia cartella non si riempiva soltanto di quaderni e matite. Mi piaceva l’albero gigante piantato in mezzo al cortile della scuola, intorno si apriva un cerchio di giardinetti, mi piaceva perché ogni settimana cambiavano i fiori, i colori. Il nostro giardiniere, che era anche bidello, se ne occupava con molta cura, i muri erano gialli, giallo uovo. Il cortile non era pavimentato ma la terra era liscia, tanto il giardiniere la spazzava e la bagnava. Mi piaceva l’odore che sprigionava. In autunno era meno curato, con le foglie che cadevano dagli alberi alti e dall’eucalipto gigante. Io spesso camminavo avanti e indietro, oppure mi andavo a sedere su una grossa pietra dove facevamo merenda. La strada era lunga da casa mia alla scuola e questo mi piaceva. Anche se il mio unico pensiero era raggiungere in fretta mio padre e la mia Lalla, e correvo.
Mi fermavo spesso, come inchiodato, davanti al negozio Hitachi. In quella vetrina c’erano un sacco di tv e io a casa non ne avevo nemmeno una. Guardavo tutti gli schermi saltando da un’immagine all’altra. Le primissime volte non osavo avvicinarmi, perché credevo che per guardare bisognasse pagare e io di spiccioli con me non ne avevo. Presto però ho capito che era gratis e piazzarmi lì in mezzo agli altri ragazzi e uomini è diventata un’abitudine, scivolavo tra i corpi per mettermi il più vicino possibile agli schermi. Grazie al riflesso nella vetrina potevo anche sistemarmi i capelli crespi che Lalla passava il tempo a pettinarmi con la riga, una riga che non risaltava. Mi faceva ammattire.
Le lezioni mi piacevano. Anche se non andavo né bene né male, mio padre trovava sempre il verso di farmi venire voglia di andarci. Mi aiutava a fare i compiti, e io pregustavo in anticipo il suo modo di insegnare, più di tutto mi piaceva l’istante in cui gli appoggiavo un braccio sulla spalla per seguire e ascoltare la lettura di un testo, lui ha un bella voce. Non sapevo cosa volevo fare da grande, sapevo solo amare, primo fra tutti mio padre che mi ha insegnato che ogni uomo nella vita si fa in quattro per la propria felicità, mentre lui si dava da fare per la mia. Io volevo solo essere capace ad amare e avere il dono di farlo, e la persona che per me contava di più e che volevo ne godesse, tra quelle presenti nella mia vita, era mio padre. Volevo diventare un esperto, avere questa capacità, come quelli che hanno l’orecchio musicale o una mano per dipingere. Volevo avere un cuore enorme pieno d’amore per mio padre, e non soltanto suscitarlo in lui. Mi è difficile esprimere questo amore. Non possiedo una definizione, non somiglia a niente, di questo sono sicuro. Semplicemente, amo mio padre quanto lui ama me.
Mio padre aveva l’abitudine di inventarsi dei modi per farmi star bene, di evitarmi tristezze anche sciocche e senza motivo, e a me piaceva tanto quando faceva di tutto per partecipare alla mia gioia più da vicino possibile, ho sempre adorato quell’intimità totale che riuscivamo a raggiungere insieme, ascoltarlo, parlargli, parlare tra di noi. Mi piaceva quando mi accarezzava le orecchie, che a sentire lui erano morbide, quando ridevamo insieme, quando scherzavamo su Lalla, mi procurava un piacere inebriante, rassicurante e sereno. Pensare a mio padre e parlare di lui è una gioia, sapere che esiste, e aspetto il giorno magico in cui avrò l’occasione di restituirgli tutto il bene che mi ha dato e che ancora mi dà, e vorrei non finisse mai. Il mio adorato papà. Provo un piacere immenso nel dire “mio”, e un piacere immenso nel dire “papà”.
Intervista a RACHID O. – TÊTU MAGAZINE, 1999
Parliamo del tuo esordio?
Ho cominciato a 24 anni, non avevo la vocazione per la scrittura, non l’ho mai avuta. È stato un amico ad aiutarmi, ha battuto i testi al posto mio e poi senza dirmelo li ha inviati a Sollers che mi ha pubblicato nella rivista ‘L’Infini’. Sollers poi mi ha scritto di scriverne altri per farne una raccolta pubblicata con il titolo L’enfant ebloui.
Pensi di rientrare nella tradizione dei ‘raccontatori’ arabi, una tradizione prettamente orale?
Si, non c’è dubbio. Non so esattamente cosa significhi scrivere ma so come si racconta una storia.
In che misura Cioccolata calda è autobiografico?
La storia del parto è vera ancorché possa sembrare inverosimile e inventata. Ma nel raccontare questi particolari della mia infanzia non ho la sensazione di violare la mia intimità perché questa storia sarebbe potuta capitare anche ad altri. Io non racconto mai ciò che più tardi potrebbe ferirmi. È un atteggiamento che ho ereditato da mio padre. Un giorno dissi a mio fratello “non è opportuno lamentarsi”.
Anche tu da piccolo eri affascinato dalla Francia, come l’eroe di Cioccolata calda?
Si, ma è così per tutti gli adolescenti marocchini. Subiscono una forte fascinazione per l’Occidente e soprattutto per la Francia. Da bambino la Francia per me era un mito. Ho una relazione strana con la Francia e paradossalmente questi miei due libri hanno chiarito questa relazione creando però una distanza tra la Francia e me.
La tua omosessualità aveva a che fare con il tuo desiderio di stabilirti in Francia?
No, non sono venuto in Francia per vivere la mia sessualità come un qualsiasi ragazzo francese della mia età. Se si arriva da Marocco e si vedono per strada due uomini che si tengono per mano questo è sicuramente commovente. Ma anche i gay marocchini mi commuovono: la loro rassegnazione, la loro abitudine a vivere con ciò che hanno, la loro sessualità rubata, non hanno l’idea tipica dell’Occidente di trovarsi un compagno con cui condividere la vita. La coppia non è il loro obiettivo.
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