Da "Liberazione" del 22.04.05
Benedetto XVI porta il nome di Joseph Ratzinger. Si chiudono qui le attese di chi aveva sperato che il papato di Karol Wojtyla, lungo ponte fra due secoli, avrebbe lasciato il passo ad un pontificato di segno nuovo, più attento ad interpretare – come la chiesa di Roma fa lentamente da duemila anni – la realtà umana e i suoi cambiamenti.
Alcuni segnali — primo fra tutti il recente scontro fra la conferenza episcopale spagnola e la curia romana sull’uso del preservativo — avevano fatto pensare che i fermenti sui temi dell’etica sessuale e familiare che agitano il corpo della chiesa cattolica avrebbero prodotto una correzione di rotta. L’elezione al soglio di Pietro del prefetto della congregazione della dottrina della fede, il più rigido custode dell’ortodossia dottrinaria, indica che l’appuntamento con la storia è rimandato.
Quando il cardinale Ratzinger, nell’ottobre 1986, firma la lettera “sulla cura pastorale delle persone omosessuali”, mette in guardia i vescovi da interpretazioni eccessivamente benevole. Se la condizione omosessuale non è in sé peccato, rappresenta una tendenza verso un comportamento moralmente cattivo.
Una posizione di forte rigidità dottrinale fondata sull’interpretazione letterale di alcuni passi dell’antico testamento. Lo stesso testo di riferimento della chiesa anglicana statunitense che ha nominato vescovo del New Hampshire il gay dichiarato Gene Robinson.
Gesù Cristo non fa cenno all’omosessualità. Se si può leggere una condanna dell’amore fra uomini nel controverso passo su Sodoma (distrutta per l’attività sessuale dei suoi abitanti o per la violazione della sacra legge dell’ospitalità?) va ricordato come l’antico testamento — se inteso alla lettera – legittima la schiavitù e la pena di morte, condanna la donna ad un ruolo inferiore e considera invece un abominio cibarsi di crostacei.
Ma il Vaticano non rinuncia a riconfermare un ordine gerarchico di impostazione teorica ed organizzativa di stampo medievale, fondato su un potere retto sul celibato maschile, cioè sulle due gambe ormai fragili della repressione della sessualità e della subordinazione della donna.
I gay, le lesbiche e i loro amori rappresentano la rottura dell’ordine costituito. Le coppie gay — scrive Ratzinger nel 2003 – sono “nocive per il retto sviluppo della società umana”, sono il male che può essere tollerato, ma non approvato né legalizzato: una legge sulle coppie gay sarebbe contraria alla retta ragione e fonte di perdita dei valori morali.
Ma il Ratzinger più pericoloso non è il rigido custode dell’ortodossia dottrinaria, ma il centro di potere secolare che si rivolge ai politici cattolici, espone un programma politico e lancia anatemi contro i disobbedienti: votare una legge sulle coppie gay e lesbiche sarà considerato “un atto gravemente immorale”. E prima della condanna divina potrebbe arrivare quella terrena: il voto delle parrocchie italiane sapientemente organizzate da Camillo Ruini, attivo presidente della Cei.
La laicità — precisa Ratzinger – è il rispetto della verità e questa è una e una sola, quella insegnata dalla chiesa di Roma. Da qui discende il richiamo a votare in parlamento secondo le direttive della chiesa e da qui si comprende l’allarme contro la “dittatura del relativismo” – solo in apparenza un ossimoro —lanciato nella sua ultima omelia da cardinale. Il pluralismo, il laicismo, il liberalismo delle idee sono irriducibili ad una concezione assoluta della verità, ma chi si consideri custode di una verità vede nel principio di laicità nient’altro che un’altra verità contro cui combattere.
È più facile, allora, trovare un accordo con altri fondamentalismi, come quello islamico o quello ebraico ortodosso, contro il comune nemico: non a caso le tre religioni si sono unite contro il World Gay Pride (il secondo dopo quello di Roma del 2000) che avrà luogo il prossimo 25 agosto a Gerusalemme.
Benedetto XVI riaffermerà l’intransigenza delle sue posizioni: l’ostilità verso il ruolo delle donne nella chiesa, la lotta ai diritti di gay, lesbiche e transessuali, la chiusura all’immigrazione non cattolica, la critica al pensiero laico e liberale. Noi riaffermeremo il suo diritto ad esprimerle. Ma se il nuovo papa proseguirà nella crescente pressione verso la politica italiana — banco di prova sarà il referendum contro la legge sulla fecondazione assistita – non mancheremo di opporci all’invasione di campo.
Confidando che il pressing del nuovo pontefice non spinga ad inginocchiarsi di fronte al suo potere temporale la crescente schiera di “atei devoti” che vizia il dispiegarsi di un rapporto libero e autonomo fra lo Stato e le chiese.
Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay
Da "Il Domani di Bologna" del 22.04.05
Non sarà un pontificato di rottura con l’età wojtyliana quello di Benedetto XVI, non sui temi della morale sessuale, delle questioni familiari, del confronto con la pluralità culturale.
