ASSUMERE e dichiarare in modo pubblico rapporti di solidarietà e di affetto reciproco è segno di scarsa responsabilità e degenerazione morale? Attenta alla coesione sociale e ai fondamenti del vivere civile?
Se ciò che costituisce una società è il legame sociale e la libera accettazione di instaurare rapporti di interdipendenza e di solidarietà reciproci che abbiano rilevanza pubblica, la risposta non può che essere negativa. Nulla di più coesivo, di più socialmente responsabile, in ultima istanza di più etico, che dichiarare pubblicamente la propria responsabilità verso un rapporto, accettandone le conseguenze anche sul piano sociale.
Giudicare eticamente e socialmente irresponsabili, oltre che irrilevanti, rapporti di coppia che non desiderano, o non possono (per definizione di legge), assumere la forma del matrimonio, significa non riconoscere agli esseri umani e ai cittadini alcuna capacità etica e di assunzione di responsabilità al di fuori del matrimonio. Forse che una coppia eterosessuale convivente è meno capace di solidarietà reciproca e di genitorialità di una sposata? Forse che una coppia omosessuale è meno capace di una eterosessuale di rapporti di reciprocità, allargati anche alla parentela? Non vi è alcuna evidenza empirica in questo senso.
Al contrario, il recente percorso della comunità omosessuale verso rapporti improntati alla stabilità segnala quanto quel poco di riconoscimento sociale che vi è stato della omosessualità abbia favorito, appunto la creazione di rapporti stabili, socialmente responsabili. Al punto che si può sospettare che una certa promiscuità spesso associata in passato alla omosessualità fosse la conseguenza, appunto, di una costrizione alla clandestinità.
‘Italia è rimasta uno dei pochi paesi europei a non offrire alcun riconoscimento giuridico alle coppie di fatto etero o omosessuali. O ci si sposa, o non si esiste. Per gli omosessuali non esiste neppure ‘opzione.
In barba al’articolo 2 della nostra Costituzione, che solennemente sancisce che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».
Prima del’estensione della possibilità di accedere al matrimonio anche agli/alle omosessuali (per altro presente in pochissimi paesi), mi sembra opportuno applicare questo articolo della Costituzione, ovvero dare riconoscimento a «formazioni sociali in cui si svolge la personalità» degli individui diverse da quelle sancite dal matrimonio, sia per gli eterosessuali che per gli omosessuali. Avviene già nella maggior parte dei paesi europei, senza che venga minata la loro stabilità né la fibra etica dei loro cittadini. Approvare la legge sul PACS, Patto Civile di Solidarietà, pendente in Parlamento, sarebbe già abbastanza.