Se è vero, come molti commentatori sottolineano, che non sempre l’azione di un papa è in continuità con l’esperienza precedente dell’uomo chiamato a ricoprire quell’incarico, Benedetto XVI potrà riservarci delle sorprese. Per adesso quello che sappiamo riguarda il cardinale Joseph Ratzinger, per più di un ventennio Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Sappiamo delle sue forti resistenze al confronto con le esigenze di rinnovamento poste dalla teologia della liberazione; sappiamo della sua simpatia per il suggerimento del cardinale Giacomo Biffi di accogliere solo immigrati provenienti da aree a prevalenza cattolica; della sua opposizione all’ingresso nell’Unione Europea della Turchia in nome dell’identità cristiana dell’Europa; della sua ferma contrarietà ad un diverso ruolo delle donne nella chiesa cattolica.
Se il cardinal Martini aveva invitato il Conclave a confrontarsi con la modernità, l’elezione del cardinale bavarese che considera il rock un “veicolo di messaggi satanici”, assai più prudente di Wojtyla sul dialogo interreligioso, fermo nella difesa del celibato sacerdotale e nella contrarietà al sacerdozio femminile ha rappresentato una chiara risposta di segno opposto.
Da prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Ratzinger ha dovuto fare fronte, fra l’altro, alle richieste di una politica di inclusione proveniente dalle tante persone gay e lesbiche cattoliche.
Lo ha fatto delineando una linea di assoluta intransigenza nella “Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali” del 1986: se l’orientamento omosessuale, pur non essendo un peccato, costituisce una tendenza verso un comportamento moralmente cattivo, una relazione d’amore omosessuale è moralmente accettabile. Così fino allo specifico documento del 2003 sulle coppie omosessuali, definite “contrarie alla retta ragione” e “nocive per il retto sviluppo della società umana”. Quei sacerdoti particolarmente impegnati in una relazione di accoglienza con le comunità di omosessuali credenti, come don Franco Barbero, saranno sospesi a divinis.
Questo irrigidimento dottrinale è avvenuto in un contesto in cui altre chiese cristiane si interrogavano in modo aperto sulle nuove domande sorte dall’esplosione della questione omosessuale. La Commissione bioetica della Tavola Valdese si era già espressa a favore di “forme di benedizione” da dare alle coppie omosessuali cristiane. Numerosi teologi protestanti si interrogano sull’interpretazione da dare al noto passo della Genesi sul peccato della città di Sodoma (punita per i rapporti omosessuali o piuttosto per l’oltraggio al dovere sacro dell’ospitalità?). Nel marzo 2004 la chiesa anglicana episcopale ha nominato il primo vescovo apertamente gay, Gene Robinson, alla guida della diocesi del New Hampshire.
Fin qui il rapporto fra il custode dell’ortodossia cattolica e le persone omosessuali credenti. Ma l’impostazione dottrinaria di Ratzinger rappresenta anche la giustificazione teorica di una strategia mirata alla forte pressione vaticana sulle istituzioni statali perchè non legiferino sui diritti delle persone omosessuali. Il voto una legge sulle unioni omosessuali “è un atto gravemente immorale”, ribadisce nella nota dottrinale del 2003 su “’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” ben lontano dal “non expedit” di Pio IX contro la presenza dei cattolici nella politica italiana ed anche in questo assai più vicino a quel Benedetto XV che questo impegno favorì ed organizzò attivamente.
Resta da vedere se i cattolici liberali impegnati in politica sapranno, seguendo la lezione di Sturzo e De Gasperi, ascoltare con attenzione le posizioni vaticane per poi decidere in modo autonomo.
Uno dei prossimi banchi di prova sarà il tema dell’approvazione di una legge sulle unioni omosessuali. Proprio ieri in Spagna la Camera ha approvato l’estensione del matrimonio civile alle coppie gay e lesbiche. Lo ha fatto sapendo di avere dalla propria parte la maggioranza dell’opinione pubblica spagnola, anche quella cattolica, ma anche di poter contare su un atteggiamento da parte dei vescovi ammorbidito dalla recente elezione del progressista vescovo di Bilbao Ricardo Bazquez alla guida della Conferenza Episcopale Spagnola. “’umanità si compone di’uomini e donne e non di eterosessuali e omosessuali”, ha dichiarato Bazquez, aggiungendo che’non si può discriminare nessuno per il suo orientamento sessuale”.
In Italia il movimento omosessuale non chiede il matrimonio, ma una legge sui Patto Civile di Solidarietà (PACS), un istituto diverso e distinto da quello che garantisca ad una coppia, anche omosessuale, la possibilità di assumere responsabilmente alcuni diritti e doveri reciproci, dall’assistenza in ospedale alla possibilità di assumere importanti decisioni sulla salute del partner in caso di malattia, dalla possibilità di lasciare in eredità i propri beni al compagno o alla compagna di una vita alla tutela del soggetto debole in caso di separazione.
Il timore a mettere a confronto su questi temi le diverse sensibilità ha fatto sì che nel centrosinistra italiano talvolta si sia rinunciato alla ricerca di una possibile sintesi unitaria, con risultati negativi come nel caso della legge sulla fecondazione assistita.
La costruzione di uno spazio della politica autonomo dalle legittime convinzioni religiose di ognuno può consentire, al contrario a superare steccati e pregiudizi. Se la Fabbrica del programma di Romano Prodi saprà confrontarsi con questa necessità sarà possibile quella necessaria armonizzazione delle convinzioni religiose dei singoli con l’esigenza della politica di dare risposte ai diritti umani e civili di tutti.
I prossimi mesi ci diranno se anche in Italia sarà possibile costruire l’indispensabile spazio di autonomia delle istituzioni liberali in un contesto fondato sulla piena libertà delle religioni nella cornice laica garantita dallo Stato.
Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay